Il giudicato amministrativo anti-comunitario: rimedi esperibili

Il giudicato amministrativo anti-comunitario: rimedi esperibili

Abstract: Nel presente lavoro si affronta il tema del giudicato “anti-comunitario”, e dunque dei rimedi esperibili avverso la sentenza amministrativa di ultimo grado che violi le norme europee, con particolare riferimento alla possibilità di includere, in quanto violazione di legge particolarmente “qualificata”, l’error iuris europeo nell’ambito della violazione delle norme sulla giurisdizione: questa teoria, da ultimo affermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Civile (ord. 18 settembre 2020, n. 19598) e basata su un’interpretazione evolutiva dell’art. 111, ult. co., Cost., consentirebbe infatti di ammettere il sindacato della stessa Cassazione sulle pronunce del Consiglio di Stato che si pongano in conflitto con il diritto europeo, onde evitare il consolidamento della suddetta violazione.

Sommario: 1. Il giudicato amministrativo anti-comunitario: problematiche di fondo – 2. La responsabilità dello Stato per inadempimento degli obblighi comunitari – 3. Il giudizio di ottemperanza – 4. Il ricorso per Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione – 5. L’ordinanza delle Sezioni Unite 18 settembre 2020, n. 19598: il rinvio alla Corte di Giustizia

 

1. Il giudicato amministrativo anti-comunitario: problematiche di fondo

Il progressivo e costante ampliamento delle competenze euro-legislative in materia amministrativa rende, oggi più che mai, fortemente attuale il tema del contrasto tra la sentenza amministrativa interna e il diritto dell’Unione europea. Infatti, al pari di ciò che può verificarsi con qualsiasi altra fonte di diritto interno, può darsi il caso del giudice amministrativo che, nel dirimere la controversia in punto di diritto, travisi il significato di disposizione europee, dandone così non corretta applicazione: questo può accadere sia quando sopravvenga, solo a seguito della decisione, una sentenza della Corte di Giustizia che conferisca al disposto normativo un’interpretazione di segno diverso rispetto a quella conferita dal giudice interno; sia quando lo stesso pronunciamento della Corte, pur risultando anteriore al giudizio amministrativo in questione, rimanga inattuato o ignorato.

La violazione del diritto europeo da parte di una sentenza interna, tuttavia, produce un effetto ben ulteriore rispetto a quello della semplice violazione di legge: pur trattandosi da un punto di vista della teoria processuale di un error in iudicando o in procedendo, un tale errore di diritto si sostanzia infatti nella inosservanza dell’obbligo internazionale di dare corretta e completa attuazione alle norme europee, collocantisi, in una visione monista, al vertice dell’ordinamento giuridico. È in quest’ottica, dunque, che ci si interroga sui possibili rimedi da esperire onde evitare il consolidarsi della illegittimità comunitaria dei provvedimenti giurisdizionali amministrativi.

Ora, se ad incorrere nella violazione è l’organo giudicante di prime cure, nulla questio: intrinseco è il rimedio, quello dell’appello, che l’ordinamento predispone in via generale per far valere gli errori di giudizio perpetrati dalla sentenza emessa. Notevoli problemi si pongono invece nel caso in cui la sentenza contrastante con il diritto europeo è una sentenza del Consiglio di Stato: decisione di per se stessa definitiva, a cui cioè l’ordinamento attribuisce autorità di cosa giudicata, e che dunque, stante la sua intangibilità, realizza una violazione delle norme europee, almeno di regola, non più rimovibile [1].

Passando all’esame dei possibili rimedi contro il giudicato violativo del diritto europeo, si esclude fin da subito la soluzione della disapplicazione del principio interno di intangibilità del giudicato: quello della caducazione degli effetti della sentenza ormai passata in giudicato è un rimedio eccezionale, assolutamente recessivo, elaborato dalla Corte di Giustizia con riferimento alla materia degli aiuti di Stato (ambito in cui l’Unione esercita una competenza amministrativa diretta), e applicabile solo nell’ipotesi di pronuncia interna definitiva confliggente con una decisione della Commissione ordinante allo Stato il recupero dell’aiuto illegittimamente erogato.

Da escludersi in radice è altresì il ricorso a mezzi di impugnazione straordinari: la legge processuale civile, a cui il d.lgs. 104/2010 rinvia per la disciplina delle impugnazioni, non contempla infatti tra i motivi di revocazione straordinaria il caso dell’error iuris europeo, né tale mancanza è superabile in via interpretativa, dato il carattere tassativo dei motivi nelle impugnazioni a forma vincolata.

Ciononostante, dottrina e Giurisprudenza individuano alcuni validi rimedi al problema del giudicato amministrativo anti-comunitario, che si passano qui in rassegna.

2. La responsabilità dello Stato per inadempimento degli obblighi comunitari

Al contrario, l’istituto della responsabilità dello Stato per inadempimento degli obblighi comunitari, elaborato dalla giurisprudenza europea con la ormai nota sentenza Francovich [2], può rappresentare invece un rimedio al problema in questione, e ciò quando la violazione delle norme europee perpetrata dal giudicato si materializzi in una lesione di diritti soggettivi che l’Unione riconosce in capo a privati; rimedio tuttavia che appare imperfetto nella sua effettività, e ciò sia per gli stringenti requisiti della gravità e del carattere manifesto della violazione, sia per il suo essere un semplice strumento di riparazione per equivalente, e in quanto tale inidoneo al ripristino della legalità comunitaria.

3. Il giudizio di ottemperanza

Un altro espediente potenzialmente in grado di correggere il giudicato amministrativo in contrasto con il diritto europeo è rappresentato dal giudizio di ottemperanza. Quest’ultimo infatti, lungi dall’essere un mero momento di esecuzione (come invece accade per il processo di esecuzione civile), costituisce piuttosto un giudizio di tipo “misto”, caratterizzandosi cioè anche per la presenza al suo interno di elementi di cognizione: questo, essenzialmente come conseguenza del ruolo di grande rilevanza rivestito dalla motivazione della sentenza amministrativa, il cui dispositivo, spesso, non è in grado di definire da solo il preciso contenuto degli obblighi che si impongono alla pubblica amministrazione, e che invece necessita di essere letto in combinato con il corpo della decisione, dal quale solo è possibile estrarre l’effettiva regola di esecuzione.

Dunque, come precisato anche dalla giurisprudenza più recente, il giudizio di ottemperanza può costituire in extremis un’ulteriore occasione di attuazione delle norme europee rimaste nel frattempo inapplicate, e ciò attraverso un’operazione di interpretazione conforme della motivazione al disposto europeo. Ciononostante, è facile comprendere come non sempre esso può costituire la sede adatta a tal uopo, in quanto non sempre si dà la possibilità di compiere un’interpretazione adeguatrice del giudicato [3].

4. Il ricorso per Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione

È proprio sul presupposto della insufficienza e della non completa effettività dei rimedi suindicati che si è fatto strada, nella giurisprudenza di Cassazione, l’innovativa teoria della esperibilità del ricorso per Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione come misura di rimozione del giudicato violativo del diritto europeo. La tesi, per la verità supportata dalla Suprema Corte non sempre con la stessa costanza, ma da ultimo riconfermata dal supremo consesso delle Sezioni Unite, si basa su una lettura evolutiva dell’ultimo comma dell’articolo 111 della Costituzione: a differenza di quanto tradizionalmente sostenuto dal Giudice delle leggi, i motivi attinenti alla giurisdizione che legittimano il ricorso in Cassazione contro sentenze definitive di Consiglio di Stato e Corte dei Conti sono anche i motivi attinenti alla tutela giurisdizionale, e non soltanto quelli attinenti all’attribuzione del potere giurisdizionale. Detto in altri termini, sono norme sulla giurisdizione non solo quelle che individuano i presupposti del potere del giudice, e che quindi fissano i confini tra le varie giurisdizioni e tra giurisdizione ed altri poteri dello Stato; ma anche quelle che individuando le forme di tutela sostanziale, dando concreto contenuto alla funzione dello ius dicere. Se questo è vero, allora bisogna concludere che si ha violazione di norme sulla giurisdizione non solo in caso di difetto assoluto o relativo di giurisdizione, ma pure nell’ipotesi in cui il giudice, perfettamente munito di giurisdizione, commetta un errore di diritto che sfoci nella denegatio di tutela sostanziale. Ecco che, attraverso questa ricostruzione, si ridefinisce il rapporto tra penultimo ed ultimo comma dell’art. 111 suddetto, e con esso il rapporto tra giudice ordinario di legittimità da un lato, e Consiglio di Stato e Corte dei Conti dall’altro: non tutte le violazioni di legge, sostiene la Cassazione, sono tali ai sensi del penultimo comma, dovendosi invece riconoscere che alcuni errores in iudicando o in procedendo, quelli appunto danti luogo a denegata tutela, integrano piuttosto violazioni di norme sulla giurisdizione ai sensi dell’ultimo comma [4].

Questa teoria, che in questo frangente viene applicata all’ambito delle violazioni di norme europee, non è in realtà estranea alla giurisprudenza di Cassazione: analoghe argomentazioni venivano da essa utilizzate, in materia di responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, al fine di cassare le pronunce di inammissibilità del Consiglio di Stato che negavano al privato la possibilità di esercitare il diritto al risarcimento del danno in via autonoma rispetto all’impugnativa dell’atto amministrativo, in un’epoca in cui il riconoscimento di tale possibilità, non ancora prevista espressamente per legge, era oggetto di acceso dibattito tra le due Corti [5].

A sostegno dell’ammissibilità del ricorso per Cassazione come rimedio al giudicato amministrativo in contrasto con il diritto europeo, la Suprema Corte utilizza anche un altro argomento, anch’esso di interpretazione sistematico-evolutiva: secondo una certa lettura, la violazione di norme europee da parte di una sentenza definitiva interna integrerebbe addirittura il più grave vizio del difetto assoluto di giurisdizione, e ciò in quanto, stante il principio di primazia del diritto europeo, il giudice dello Stato responsabile dell’errore andrebbe sostanzialmente a “sconfinare” in un’attività di produzione legislativa attribuita invece alla competenza del legislatore europeo.

5. L’ordinanza delle Sezioni Unite 18 settembre 2020, n. 19598: il rinvio alla Corte di Giustizia

Al di là delle criticità che caratterizzano la teoria descritta (prima tra tutte, l’assenza di criteri univoci che consentano di definire con chiarezza il confine tra violazione di legge tout court da un lato e violazione di legge che sfoci in denegata tutela, o addirittura in difetto assoluto di giurisdizione dall’altro), si impongono alcune considerazioni: l’orientamento sostenuto dalla Corte di Cassazione è il frutto di un’interpretazione “adeguatrice” delle disposizioni di diritto interno al principio di primazia e di effettività del diritto europeo, sul presupposto che quest’ultimo imponga agli Stati Membri di dare attuazione alle norme europee fino al punto di derogare non solo al principio interno di intangibilità del giudicato, ma anche al principio interno del riparto tra le giurisdizioni e dell’autonomia di giudizio dei giudici speciali, e questo perché il ricorso per Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione rappresenta l’unica via che consenta di rimettere in discussione una sentenza definitiva del Consiglio di Stato o della Corte dei Conti, in altre parole, l’unica valvola di sfogo del sistema contro un giudicato amministrativo o contabile violativo del diritto europeo (essendo, come si è visto, tutti gli altri rimedi prospettati, in qualche modo incompleti o ineffettivi).

Dunque, è sulla base di questi presupposti che il Giudice di legittimità, riunito nel suo massimo consesso delle Sezioni Unite, ha operato, con la recentissima ordinanza 18 settembre 2020, n. 19598, un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, in modo da ottenere da essa un chiarimento circa l’interpretazione della portata del principio di primazia e di effettività del diritto europeo. In attesa del pronunciamento dei Giudici di Lussemburgo, non si può tuttavia escludere che un’interpretazione di questi principi tale da richiedere la disapplicazione dei principi interni di intangibilità del giudicato di autonomia delle giurisdizioni potrebbe dare adito all’applicazione della teoria dei contro-limiti da parte della Corte Costituzionale, stante il loro carattere fondamentale. D’altronde, almeno il principio di intangibilità del giudicato trova radici anche nel diritto europeo stesso, essendo espressione del più generale principio di certezza del diritto, più volte riconosciuto dalla Corte di Giustizia [6].

 

 

 


Note:
[1] Cfr. F. CORTESE, Il riesame di decisioni amministrative definitive tra obbligo di cooperazione e certezza del diritto, in Riv. It. Dir. pubbl. com., 2008, 6, pp. 1527 e ss.
[2] Sentenza Corte di Giustizia dell’Unione europea, 19 novembre 1991, in C-6/90 e C-9/90.
[3] Cfr. S. GIACCHETTI, Profili problematici della cosiddetta illegittimità comunitaria, in Riv. It. Dir. pubbl. com., 1993, pp. 367 e ss.
[4] Cfr. M. FRATINI, Manuale sistematico di diritto amministrativo, Roma, Accademia del diritto, 2020, pp. 22-29.
[5] Ex multiis, si richiama la celebre sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 22 luglio 1999, n. 500.
[6] Per approfondimenti ulteriori, si veda M.G. PULVIRENTI, Intangibilità del giudicato, primato del diritto comunitario e teoria dei controlimiti costituzionali, in Riv. It. Dir. pubbl. com., 2009, p. 377 e F. SICILIANO, La legalità amministrativa (comunitaria ed interna) e certezza del diritto: riflessi sui rapporti amministrativi ed istituzionali, Messina, Giuffrè editore, 2010.

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