Indennizzo e risarcimento a seguito di revoca del provvedimento amministrativo

Indennizzo e risarcimento a seguito di revoca del provvedimento amministrativo

Sommario: 1. Effetti e presupposti della revoca ex art. 21 quinques l. 241/1990 – 2. Natura dell’indennizzo per revoca legittima e differenze col risarcimento – 3. La determinazione del quantum dell’indennizzo – 4. Risarcimento da revoca illegittima

 

 

1. Effetti e presupposti della revoca ex art. 21 quinques l. 241/1990

Il procedimento di revoca del provvedimento amministrativo si configura come un procedimento di revisione ovvero riguardante il giudizio sull’efficacia di un provvedimento, una sorta di procedimento di secondo grado, di competenza dello stesso organo che ha emanato il provvedimento che ne è oggetto, per questo viene anche detto procedimento di revoca in autotutela. L’istituto in parola trova la sua disciplina nell’art. 21 quinques della legge 241/1990 e risponde all’esigenza di garantire il perseguimento del pubblico interesse in tutte le situazioni, anche in quelle già decise. La previsione di un simile istituto è sintomo del riconoscimento di ampi poteri discrezionali in capo all’amministrazione procedente.

L’effetto della revoca è rappresentato dalla cessazione definitiva ed irreversibile dell’efficacia durevole del provvedimento, fatti salvi gli effetti già prodotti (c.d. efficacia ex nunc).

La revocabilità è ammessa anche quando dall’atto revocato sorgono diritti soggettivi, seppur con adeguata garanzia dell’affidamento del titolare[1].  Riguardo al legittimo affidamento del privato si parlerà più diffusamente in seguito.

Le ragioni di interesse pubblico che possono dar luogo a revoca del provvedimento amministrativo sono tassative e riguardano i seguenti casi: sopravvenuti motivi di interesse pubblico; mutamento della situazione di fatto; nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

I primi due si riferiscono alla c.d. “revoca per sopravvenienza” mentre nell’ultimo caso l’amministrazione effettua una nuova valutazione dell’interesse pubblico già ponderato, come una sorta di “ripensamento” fondato sullo ius poenitendi dell’ente, che deve adeguatamente motivare la propria scelta revocatoria. Un particolare caso di “motivi di pubblico interesse” è rappresentato dai comportamenti scorretti dell’aggiudicatario che si siano manifestati dopo l’aggiudicazione definitiva. In tal caso il potere di revoca assume anche i connotati della sanzione poiché giustificato da comportamenti scorretti del privato successivi al provvedimento a lui favorevole. L’amministrazione, così, non è tenuta ad effettuare alcuna valutazione circa l’affidamento del privato sul provvedimento a sé favorevole quindi non sarà tenuta a corrispondere alcun indennizzo[2].

A differenza dell’annullamento d’ufficio ex art. 21 nonies L.241/1990, l’esercizio del potere di revoca non presuppone alcun vizio di illegittimità dell’atto amministrativo, si tratta, infatti, di un potere esercitato per semplici ragioni di opportunità. Gli interessi dei privati non potranno mai ostare all’esercizio di tale potere, a differenza di quanto avviene per l’annullamento d’ufficio, in cui vi è una considerazione più profonda dell’interesse privato[3].

In materia di appalti pubblici, più specificatamente, i motivi che legittimano un provvedimento di revoca sono essenzialmente tre: sopravvenuta non corrispondenza dell’appalto alle esigenze dell’amministrazione; sopravvenuta indisponibilità di risorse finanziarie/ non convenienza dell’appalto; inidoneità della prestazione a soddisfare le esigenze che hanno portato all’avvio della procedura.

2. Natura dell’indennizzo per revoca legittima e differenze col risarcimento

L’effetto della revoca non riguarda unicamente l’efficacia dei provvedimenti amministrativi ma si estende verso la sfera dei privati. Difatti, a norma dell’art. 25 quinques, comma 1 bis, L.241/1990, coloro che provano di aver subito un pregiudizio dalla revoca possono chiedere ed ottenere un indennizzo. Con questo strumento si intende tutelare l’affidamento dei privati sulla stabilità delle decisioni amministrative. L’obbligo di indennizzo può conseguire non solo ad atti ad efficacia durevole ma anche a quelli ad efficacia istantanea, che abbiano esaurito i propri effetti, come un provvedimento costitutivo di status[4].

Si tratta, a ben vedere, di un obbligo non di natura risarcitoria in quanto derivante da un atto, la revoca, del tutto legittimo. In altre parole, l’amministrazione ha facoltà di revocare i propri provvedimenti ma deve poi farsi carico di eventuali pregiudizi che questa sua facoltà abbia potuto causare, riconoscendo, quindi, una somma di denaro ai soggetti interessati dagli effetti della revoca. Non si configura, pertanto, nessuna illegittimità nell’agire dell’amministrazione e questo è proprio l’aspetto che differenzia la natura dell’indennizzo da quella del risarcimento che, per sua natura, evoca intenti punitivi. La fonte dell’indennizzo, riconosciuto dall’articolo in commento, si rinviene in un potere dell’ente pubblico, una facoltà che lo stesso esercita in conformità alla legge[5].

L’indennizzo, conseguenza di atto lecito, non può esser ricondotto nell’alveo della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. in quanto carente dell’elemento dell’ingiustizia del danno. A tal riguardo non è superfluo osservare che la figura dell’indennizzo ha assunto una posizione marginale rispetto al risarcimento ex art. 2043 c.c., in quanto idonea a venire in rilievo solo laddove prevista espressamente dalla legge.

La differenza tra la figura dell’indennizzo e quella del risarcimento ha importanti conseguenze anche sul piano processuale: in tema di prescrizione e di danno risarcibile. L’indennizzo è sottoposto a prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. mentre il diritto al risarcimento per fatto illecito si prescrive in 5 anni ai sensi dell’art. 2947 c.c. Relativamente al secondo profilo, si osserva che mentre il risarcimento da responsabilità extracontrattuale riguarda entrambe le componenti del danno, sia il danno emergente che il lucro cessante, l’indennizzo riguarda solo il danno emergente. In merito si rimanda al capitolo successivo.

Esclusa la natura di responsabilità extracontrattuale dell’obbligo indennitario ci si deve chiedere se lo stesso possa allora esser ricondotto nell’alveo della responsabilità precontrattuale. In merito molteplici pronunce del Consiglio di Stato qualificano come “astrattamente ammissibile” una responsabilità precontrattuale dell’amministrazione in caso di revoca legittima di una gara d’appalto[6]. Recentemente è tornato sul punto il Consiglio di Stato in adunanza plenaria il quale ha definitivamente appurato che l’obbligo di indennizzo ex art. 21 quinques, L.241/1990 ben può esser ricondotto nell’ambito della responsabilità precontrattuale in quanto si ricollega alla violazione dei doveri di buona fede e correttezza[7]. Nelle procedure ad evidenza pubblica, infatti, l’amministrazione è tenuta a rispettare non solo le norme di diritto pubblico ma anche i principi civilistici come i doveri di correttezza e buona fede ex art. 1337 c.c. Tale dovere sussiste in ogni fase del procedimento, non solo nel corso della procedura di gara. Non dovrebbe quindi avere nessuna rilevanza il fatto che la revoca avvenga prima della pubblicazione del bando o durante la procedura di gara, così potendosi individuare un “comportamento scorretto” dell’amministrazione in qualsiasi fase della gara. Ciò che il dovere di correttezza mira a tutelare non è l’interesse alla stipula del contratto, ma la “libertà di autodeterminazione negoziale” dei partecipanti che avrebbero evitato di predisporre documenti di gara o spendere risorse economiche se fossero stati nelle condizioni di poter prevedere la revoca[8].

Il giudice amministrativo, tuttavia, ha più volte stabilito che quando la revoca interviene prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione ad una gara per l’affidamento di un contratto d’appalto pubblico, la convinzione di poter partecipare alla gara e trarre da essa benefici economici, proprio perché il termine per la ricezione delle domande di partecipazione non è ancora scaduto, non può aver raggiunto un grado di certezza assoluto quindi non è ravvisabile alcun interesse passibile di indennizzo[9]. In un caso del genere, infatti, non si è prodotto alcun effetto di vantaggio durevole dell’aspirante partecipante pertanto l’intervenuta revoca non può aver prodotto alcun danno.

In merito alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria è ormai pacifico in giurisprudenza come la stessa sia legittima se retta da motivi relativi ad insufficienza di risorse finanziarie, risparmio derivante dalla revoca o quando l’affidamento non risponde più all’interesse pubblico[10]. Nella fase dell’aggiudicazione provvisoria, infatti, non si è creato alcun “affidamento qualificato” in capo all’aggiudicatario, il quale può vantare solo “un’aspettativa di mero fatto” alla conclusione del procedimento[11]. Questa posizione dell’aggiudicatario provvisorio determina un’attenuazione dell’onere motivazionale dell’ente circa la scelta revocatoria. La trasformazione dell’aggiudicazione provvisoria in definitiva, infatti, non è automatica ma soggetta a valutazioni e controlli approfonditi pertanto la possibilità che l’aggiudicazione non divenga definitiva è assolutamente normale e non idonea ad ingenerare un affidamento qualificato passibile di risarcimento[12].

Sotto il profilo soggettivo l’art. 21 quinques, l.241/1990 è posto a tutela dei soggetti “direttamente interessati” locuzione che ricomprende non solo le parti del rapporto negoziale, le cui sfere giuridiche siano direttamente modificate dall’atto revocando, ma anche tutti coloro che possono risentire degli effetti del provvedimento di revoca in via mediata. Tale ristoro, quindi, può essere riconosciuto non solo alle parti del rapporto negoziale ma anche a terzi i cui interessi siano stati frustrati dalla revoca del provvedimento come, ad esempio, coloro che abbiano stipulato contratti con l’aggiudicatario di un contratto d’appalto poi revocato.

Presupposto fondamentale per poter chiedere un indennizzo da revoca è il pregiudizio inteso come danno effettivamente subito, che deve essere puntualmente dimostrato dall’interessato. In merito è stato più volte osservato dalla giurisprudenza che la mera revoca, intesa come cessazione degli effetti di un atto, non genera alcun diritto a ricevere indennizzo ma è necessario un pregiudizio quantificabile.

Chiarito ciò è necessario accennare brevemente al rapporto fra l’indennizzo e la lesione del legittimo affidamento che il privato può riporre nella stabilità dell’atto amministrativo, principio elaborato a livello comunitario. Come stabilito dall’art. 1, comma 1, l.241/1990 l’attività amministrativa deve svolgersi nel rispetto, tra l’altro, dei principi dell’ordinamento comunitario, fra i quali spicca il principio di legittimo affidamento. Questo caposaldo dell’azione amministrativa non consente, tuttavia, di ottenere l’indennizzo se non viene provato un vero e proprio danno, come sopra accennato. Il legittimo affidamento, infatti, non sorge con la semplice emanazione dell’atto amministrativo ma “matura” successivamente quando induce il privato a porre in essere attività che si basano sull’atto stesso. In quest’ottica la giurisprudenza ha ritenuto che nel caso in cui sia trascorso solo un breve lasso di tempo tra l’adozione del provvedimento e la sua revoca non vi sia spazio per riconoscere indennità in virtù del fatto che l’affidamento del privato non può aver avuto modo di consolidarsi.

Viene considerato, invece, indennizzabile il legittimo affidamento del secondo classificato ad una procedura di gara quando il primo sia stato escluso per carenza di requisiti specifici[13].

3. La determinazione del quantum dell’indennizzo

Il comma 1 bis dell’art. 21 quinques l.241/1990 riguarda la determinazione dell’ammontare dell’indennizzo e si riferisce specificamente ai soli casi in cui la revoca incida su rapporti negoziali.  L’indennizzo così determinato può riguardare solo il danno emergente e non il lucro cessante. Quest’ultimo, infatti, potrebbe tuttalpiù esser domandato nel caso in cui l’attività dell’amministrazione integri un illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. Il danno emergente oggetto di indennizzo è rappresentato dalle spese inutilmente sostenute dal privato.

I criteri da tenere in considerazione sono costituiti dall’eventuale conoscenza o conoscibilità della contrarietà del provvedimento amministrativo con l’interesse pubblico e dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità dell’atto con l’interesse pubblico. In questi casi è ravvisabile una colpa dei destinatari del provvedimento amministrativo revocando che deve esser presa necessariamente in considerazione per evitare che gli stessi traggano dall’indennizzo utilità non spettanti.

Posto che i criteri annoverati dalla norma riguardano unicamente i casi in cui la revoca incida su rapporti negoziali si pone il problema di stabilire come quantificare un eventuale indennizzo da riconoscersi nella generalità dei casi di revoca. Si ritiene che anche laddove la revoca non incida su rapporti negoziali sia bene considerare come indennizzabile solo il danno emergente, parametro a valenza trasversale, mentre per quanto riguarda i criteri di conoscenza o conoscibilità della contrarietà dell’atto revocato all’ordinamento giuridico e l’eventuale concorso nella sua erronea adozione gli stessi dovranno essere attentamente vagliati in ogni singolo caso. Non di rado, infatti, soggetti estranei al negozio giuridico revocato si trovano nell’impossibilità di incidere direttamente sul procedimento che conduce all’emanazione del provvedimento che sarà revocato. La differenza fra l’ipotesi generale di revoca di cui all’art. 21 quinques, comma 1, l.241/1990 rispetto a quella speciale di revoca incidente su rapporti negoziali sarebbe, quindi, da rinvenirsi proprio in queste differenze relative al metodo di quantificazione dell’importo indennitario. L’indennizzo per revoca in via generale, quindi, potrebbe anche essere maggiore rispetto a quello spettante alle parti negoziali. Per queste ultime, infatti, si deve sempre tener conto dei succitati criteri che possono diminuirne l’importo.

L’indicazione precisa della misura dell’indennizzo può esser contenuta in un atto diverso e separato dal provvedimento di revoca. La giurisprudenza, sul punto, è unanime dopo che il Consiglio di Stato, sez. V, con sent. 2244/2010 ha chiarito che la mancata liquidazione dell’indennizzo contestualmente alla revoca non è causa di illegittimità dell’atto ma consente al privato di attivarsi al fine di ottenere l’indennizzo medesimo. L’atto di revoca, infatti, è legittimo laddove contenga sufficienti motivazioni che lo fondano, a nulla rilevando l’eventuale indicazione dell’importo indennitario.

4. Risarcimento per revoca illegittima

Quando l’amministrazione ritorna sui propri passi, decidendo di revocare un precedente atto in maniera illegittima, produce un danno. Ecco, dunque, che i soggetti parti del rapporto negoziale creato con l’atto amministrativo ingiustamente revocato ben possono aver diritto ad ottenere un ristoro non solo del danno in concreto subito ma altresì del profitto che avrebbero tratto dalla loro attività se l’atto amministrativo non fosse stato ingiustamente revocato.

Chi richiede il risarcimento sarà tenuto a provare in giudizio ex art. 2697 c.c. tutti i requisiti della fattispecie di cui all’art. 2043 c.c. ossia il comportamento illecito dell’amministrazione, connotato dall’elemento soggettivo della colpa, il nesso causale che lo collega al danno e l’ingiustizia di quest’ultimo. Il nesso causale tra l’evento e il danno, a norma dell’art. 1223 c.c., si ravvisa quando il secondo sia conseguenza immediata e diretta del primo ovvero quando ne sia conseguenza mediata e indiretta purchè prevedibile secondo la regola dell’id quod plerumque accidit.

Ai fini del risarcimento il privato deve essere in buona fede, aver cioè fatto affidamento incolpevole sulla stabilità dell’atto amministrativo revocato: il comportamento dell’amministrazione deve aver violato i canoni di buona fede e correttezza. Inoltre sul privato ricade l’onere della prova del danno subito, consistente ad esempio in una perdita economica per aver partecipato alla procedura di gara[14].

Come avviene in materia civilistica, in questo caso, gli elementi costitutivi del danno saranno rappresentati, a mente dell’art. 1223 c.c., dal danno emergente e dal lucro cessante.

L’attività dell’amministrazione deve essere orientata ai principi di correttezza e buona amministrazione delineati dall’art. 97 Cost. che comportano responsabilità dell’ente per tutti gli atti posti in essere in ragione del fatto che tutti sono idonei ad incidere sulla sfera di cittadini ed imprese. In questo modo si attua la c.d. “responsabilizzazione” della pubblica amministrazione.

Recentemente il Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunciarsi su una questione di illegittima revoca di un’autorizzazione archeologica che aveva provocato la sospensione delle attività per la realizzazione di una struttura balneare da parte di una società. L’organo d’impugnazione ha ricompreso nel danno risarcibile anche i mancati utili che l’impresa avrebbe potuto realizzare nel periodo in cui la sua attività è stata sospesa per effetto della revoca. I lavori sono stati completati con un ritardo di circa un biennio, anche se poi l’iniziativa commerciale è stata portata a termine con successo[15]. Il Consiglio di Stato, in questo caso, ha ravvisato un “accanimento” dell’amministrazione contro l’attività imprenditoriale avviata che si sostanziava in provvedimenti ultronei rispetto ai fini da perseguire e che non avrebbe tenuto in debito conto l’affidamento che la società aveva riposto nella forza dell’atto autorizzatorio ottenuto[16].

Si può pertanto configurare un duplice ordine di poteri della p.a, sui propri atti a seconda della fase della procedura ad evidenza pubblica presa in considerazione: nella fase di scelta del contraente sino alla stipulazione del contratto, un potere di revoca in autotutela, dopo la stipula del contratto, invece, l’aggiudicazione definitiva può essere legittimamente revocata solo per effetto dell’annullamento d’ufficio[17].

 

 

 


[1] Un caso del genere si verificò quando venne revocata la concessione di illuminazione a gas in seguito all’introduzione dell’energia elettrica.
[2] Tra le tante, Cons. St., sez. V, sent. n. 120 dell’11 gennaio 2018; T.A.R. Cagliari, sez. I, sent. n. 2 del 3 gennaio 2019.
[3] T.A.R. Catanzaro, sent. n. 1176 del 1 luglio 2020 in cui viene chiarito che l’amministrazione conserva il potere di riesame dell’opportunità di atti anche dopo un lungo lasso temporale dalla loro adozion e che l’esercizio di tale potere non è sindacabile dal Giudice amministrativo se non per “macroscopici profili di eccesso di potere”.
[4] Figura, quella degli atti costitutivi di status, che in passato non è mai stata considerata come attaccabile da ripensamenti.
[5] G. CORSO, La responsabilità della pubblica amministrazione da attività lecita, in Diritto Amministrativo, n. 2/2009, pag. 203 e ss.
[6] Cons. St., sez. VI, sent. n. 633 del 1 febbraio 2013
[7] Cons. St., Ad. Plen., n. 5 del 4 maggio 2018
[8] Cons. St., sez. V, sent. n. 4912 del 10 agosto 2018
[9] Cons. St. sez. V, sent. n. 1599 del 21 aprile 2016 in cui un Comune, con delibera della nuova Giunta comunale, revocava una procedura di gara, indetta dal precedente organo esecutivo, per l’affidamento del servizio di illuminazione pubblica. Il termine per la presentazione delle domande di partecipazione non era ancora scaduto e la sopravvenuta revoca si basava su motivazioni attinenti al calo di finanziamenti ed alla possibilità di risparmiare risorse economiche ricorrendo ad un altro tipo di procedura. I giudici d’appello hanno ritenuto le motivazioni adottate dall’amministrazione assolutamente logiche e legittime, in grado di giustificare la scelta di revoca della gara, che rientra nella discrezionalità di cui l’ente è titolare.
[10] Ex plurimis, Cons. St., sez. III, sent. n. 3748 del 29 luglio 2015; Cons. St., sent. n. 4809 del 26 settembre 2013; Cons. St. sent. n. 2418 del 6 maggio 2013
[11] Cons. St., sez. III, sent. n. 1441 del 6 marzo 2018
[12] T.A.R. Latina, sent. n. 164 del 16 maggio 2020
[13] T.A.R. Genova, sent. n. 194 del 9 marzo 2017 fattispecie riferita ad una revoca giudicata illegittima per violazione dell’obbligo motivazionale. La motivazione del provvedimento di revoca veniva giudicata “inconsistente” rispetto al legittimo affidamento ingenerato nel soggetto secondo classificato alla procedura di gara. L’obbligo di motivazione della revoca è tanto più forte quanto più si avvicina la fase conclusiva delle procedure ad evidenza pubblica.
[14] C. PARANO, Commento a T.A.R. Roma, sez. I, sent. n. 13508 del 25 novembre 2019, in L’amministrativista.it del 17 aprile 2020.
[15] Cons. St., sez. VI, sent. n. 1457 del 6 marzo 2018 in cui l’amministrazione comunale veniva condannata al risarcimento del danno subito da imprenditori locali in seguito alla revoca di un’autorizzazione archeologica necessaria all’insediamento di uno stabilimento balneare. Una volta ottenuta l’autorizzazione, infatti, i ricorrenti avevano sostenuto investimenti e avviato i lavori per la costruzione della struttura turistica, lavori poco dopo interrotti a causa di un provvedimento di revoca della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio dell’amministrazione comunale.
[16] A.L. CRUCITTI, Il danno all’attività imprenditoriale conseguente ad illegittima occupazione di area e revoca di autorizzazione archeologica, in Ridare.it, fascicolo del 1 agosto 2018.
[17] Cons. St, Ad. Plen., sent. n. 14 del 20 giugno 2014

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Sara Foschi

Laureata in giurisprudenza presso l’Università di Bologna con una tesi in diritto industriale dal titolo “la brevettabilità delle invenzioni aventi ad oggetto cellule staminali embrionali”. Ultimata la pratica forense attualmente mi occupo di consulenza legale in materia di diritto civile ed amministrativo presso uno studio legale di Cesena.

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