La legittimazione ad agire degli enti esponenziali: possibili profili di incompatibilità con l’art. 81 c.p.c.

La legittimazione ad agire degli enti esponenziali: possibili profili di incompatibilità con l’art. 81 c.p.c.

L’ente esponenziale è una persona giuridica rappresentativa di interessi meta individuali, facenti capo ad una precisa comunità di soggetti. Giova sin da subito precisare come la titolarità degli interessi riconducibili ad un ente esponenziale non implica che questo sia privo di una titolarità diretta: l’interesse dell’ente non può intendersi come la sommatoria degli interessi del singolo ma come un interesse autonomo e proprio di questo. L’interesse di cui è titolare l’ente è un interesse di natura collettiva, ossia l’interesse vantato da un gruppo ben individuato di persone e riconducibile ad un bene comune. Si pensi alle associazioni ambientalistiche, il cui scopo è quello di tutelare e proteggere gli interessi legati all’ambiente o ancora a quelle consumeristiche, la cui finalità è connessa alla tutela delle ragioni dei consumatori, specie nei contratti connotati da asimmetria informativa o allorquando subiscano pratiche commerciali scorrette o aggressive.

L’interesse collettivo si distingue dall’interesse diffuso, ritenuto adespota in quanto non riconducibile ad una sfera determinata di soggetti e come tale non suscettibile di immediata tutela.

La differenza tra interesse diffuso e interesse collettivo assume rilevante importanza nell’ambito del riconoscimento in capo all’ente esponenziale di una legittimazione ad agire in giudizio per la tutela di tali interessi, qualora siano lesi da un atto della P.A., potendo gli stessi rientrare nel genus dell’interesse legittimo. Si è sostenuto in giurisprudenza come gli interessi di cui sopra non sono propriamente tra loro differenti ma il secondo costituisce conseguenza dell’altro, nel caso in cui il primo sia personificato da un ente esponenziale. In altri termini, l’interesse diffuso collegato ad un bene comune diverrebbe collettivo nel momento in cui un ente, ad esempio in forma di associazione, abbia quale propria finalità quella di proteggere detti interessi in modo da potersi facilmente individuare il titolare di quell’interesse prima adespota. L’interesse diffuso, proprio perché non riconducibile ad una precisa collettività, non può ricevere tutela giurisdizionale in quanto mancherebbe una delle condizioni dell’azione, quello della legittimazione. Ecco quindi che il ruolo dell’ente esponenziale diviene determinante al fine di garantire, in linea di principio, una tutela ad interessi meta individuali.

Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale si è incentrato non solo nell’individuazione della sottile linea di confine tra interesse diffuso e interesse collettivo ma altresì nello stabilire se e in che modo potesse effettivamente riconoscersi una legittimazione ad agire in capo all’ente esponenziale. Una volta risolta la prima questione la giurisprudenza amministrativa si è divisa circa la natura di detta legittimazione, se generale o eccezionale.

Anche nel processo amministrativo, la legittimazione ad agire è una delle condizioni dell’azione, in assenza del quale il giudice non può decidere nel merito, e consiste nella titolarità della posizione giuridica soggettiva, sia essa diritto soggettivo o interesse legittimo, per cui si chiede tutela. Si distingue dall’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c. che consiste nell’interesse concreto ed attuale nell’introitare una determinata azione a tutela della posizione giuridica soggettiva. Orbene, è principio cardine del diritto processuale quello previsto dall’art. 81 c.p.c. alla cui stregua nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui, salvo che la legge disponga diversamente. Come verrà chiarito funditus nel prosieguo, parte della giurisprudenza amministrativa ha concluso per la natura eccezionale della legittimazione ad agire degli enti esponenziali sulla base della norma citata.

Posto che gli enti esponenziali sono titolari di interessi propri seppur riconducibili a interessi meta individuali strettamente connessi a beni comuni, la giurisprudenza si è interrogata negli anni circa le condizioni entro le quali possa dirsi sussistente in capo a questi una legittimazione ad agire. Secondo un primo orientamento, gli enti esponenziali possono agire in giudizio solo alle condizioni e nei casi espressamente previsti dalla legge. Non può sostenersi una legittimazione ad agire generalizzata degli enti atteso che è necessaria una apposita previsione normativa che indichi le particolari caratteristiche dell’ente, l’interesse per cui intende azionare la tutela, le modalità e le azioni effettivamente esperibili. Ne sono un esempio le ipotesi previste rispettivamente dal Codice dell’Ambiente, di cui al D.lgs. n. 152/2006, e dal Codice del Consumo, D.lgs. n. 206/2005. Nel primo caso, l’art. 310 nel prevedere la possibilità di ricorrere al G.A. per l’annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni dello stesso Codice o per il silenzio inadempimento o per il risarcimento del danno subito per il ritardo nell’attivazione delle misure di precauzione, prevenzione e contenimento danno ambientale, riconosce la legittimazione ad agire anche alle persone giuridiche “che sono o potrebbero essere colpite dal danno ambientale” o che vantino un interesse legittimante la loro partecipazione al relativo procedimento. La norma cui rinvia l’art. 310 inoltre menziona altresì le organizzazioni non governative che promuovono la protezione ambientale di cui all’art. 13 della L. n. 349/1986. Il codice del consumo, nello specifico caso delle pratiche commerciali scorrette, ripartisce la giurisdizione tra G.O. e G.A. a seconda che esse siano o meno state assentite mediante provvedimento amministrativo, fermo restando la giurisdizione del primo in materia di atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c., e stabilisce che la tutela “delle organizzazioni che vi abbiano interesse” è esperibile con ricorso al G.A. È evidente come la norma risulti poco chiara nella misura in cui non specifica quali siano dette organizzazioni e quale possa essere la natura dell’interesse vantato.

A tal proposito, un altro orientamento ha ritenuto che la legittimazione ad agire spetti agli enti esponenziali non soltanto nei casi previsti dalla legge ma altresì in tutte quelle altre ipotesi in cui possa essere riconosciuta sulla base di determinati criteri. Si è sostenuto come per agire in giudizio non sia necessario che l’ente abbia personalità giuridica ma che in base al suo statuto risulti che effettivamente il fine perseguito sia quello della protezione e della tutela di quel determinato interesse; che presenti una struttura organizzativa stabile tale da consentire lo svolgimento delle attività connesse agli obiettivi dello statuto in maniera non occasionale; che lo stesso sia territorialmente vicino al luogo in cui risulta essere localizzato l’interesse oggetto di tutela; che sia effettivamente rappresentativo di quei soggetti che mediante l’ente richiedono tutela della posizione giuridica correlata al bene comune. L’impostazione ermeneutica in esame ha inaugurato il sistema del doppio binario, alla cui stregua si riconosce ad un ente esponenziale la legittimazione ad agire non solo nei casi previsti dalla legge ma anche attraverso un approccio di tipo sostanziale, che consente di valutare in concreto la sussistenza dei requisiti sopra accennati.

Altra questione, strettamente connessa a quella relativa alle modalità con cui ritenere sussistente una legittimazione ad agire in capo all’ente esponenziale, è quella che investe la natura della stessa, ossia se debba considerarsi generale o eccezionale. Si anticipa che di recente è intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 6/2020) al fine di chiarire la portata del dibattito giurisprudenziale, concludendo per una legittimazione ad agire degli enti esponenziali di tipo “sostanziale” e generale.

Parte della giurisprudenza amministrativa ha concluso per l’eccezionalità della legittimazione ad agire degli enti esponenziali sulla base dell’art. 81 c.p.c. La norma citata sarebbe espressione di un principio generale, quello per cui nessuno può far valere in giudizio un diritto altrui in nome proprio se non nei casi previsti dalla legge. Orbene, gli enti esponenziali non sarebbero effettivamente titolari degli interessi riconducibili ad un bene comune e per la cui tutela si intenderebbe agire: si assisterebbe ad una fictio iuris ogniqualvolta la legge riconosca all’ente la legittimazione ad agire. In realtà, esso agirebbe in giudizio per la tutela di diritti altrui, nel caso quello della collettività che rappresenta, e non perché sia effettivamente titolare degli stessi. Ne consegue che i casi in cui il legislatore prevede la possibilità per gli enti di agire in giudizio dinanzi al G.A. sono casi eccezionali alla stregua dell’art. 81 c.p.c.

Di diverso avviso quella parte della giurisprudenza che ha ravvisato nelle apposite previsioni normative più che un intento di circoscrivere e limitare le ipotesi di legittimazione attiva degli enti, quello di dar rilievo all’importanza del problema. Infatti, non può ritenersi che l’intervento del legislatore sia dettato dalla finalità di ridurre i casi in cui l’ente possa agire in giudizio a tutela degli interessi meta individuali, ritenendole ipotesi eccezionali. Una simile impostazione lederebbe inevitabilmente il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., oltre che condurrebbe ad ammettere nell’ordinamento giuridico casi di legittimazione attiva “limitati” o “monchi”. La tutela giurisdizionale deve essere piena ed effettiva, specie nei casi in cui investa beni di valore costituzionale come l’ambiente e il territorio, la libertà di iniziativa economica. Ancora, non ammettere una piena legittimazione ad agire agli enti lederebbe altresì il diritto di associarsi liberamente di cui all’art. 18 Cost., specie qualora lo scopo stesso dell’ente sia quello di apprestare tutela e protezione a determinati interessi meta individuali. Non solo, ne risentirebbe altresì il principio di sussidiarietà orizzontale previsto dall’art. 118 Cost. alla cui stregua Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale: non può di certo obiettarsi come la tutela di interessi meta individuali, specie se inerenti beni costituzionalmente protetti, rientri nel novero delle attività di interessi generali. Di conseguenza, la legittimazione ad agire per gli enti esponenziali ha natura generale ed è individuata altresì sulla base dei criteri elaborati negli anni dalla giurisprudenza. Questa tesi ha ricevuto l’avallo dell’Adunanza Plenaria che ha avuto modo di soffermarsi ad analizzare anche quei casi in cui il legislatore, oltre a riconoscere la sussistenza della legittimazione ad agire in capo all’ente, preveda espressamente quali azioni possa esperire. Nella specie, ci si è chiesti se un ente esponenziale, sussistente la giurisdizione del G.A., possa ricorrervi al fine di esperire l’azione di annullamento, pur nel silenzio della legge. Accedendo alla soluzione positiva, l’Adunanza Plenaria ha rilevato che il giudizio dinanzi al G.A. è prima di tutto un giudizio impugnatorio con finalità caducatoria del provvedimento e, pertanto, qualora sussista la giurisdizione generale di legittimità del G.A. non si comprende bene perché debba escludersi la possibilità per l’ente di esperire l’azione di annullamento. In definitiva, nell’ottica di una effettiva e piena tutela giurisdizionale degli interessi meta individuali non può ritenersi che la legittimazione ad agire degli enti esponenziali abbia carattere eccezionale e sia solamente riconosciuta quando sia la legge ad ammetterla.

Gli interessi di cui è portatore l’ente esponenziale, di natura collettiva, non devono ritenersi come la sommatoria degli interessi dei singoli associati ma sono riconducibili all’ente stesso. L’ente persegue sue finalità e, se tra queste rientra altresì la tutela degli interessi di cui è portatore, devono riconoscersi gli strumenti necessari per attuarla, tra cui la stessa legittimazione attiva, in virtù anche dei valori costituzionali coinvolti.


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Lia Manuela Chiarenza

Laureata con lode presso l'Università degli Studi di Catania. Abilitata all'esercizio della professione forense con il massimo dei voti, consulente giuridico, già tirocinante ex art. 73 D.l. 69/2013 presso la Corte di Appello di Caltanissetta, sezione unica civile.

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