Illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento del fatto nella valutazione discrezionale amministrativa

Illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento del fatto nella valutazione discrezionale amministrativa

La sentenza del Consiglio di Stato 579/2024

di Michele Di Salvo

Nell’ambito del procedimento amministrativo, sia relativo al momento selettivo che in quello valutativo, sempre più spesso si riscontra lo iato in concreto della differenza che pure la legge stabilisce con chiarezza tra discrezionalità e arbitrarietà.

Ciò avviene nell’assegnazione di punteggi, di giudizi di valutazione spesso palesemente arbitrari, confondendo prima facie un potere amministrativo di verifica di conformità alla norma, con l’esercizio di un potere potestativo autoritario.

Va ribadito che il momento discrezionale esiste ed è pregnante, ma si concretizza in un altro momento, ovvero nella redazione dell’avviso pubblico o del bando. È in questa sede che – motivatamente – la pubblica amministrazione redige “discrezionalmente” le norme di riferimento e precisa i requisiti e i parametri di accesso e di presentazione dell’istanza.

Il momento di valutazione successivo va circoscritto a una verifica di corrispondenza piena, e non ad un arbitrario giudizio soggettivo discrezionale della persona-valutatore o del soggetto-individuo responsabile del procedimento.

Si potrebbe parlare in molti casi – sempre ragionando in concreto – di un residuo della forma di “processo inquisitorio” (in cui un unico soggetto appare ricoprire le figure di accusa e di giudice unico, omettendo ogni difesa) dimenticando che anche nel processo penale il sistema è cambiato con la riforma del 1988!

Ma si sa che purtroppo le riforme dell’approccio mentale sono quelle più difficili da compiersi, e certamente non avvengono per decreto. Specie quanto attengono alla pubblica amministrazione, dove del danno troppo spesso non risponde il responsabile del procedimento.

In pratica sovente l’istante si vede presentare un diniego meramente discrezionale con motivazioni meramente formali e arbitrarie, che solo per dovere d’ufficio offrono il rimedio dell’articolo 10bis della legge 241/90: momento dialogico fondamentale ma che statisticamente finisce per confermare l’esito di prima decisione, semmai accompagnato da vuote formule precostituite secondo cui “le integrazioni fornite non sono sufficienti a colmare le criticità evidenziate“.

Lasciando quindi come unico effettivo rimedio il ricorso al giudice amministrativo.

Con la sentenza 579 del 2024 il Consiglio di Stato interviene nell’ambito delle procedure selettive, a proposito dei c.d. test situazionali: quesiti il cui scopo è valutare le abilità e competenze trasversali (soft skills), richieste per coprire la determinata posizione lavorativa indagando se un candidato è in grado di intraprendere le azioni più appropriate in un determinato scenario ipotizzabile nella sua specifica situazione lavorativa.

In tale contesto l’ambito di discrezionalità è massimo e la scelta delle domande da somministrare ai candidati come la successiva valutazione delle risposte fornite sono espressione di puro merito, come tale apparentemente non sindacabile in sede di legittimità.

Ma – e questo è indicativo – il Consiglio di Stato invece sostiene che una legittimità è possibile anche in questi casi, ovveso “salvo che risulti viziato da illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento del fatto.”

A dire il vero sia i TAR che il Consiglio di Stato hanno sempre evidenziato che un controllo di legittimità è sempre presente come presupposto imprescindibile, quasi come istituto, del diritto amministrativo, e come non esistono ambiti privi di controllo non esistono procedimenti amministrativi privi di termine (cfr. Tar Lombardia n. 2949/2023).

Con questo intervento sembra quindi chiudersi un cerchio che definitivamente dovrebbe avere la forza di chiarire che discrezionalità deve significare valutazione tecnica e precisa, e non arbitrarietà soggettiva.

Quello che lascia ulteriormente perplessi è che questa sentenza non solo on è nuova – come sarà tra poco evidente – ma riprende un consolidato orientamento giurisprudenziale.

Resta quindi la perplessità ulteriore rispetto al fatto, già evidenziato, per cui in concreto – anche in presenza di una consolidata e coerente giurisprudenza amministrativa superiore – l’unico rimedio in concreto resti il ricorso, nuovamente, al giudice amministrativo, senza che – semplicemente e in prima istanza – la pubblica amministrazione vi si adegui.

E ciò è – a parere di chi scrive – specialmente dovute al fatto che del danno troppo spesso non risponde il responsabile del procedimento.

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Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima) pronuncia la sentenza per la riforma, previa tutela cautelare anche monocratica, della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

Il ricorrente censurava il quesito c.d. situazionale, lamentando che, se per la risposta fornita a detto quesito avesse invece ottenuto il punteggio massimo, si sarebbe trovato in posizione più alta in graduatoria e avrebbe potuto aspirare alla chiamata in tempi relativamente rapidi, a seguito dello scorrimento della graduatoria stessa;

Il quesito contestato era il seguente:

Un collaboratore ha da poco avuto una bambina, oltre ai soliti pasticcini in ufficio, mi ha invitato ad una festa a casa sua. Non sono stati invitati anche altri colleghi.

– Gli faccio capire che non è molto opportuno invitare solo me a questa festa. Esistono dei rapporti formali da rispettare e anche se posso avere un atteggiamento amichevole, è bene tenere distinti i due ambiti: lavoro e vita privata;

– Accetto di partecipare per non passare da maleducato, ma mi trattengo il meno possibile;

– Rifiuto con una scusa, non ritengo sia opportuno creare un precedente soprattutto agli occhi degli altri colleghi”;

Il ricorrente aveva indicato la prima opzione (considerata dalla P.A. come risposta “neutra”), mentre la risposta considerata “più efficace” dalla P.A., con conseguente attribuzione del punteggio massimo previsto è stata la terza;

Il ricorrente ha lamentato l’illegittimità della soluzione prescelta dalla P.A., poiché sulla base di un criterio di logica e di ragionevolezza la soluzione più opportuna ed efficace sarebbe stata, invece, quella da lui indicata, in quanto basata sull’impiego di un comportamento onesto e trasparente allo scopo di far comprendere all’ipotetico collaboratore l’assenza di correttezza insita nella scelta di non estendere l’invito a tutti collaboratori, quale scelta che avrebbe potuto causare dissapori all’interno dell’ufficio;

Il ricorrente a maggior ragione la risposta da lui indicata sarebbe stata la più efficace, in quanto rispettosa anche del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al D.P.R. n. 62/2013, il quale all’art. 13, comma 4 (con disposizione applicabile anche ai funzionari responsabili di posizione organizzativa) stabilisce: “Il dirigente assume atteggiamenti leali e trasparenti e adotta un comportamento esemplare e imparziale nei rapporti con i colleghi, i collaboratori e i destinatari dell’azione amministrativa”;

Il T.A.R. ha condiviso le doglianze e accolto il ricorso, annullando il provvedimento gravato e ponendo a carico dell’Amministrazione l’obbligo di provvedere sulla posizione del ricorrente con il riconoscimento del punteggio previsto per la risposta più efficace;

Considerato, inoltre:

– che nel gravame le Amministrazioni appellanti hanno censurato l’iter argomentativo e le statuizioni della sentenza di prime cure, deducendo con un unico motivo che la sentenza sarebbe errata, perché con essa il T.A.R. avrebbe oltrepassato i limiti del sindacato giudiziale sul quesito c.d. situazionale, entrando nel merito della questione ed eccedendo rispetto a tali limiti;

Ritenuto che l’appello sia fondato;

Considerato, infatti:

– che le censure relative al c.d. quesito situazionale del concorso di che trattasi sono state già affrontate da questa Sezione in cause di contenuto identico alla presente, definite con esito favorevole alle tesi qui sostenute dalle Amministrazioni appellanti in molteplici sentenze (n. 9487 del 3 novembre 2023; n. 9461 del 2 novembre 2023; n. 6724 del 10 luglio 2023; n. 6661 del 7 luglio 2023; n. 6647 del 7 luglio 2023; n. 6587 del 5 luglio 2023): deve perciò ritenersi che l’indirizzo della Sezione in materia si sia ormai consolidato, né l’appellato ha fornito alcun elemento che possa indurre il Collegio a rimeditare tale indirizzo ed a discostarsene;

– che, pertanto, le suddette pronunce della Sezione vengono qui richiamate con valore di precedenti conformi ai sensi degli artt. 74, comma 1, e 88, comma 2, lett. d), c.p.a. (cfr. C.d.S., Sez. VII, 29 novembre 2023, n. 10314) e che in aggiunta si evidenzia come all’indirizzo in discorso abbia aderito anche la Sezione IV di questo Consiglio con decisione n. 7262 del 25 luglio 2023;

– che per completezza si riportano di seguito i passaggi motivazionali di una delle decisioni di questa Sezione sopra elencate (n. 6647 del 7 luglio 2023), vista la loro pregnanza ai fini anche del presente giudizio:

6. […], con il motivo di appello l’amministrazione deduce l’erroneità della sentenza impugnata, per superamento dei limiti del sindacato giudiziale sui quesiti c.d. “situazionali”.

6.1. Evidenzia che la pronuncia impugnata era errata in quanto il giudice di primo grado si era spinto a censurare le valutazioni della pubblica amministrazione, statuendo l’erroneità del quesito situazionale oggetto di ricorso e della relativa attribuzione del punteggio eccedendo i limiti del proprio sindacato in una materia connotata da amplissima discrezionalità.

7. La censura è fondata.

8. Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VII, 29 marzo 2023, n. 3259, Cons. St., sez. II, 20 novembre 2020, n. 7216), sindacare la correttezza delle risposte significa sconfinare nel merito amministrativo, ambito precluso al giudice amministrativo, il quale non può sostituirsi ad una valutazione rientrante nelle competenze valutative specifiche degli organi della pubblica amministrazione a ciò preposti, e titolari della discrezionalità di decidere quale sia la risposta esatta ad un quiz formulato, secondo la propria visione culturale, scientifica e professionale che ben può essere espressa in determinazioni legittime nei limiti, complessivi, della attendibilità obiettiva, nonché – quanto al parametro-limite logico “inferiore” di tale sfera di discrezionalità – della sua non manifesta incongruenza/travisamento rispetto ai presupposti fattuali assunti o della sua non evidente illogicità.

8.1. Tale osservazione è particolarmente evidente in relazione ai cd test situazionali che sono quesiti il cui scopo è valutare le abilità e competenze trasversali (cd. soft skills), richieste per coprire la determinata posizione lavorativa indagando se un candidato è in grado di intraprendere le azioni più appropriate in un determinato scenario ipotizzabile nella sua specifica situazione lavorativa.

8.2. Mentre i quesiti tecnici si concentrano sulle conoscenze necessarie al profilo professionale richiesto, le competenze trasversali riguardano le abitudini e gli atteggiamenti che si assumono in diverse situazioni all’interno di un ambiente di lavoro.

8.3. Per effettuare correttamente la valutazione richiesta, il quesito proposto dalla pubblica amministrazione deve indicare tutti i dettagli rilevanti per consentire ai candidati di analizzare lo scenario di contesto e maturare una capacità di giudizio che, tra le tante azioni possibili, individui quella maggiormente efficace sicché, all’evidenza, non esiste una risposta astrattamente sbagliata, ma la risposta più o meno efficace nella situazione descritta.

8.4. In tale contesto l’ambito di discrezionalità è massimo e la scelta delle domande da somministrare ai candidati come la successiva valutazione delle risposte fornite sono espressione di puro merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità, salvo che risulti viziato da illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento del fatto.

9. Nella specie il quesito mirava a valutare le abilità relazionali e quindi la comprensione interpersonale, la capacità di lavoro di squadra, la capacità di esercitare un impatto o un’influenza sugli altri, la consapevolezza organizzativa e, cioè, le relative capacità di gestire criticità emerse in relazione ad una determinata situazione e posizione lavorativa.

9.1. Nel quesito il contesto è stato compiutamente individuato e dettagliato, non erano previste penalità in caso di risposta considerata “meno efficace” e la domanda era formulata in maniera chiara e tale da non pregiudicare la par condicio degli aspiranti.

9.2. Secondo il primo giudice, invero, sarebbe «fuori di dubbio […] che la scelta n. 1 sia quella che meglio corrisponde alla definizione di comportamento di tipo proattivo: parlare con il collaboratore ed esplicitargli la problematica è funzionale, in ottica proattiva, ad evitare che la stessa si manifesti e si ripeta in futuro; laddove invece il rifiutare con una scusa è certamente un approccio conservativo che non consente al collaboratore, autore del comportamento inopportuno, di capire il proprio “errore”, con il rischio che lo stesso venga replicato».

10. L’affermazione non è condivisibile.

10.1. Il quesito censurato mirava infatti a valutare le abilità relazionali del candidato e quindi la comprensione interpersonale, la capacità di lavoro di squadra e di esercitare un impatto o un’influenza sugli altri, la consapevolezza organizzativa e, cioè, le inerenti capacità di gestire criticità emergenti in relazione ad una determinata situazione e posizione lavorativa. Nella prospettiva delineata, l’appello pone fondatamente in rilievo la maggiore rispondenza alle abilità in questione di un rifiuto ad un comportamento contrario a regole di buona creanza non espresso, ma celato da una scusa atta a prevenire una possibile situazione di conflittualità. Infatti, in relazione a un invito extralavorativo e non a circostanze relative alla sfera professionale, utilizzare una scusa non presenta caratteri di irragionevolezza o illogicità in quanto lo scopo è quello, da un lato, di non mettere in imbarazzo il collaboratore o di creare comunque motivi di futuro attrito con un espresso rimprovero circa l’inopportunità di un invito ad personam e, dall’altro, di non creare, agli occhi degli altri collaboratori, l’apparenza di rapporti personali privilegiati.

Sotto il profilo ora enunciato, quindi, l’operato dell’amministrazione non è certo caratterizzato da una evidente incomprensibilità o irragionevolezza. Esso risulta invece conforme ai canoni di coerenza con gli approdi della disciplina specialistica applicabile e di più generale ragionevolezza, che nel loro complesso presiedono allo svolgimento di un’attività tecnico-discrezionale dell’amministrazione.

10.2. La ricorrente di primo grado non ha per contro fornito una prova o un principio di prova a supporto della propria tesi, e dunque non ha assolto all’onere probatorio su di essa gravante, ai sensi degli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, cod. proc. amm. (cfr., sul punto, di recente: Cons. Stato, IV, 8 maggio 2023, n. 4596; 2 dicembre 2022, n. 10592; V, 27 luglio 2022, n. 6605; VI, 24 marzo 2023, n. 3023; 10 ottobre 2022, n. 8653; 21 giugno 2022, n. 5090; 5 aprile 2022, n. 2523; 31 marzo 2022, n. 2360). Parimenti la sentenza ha sovrapposto la propria personale valutazione a quella dell’amministrazione senza la previa acquisizione di un adeguato supporto scientifico specialistico. In contrapposizione alla scelta amministrativa contestata nel presente giudizio, fondata sugli elementi di carattere specialistico sopra richiamati, a base della sentenza di accoglimento si pone nello specifico una valutazione di tipo soggettivo sulla maggiore efficacia della risposta al quesito, erroneamente fondata su considerazioni di carattere etico. Ciò è reso manifesto dal richiamo ai principi di lealtà e trasparenza enunciati dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al DPR 16 aprile 2013, n. 62, con specifico riguardo alla figura dei dirigenti (art. 13, comma 4), quando invece nel caso di specie il quesito era diretto a valutare un comportamento extrafunzionale ma comunque avente un potenziale impatto sul contesto lavorativo.

11. Nell’essersi sostituita alle ragionevoli valutazioni della pubblica amministrazione, nei sensi sopra precisati, la sentenza impugnata, dunque, merita riforma, con la conseguente reiezione del ricorso proposto in prime cure.”;

– che le motivazioni appena riportate sono perfettamente estensibili alla fattispecie ora in esame, con conseguente fondatezza delle censure dedotte nel ricorso in epigrafe;

Ritenuto, in conclusione, per quanto esposto, di dover accogliere l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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