La competenza territoriale nel delitto di estorsione a mezzo ricarica di una carta postepay

La competenza territoriale nel delitto di estorsione a mezzo ricarica di una carta postepay

La presente questione[1] trae spunto da un’interessante decisione emessa dalla Sezione penale del Tribunale di Perugia in data 26 giugno 2017 con la quale è stato affrontato il problema del locus commissi delicti nel delitto di estorsione realizzato mediante ricarica di una carta postepay. In particolare, il Tribunale si è espresso sul se, in ipotesi di estorsione realizzata mediante ricarica di carta postepay, il reato si considera consumato nel luogo in cui avviene il versamento, ovvero in quello in cui è stata attivata la carta ovvero, ancora, in quello in cui sono state prelevate o spese le somme.

La questione presenta una notevole importanza di ordine pratico sol che si pensi alla possibilità di concentrare in un unico Ufficio di Procura tutta l’attività investigativa e si manifesta, al tempo stesso, come assolutamente innovativa non essendo, come si vedrà, mai stata affrontata in maniera puntuale dalla Suprema Corte di Cassazione.

I fatti alla base dell’imputazione del delitto di estorsione sono molto comuni: un uomo e una donna minacciano ripetutamente la persona offesa di rivelare alla moglie una relazione extraconiugale. Le minacce sono accompagnare da insistenti richieste di denaro che hanno spinto la vittima ad effettuare versamenti di denaro, anche quotidiani, sulla carta postepay loro in uso, per un ammontare pari a circa euro 400 settimanali, per un totale pari a circa 15.000 euro.

Preliminarmente, deve evidenziarsi che il delitto di estorsione rappresenta un reato a doppio evento consumativo[2]. Invero, affinché il delitto di cui all’art. 629 cod. pen. possa ritenersi consumato – e non già meramente tentato – è necessario che ricorrano entrambi gli eventi richiesti dalla disposizione richiamata ed, in particolare, sia quello di danno relativo alla persona offesa, sia quello dell’ingiusto profitto relativo alla sfera giuridica del soggetto agente.

Come sopra accennato, la questione relativa alla competenza territoriale non è mai stata toccata direttamente dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle ipotesi di estorsione a mezzo ricarica di carta postepay. Tuttavia, la Suprema Corte di Cassazione, con alcune pronunce relative ad ipotesi di truffe on line poste in essere attraverso ricarica su carta postepay da parte della persona offesa – ha, invero, enunciato il principio di diritto a mente del quale «Nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie “postepay”), il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poiché tale operazione ha realizzato contestualmente sia l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente, che ottiene l’immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima»[3].

La Cassazione, in definitiva, ha affermato che nella peculiare ipotesi in cui il profitto della c.d. truffa contrattuale commessa a mezzo internet venga corrisposto attraverso la specifica modalità rappresentata dalla ricarica di una carta postepay – ma identico principio di diritto sarebbe con ogni evidenza destinato a trovare applicazione anche in ordine al delitto di estorsione – il locus ed il tempus commissi delicti vadano rispettivamente individuati nel luogo (id est, l’ufficio postale presso il quale viene materialmente disposta dalla persona offesa la ricarica della carta postepay) e nel momento di effettivo invio della ricarica.

Ciò posto, il Tribunale di Perugia con la sentenza in esame si discosta in maniera decisiva dalle conclusioni rassegnate dalla Cassazione limitatamente all’ipotesi di truffa (ovvero di estorsione) commessa attraverso ricarica di carta postepay.

Invero, a parere del Collegio, appare senz’altro preferibile l’opposto orientamento recepito, tra le altre, in una pronuncia di legittimità di poco precedente a mente della quale «Nell’ipotesi di truffa contrattuale realizzata attraverso la vendita di beni ed il conseguente pagamento “on line”, il reato si consuma nel luogo ove l’agente consegue l’ingiusto profitto e non già in quello in cui viene data la disposizione per il pagamento da parte della persona offesa[4]».

A tale conclusione conduce, a parere del Tribunale, proprio la natura del delitto di estorsione quale reato a duplice evento consumativo e dalla quale conseguono alcune decisive conseguenze di ordine sia teorico che pratico.

In primo luogo, possono agevolmente prefigurarsi numerose ipotesi nelle quali gli eventi di danno e di ingiusto profitto si realizzano, pur a fronte di un trasferimento di fondi effettuato mediante ricarica su carta postepay, in luoghi ed in tempi diversi (ovvero ancora fattispecie nelle quali, più radicalmente, l’ingiusto profitto non viene affatto conseguito da parte dell’autore del reato): «può farsi l’esempio, invero assai frequente nella prassi giudiziaria, in cui il soggetto agente (magari perché già gravato da numerosi precedenti penali che lo renderebbero agevolmente “riconoscibile” da parte delle potenziali vittime) richieda ed ottenga da parte della persona offesa una ricarica su carta postepay intestata ad una terza persona, del tutto ignara della commissione del reato, confidando di sottrarle in un secondo momento la carta medesima ed il relativo codice segreto per prelevare l’importo corrisposto dal soggetto ingannato, conseguendo soltanto in tale successivo momento il profitto relativo al reato commesso. Potrebbe ancora farsi l’esempio della ricarica effettuata su carta postepay, medio tempore sottoposta a sequestro nell’ambito di diverso procedimento penale per identico o analogo titolo di reato: anche in tale peculiare ipotesi, luogo e tempo di realizzazione degli eventi di danno e di ingiusto profitto non solo risultano logicamente non coincidenti, ma il secondo dei due – ben più radicalmente – verosimilmente non sarà più conseguito dall’autore dell’illecito. Si pensi infine – tra le altre – all’ipotesi del soggetto agente che, per errore nella comunicazione alla vittima del numero di carta postepay sul quale effettuare la ricarica (ovvero per effetto dello smarrimento della propria carta postepay), consegua solo a notevole distanza di tempo la disponibilità del relativo importo (magari solo dopo l’espletamento di un lungo iter burocratico finalizzato a dimostrare all’ufficio postale competente di essere l’effettivo beneficiario della somma oggetto di trasferimento)»[5].

Tutti gli esempi sin qui rassegnati – pur nelle peculiarità innegabili che valgono a contraddistinguerli – sembrerebbero attestare per tabulas – su un piano fattuale, prima ancora che giuridico – l’erroneità dell’assunto secondo cui nel momento e nel luogo di effettuazione della ricarica si realizzerebbero contestualmente ed invariabilmente sia l’evento di danno, sia l’ulteriore evento rappresentato dall’ingiusto profitto conseguito dal soggetto agente.

Tali eventi, per le ragioni che si è cercato di illustrare sinteticamente ed al di là degli specifici esempi addotti, mantengono una propria autonomia sia naturalistica, sia giuridica con ogni consequenziale statuizione in punto di individuazione del Giudice (naturale, precostituito per legge) territorialmente competente ai sensi degli artt. 8 e ss. c.p.p.

A fronte della predicata autonomia tra i due eventi di danno e di profitto cui si è più volte fatto riferimento, appare frutto di una – invero difficilmente sostenibile – forzatura ermeneutica concludere nel senso di un’incondizionata prevalenza del primo evento di danno a scapito del secondo relativo all’ingiusto profitto; evento, quest’ultimo, al quale il legislatore ha infatti dimostrato di attribuire pari dignità rispetto al primo in ordine alla consumazione del delitto per cui è processo.

Del resto – e si tratta di una seconda decisiva considerazione – anche relativamente all’estorsione commessa mediante richiesta di ricarica di carta postepay da parte della vittima risulta agevolmente prefigurabile l’ipotesi del tentativo – in specie, quello compiuto – sussistendo quest’ultimo, in particolare, tutte le volte in cui (come reso evidente, peraltro, anche da alcuni degli esempi poc’anzi riportati) a fronte della sicura realizzazione di un danno in capo alla persona offesa non faccia seguito (ovvero non faccia contestualmente seguito) l’ulteriore evento dell’ingiusto profitto in capo all’autore dell’illecito (ad esempio nell’ipotesi di smarrimento della carta ove l’accredito è stato materialmente effettuato).

Per tutte le ragioni sin qui compendiate, in definitiva, in tanto un delitto di estorsione (compresa quella realizzatasi attraverso una ricarica di carta postepay da parte della persona offesa) può dirsi consumato – anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 8, primo comma, c.p.p. – in quanto vi sia stato l’effettivo conseguimento dell’ingiusto profitto da parte del soggetto agente; altrimenti opinando, come condivisibilmente rilevato dalla dottrina più sensibile, si correrebbe il rischio di derubricare l’evento in questione a mera condizione obiettiva di punibilità ex art. 44 c.p.[6].

Non può del resto sottacersi – come affermato in apertura – che il criterio di individuazione del Giudice territorialmente competente che il Tribunale di Perugia ha ritenuto di prediligere possiede l’innegabile pregio (specie al ricorrere di condotte delittuose seriali, come ad esempio le truffe contrattuali commesse a mezzo internet) di garantire una efficiente concentrazione dell’attività di investigativa presso un unico Ufficio di Procura, evitando in tal modo il rischio di un’incontrollata proliferazione di procedimenti penali coinvolgenti più persone offese, pur a fronte di un’unica inserzione fraudolenta posta in essere a mezzo internet dall’autore del reato[7].

Tanto rappresentato, preme rimarcare che la distinzione talvolta operata dalla Corte Suprema di Cassazione – nell’ambito del contrasto giurisprudenziale che si è già avuto modo di segnalare – con riguardo alle peculiarità insite in taluni mezzi di pagamento (in primis, ricarica di carta postepay ovvero effettuazione di un bonifico bancario) appare non persuasiva.

Nella pronuncia Cass. pen., sez. II, 25 ottobre 2016, n. 49321 ad esempio, la conclusione circa l’inevitabile individuazione del tempo e del luogo di consumazione del reato in quello in cui la persona offesa ha effettuato il versamento di denaro sulla carta postepay viene giustificato in considerazione del fatto che nel caso di pagamento effettuato tramite ricarica di carta postepay, la spoliazione della persona offesa sarebbe (a differenza del vaglia postale o del bonifico bancario) immediata ed irrevocabile e l’accredito della provvista in favore del soggetto agente è pressoché contestuale rispetto alla deminutio patrimonii del soggetto passivo. Si aggiunge inoltre che, «in ogni caso, il pagamento non è revocabile e, a prescindere dalla data di accredito dell’importo sul conto del beneficiario, il reato si è consumato con l’ormai definitiva lesione patrimoniale del raggirato».

Sarebbe in definitiva l’immediata irreversibilità per il disponente ed il contestuale arricchimento per il soggetto agente i profili differenziali tali da giustificare i principi di diritto ordinariamente pronunciati in caso di trasferimento fondi effettuato, tra gli altri, tramite bonifico bancario.

Ebbene, l’immediata irreversibilità per il disponente del trasferimento di fondi è circostanza senz’altro possibile anche nell’ipotesi di bonifico bancario, ancorché con riguardo a quest’ultima ipotesi la Corte di legittimità richieda per la consumazione del delitto, del tutto condivisibilmente, il successivo prelevamento della relativa somma di denaro[8]. Ogni istituto bancario – come è noto – consente la revocabilità ad nutum dei bonifici entro un orario limite, superato il quale l’atto dispositivo diviene definitivo per colui che ha disposto l’operazione. In caso di effettuazione del bonifico bancario a ridosso dell’orario suddetto, a ben vedere, l’immediata irreversibilità per il disponente del trasferimento di fondi verrebbe a concretizzarsi in guisa pressoché identica a quanto accade nell’ipotesi di ricarica di carta postepay.

Ad avviso del Collegio, la circostanza che in caso di ricarica postepay il soggetto agente consegua la disponibilità immediata in senso giuridico della somma di denaro oggetto di trasferimento non risulta, da sé sola, circostanza idonea a giustificare l’abbandono dei condivisibili principi di diritto enunciati da tempo con riguardo ai trasferimenti a mezzo bonifico bancario, risultando necessario – anche in caso di ricarica postepay – che alla disponibilità della somma in senso giuridico faccia successivamente seguito una disponibilità in senso materiale/effettivo attraverso il prelevamento delle somme in questione ovvero la spendita delle stesse tramite pagamento a mezzo p.o.s., circostanze quest’ultime stavolta senz’altro idonee a determinare il perfezionamento dell’evento di profitto richiesto dalla fattispecie incriminatrice in contestazione.

Deve, in definitiva, concludersi che ai fini della determinazione della competenza territoriale ai sensi degli artt. 8 e ss. c.p.p. occorra avere riguardo: 1) nei casi di pagamento a mezzo vaglia postale, al luogo ove il vaglia viene materialmente riscosso; 2) nei casi di pagamento a mezzo bonifico, al luogo ove ha sede la filiale presso la quale l’autore della condotta ha acceso il conto corrente su cui sono state accreditate le somme tramite bonifico bancario; 3) nei casi di pagamento a mezzo ricarica di carta prepagata (postepay e simili), e ove detta carta sia “appoggiata” su un conto corrente bancario o postale, al luogo ove hanno sede la filiale della banca o l’ufficio postale presso il quale è stato acceso il conto medesimo; 4) nei casi di pagamento a mezzo ricarica di carta prepagata (postepay e simili), e ove detta carta non sia “appoggiata” ad alcun conto corrente, al luogo ove hanno sede l’ufficio o l’esercizio commerciale presso il quale la carta prepagata è stata attivata[9].

Laddove le indagini espletate non abbiano consentito di acquisire alcuno dei dati di cui ai punti precedenti, ai sensi dell’art. 9, secondo comma, c.p.p. occorre avere riguardo, in ordine successivo, al luogo di residenza, dimora o domicilio dell’imputato.


[1] Giacomo Romano, La competenza territoriale nel delitto di estorsione a mezzo ricarica di una carta postepay, Gazzetta Forense n. 2, Giapeto Editore, Napoli, 2018.

[2] Sulla rilevanza del profilo segnalato ai fini della delibazione per la competenza per territorio, cfr. ex plurimis, Cass. pen., sez. I, 13 marzo 2015, n. 25230.

[3] cfr. per tutte sul punto, Cass. pen., sez. I, 13 marzo 2015, n. 25230 nonché, da ultimo, Cass. pen., sez. II, 10 gennaio 2017, n. 14730. Nella motivazione della pronuncia del marzo 2015 si legge testualmente: «In tema di truffa le Sezioni Unite penali di questa Corte hanno di recente ribadito che trattasi di reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la “deminutio patrimoni” del soggetto passivo (S.U. – 16.12.98, Cellammare, CED 212079). La giurisprudenza di questa Corte, inoltre, è concorde nel ritenere che la truffa cd. contrattuale, quale è quella per cui si procede, è un reato di danno che si consuma nel momento in cui si verifica l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato (cfr. ex plurimis, sez. 2 – 29.01.98, Stabile, CED. 209671; sez. 2 – 16.04.97, Tassinari, CED 207831). Danno che non solo deve avere contenuto economico, ma deve consistere anche per il soggetto passivo in una lesione del bene tutelato, concreta ed effettiva, e non soltanto potenziale (S.U., 22.03.69, P.M. c/Carraro, Cass. pen. 1969, pag. 1023; S.U., 30.11.74, Forneris, Cass. pen. 1975, pag. 741.). Va, infatti, osservato che la truffa è un reato che prevede, come elementi costitutivi, due requisiti: il conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente e il danno da parte del soggetto leso: solo quando entrambi questi due elementi si sono verificati, la truffa può dirsi consumata proprio perché la condotta ingannatrice (alla quale sono riconducibili causalmente i due suddetti eventi) si è completamente realizzata. Nei casi tipici in cui l’oggetto materiale del reato è costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è stato indicato in quello dell’acquisizione da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa. Nel caso in esame, tuttavia, il raggiro è stato realizzato attraverso l’uso di una carta postepay ricaricabile che consente il versamento di denaro su una carta propria o di terzi. Il conseguimento del profitto da parte del soggetto truffatore si è verificato nel momento stesso in cui la parte offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta ricaricabile a lui intestata. Detto versamento ha infatti realizzato contestualmente l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente, che ha avuto immediatamente a disposizione la somma versata, e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato».

[4] cfr. Cass. pen., sez. II, 4 novembre 2014, n. 7749. Principio di diritto, peraltro, ribadito anche da ultimo anche da Cass. pen., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 48027 con la quale è stato nuovamente affermato il principio di diritto a mente del quale «Nell’ipotesi di truffa contrattuale realizzata attraverso la vendita di beni “on line”, in cui il pagamento da parte della parte offesa avvenga tramite bonifico bancario con accredito su conto corrente, il reato si consuma nel luogo ove l’agente consegue l’ingiusto profitto tramite la riscossione della somma e non già in quello in cui viene data la disposizione per il pagamento da parte della persona offesa; qualora, invece, non sia determinabile il luogo di riscossione, si applicano – per la determinazione della competenza territoriale – le regole suppletive previste dall’art. 9 cod. proc. pen.».

[5] cfr. Trib. Perugia, sez. penale, 26 giugno 2017, Pres. Est. Loschi.

[6] Le conclusioni sin qui rassegnate sono state recentemente condivise anche dalla Procura Generale presso la Corte Suprema di Cassazione (cfr., ex plurimis, decreti nn. 295/2015 e 281/2015 del novembre 2015). Nei provvedimenti richiamati la Procura Generale, ponendosi in consapevole contrasto con l’opposto indirizzo accolto nel 2015 dai Giudici di Legittimità (ed inizialmente sostenuto anche dalla stessa Procura Generale), ha ribadito che il momento consumativo della truffa – ma si tratta di conclusione, mutatis mutandis, senz’altro valevole anche nella vicenda per la quale si procede in questa sede – va individuato nell’istante dell’effettivo conseguimento (attraverso riscossione o utilizzazione) delle relative somme di denaro da parte dell’autore del reato poiché è solo in tale luogo ed in tale preciso momento che si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la (altrimenti solo potenziale) lesione del patrimonio della persona offesa.

[7] Con maggiore impegno esplicativo e per esemplificare, a fronte di un unico annuncio potenzialmente decettivo, si assisterebbe ad una molteplicità di iscrizioni presso ciascuna Procura della Repubblica in dipendenza dei più disparati luoghi di residenza o domicilio delle singole persone offese, con conseguente pregiudizio – come rilevato dalla Procura Generale nel decreto 281/2015 – per l’efficacia complessiva dell’attività investigativa e di coordinamento nonché con un’inutile moltiplicazione dell’impegno delle forze dell’ordine e della magistratura.

[8] in termini, Cass. pen., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 48027 nonché, in precedenza, Cass. pen., sez. I, 13 marzo 2015, n. 25230.

[9] Il riferimento va al luogo di effettiva riscossione o spendita della somma accreditata, applicando – mutatis mutandis – i principi di diritto affermati da Cass. pen., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 48027 che si sono già in precedenza richiamati.


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Avv. Giacomo Romano

Ideatore e Coordinatore at Salvis Juribus
Nato a Napoli nel 1989, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nell’ottobre 2012 con pieni voti e lode, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Le c.d. clausole esorbitanti nell’esecuzione dell’appalto di opere pubbliche", relatore Prof. Fiorenzo Liguori. Nel luglio 2014 ha conseguito il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Subito dopo, ha collaborato per un anno con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli occupandosi, prevalentemente, del contenzioso amministrativo. Nell’anno successivo, ha collaborato con uno studio legale napoletano operante nel settore amministrativo. Successivamente, si è occupato del contenzioso bancario e amministrativo presso studi legali con sede in Napoli e Verona. La passione per l’editoria gli ha permesso di intrattenere una collaborazione professionale con una nota casa editrice italiana. È autore di innumerevoli pubblicazioni sulla rivista “Gazzetta Forense” con la quale collabora assiduamente da giugno 2013. Ad oggi, intrattiene collaborazioni professionali con svariate riviste di settore e studi professionali. È titolare di “Salvis Juribus Law Firm”, studio legale presso cui, insieme ai suoi collaboratori, svolge quotidianamente l’attività professionale avendo modo di occuparsi, in particolare, di problematiche giuridiche relative ai Concorsi Pubblici, Esami di Stato, Esami d’Abilitazione, Urbanistica ed Edilizia, Contratti Pubblici ed Appalti.

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