Le Autorità amministrative indipendenti: la natura giuridica ed i relativi riflessi in punto di legittimazione a ricorrere

Le Autorità amministrative indipendenti: la natura giuridica ed i relativi riflessi in punto di legittimazione a ricorrere

La genesi del fenomeno delle Autorità indipendenti deriva dalla rilevante intrusività dei partiti nella vita politica, che ha causato un deterioramento della struttura amministrativa. Nascono, dunque, nuove entità amministrative indipendenti ed ad alto tasso di imparzialità, in quanto libere da legami politici che ne possano condizionare l’operato.

La penetrazione delle c.d. ‘Authorities’ nell’ordinamento giuridico è dovuto, altresì, all’emersione di interessi e valori sostanziali rispetto ai quali le amministrazioni tradizionali si sono dimostrate impreparate. Si è percepito, infatti, che la gestione di settori sensibili, coinvolgenti la tutela di interessi di particolare rilevanza costituzionale, necessita dell’apporto qualificato tecnicamente di organismi di garanzia indipendenti. Difatti, la suddetta insoddisfazione per le capacità mostrate dalle amministrazioni pubbliche concerne proprio la gestione di problematiche attinenti materie caratterizzate da un elevato tasso di tecnicismo.

In sostanza, quindi, le Autorità indipendenti sono dei corpi amministrativi contraddistinti da una rilevante neutralità ed indipendenza dal potere politico, nonché da un notevole livello di competenze tecniche in ordine a settori sensibili del tessuto ordinamentale.

Una prima problematica riguarda la qualificazione giuridica delle ‘Authorities’ e trae origine proprio dalle peculiarità che le differenziano dalle classiche PA. In via preliminare è comunque opportuno rilevare che vi sono senz’altro settori in cui l’agire delle Autorità indipendenti non si discosta da quello della PA, poiché trattasi pur sempre di funzioni rientranti nell’alveo delle attività della stessa, accentuandone l’aspetto dell’imparzialità, del resto costituente imperativo generale per tutte le PA ai sensi dell’art. 97 Cost.

Altre volte, invece, le funzioni esercitate dalle ‘Authorities’ si affrancano dalle categorie amministrative, ed è appunto in queste situazioni che è possibile riscontrare profili problematici in ordine alla loro natura giuridica. In quest’ottica, ad esempio, il Garante espleta una funziona c.d. ‘giusdicente’, di garanzia dell’applicazione della legge nel settore specifico, potendo usufruire di poteri normativi, regolatori, di controllo, di risoluzione dei conflitti, finanche di poteri sanzionatori. In tali casi, dunque, l’obiettivo primario delle Autorità indipendenti, ossia il controllo di legalità, è del tutto assimilabile a quello giurisdizionale, nei cui confronti si pone in un’ottica di anticipazione della relativa tutela.

Ebbene, a tal proposito, l’orientamento dottrinale prevalente ritiene che tale assimilazione non deve comportare la qualificazione di detti organismi alla stregua di giudici. Tale asserzione si basa sul fatto che nell’assetto costituzionale non si è un ‘tertium genus‘ fra amministrazione e giurisdizione, ossia una funzione paragiurisdizionale che non sia meramente descrittiva e priva di rilevanza giuridica sul piano della natura delle Autorità di cui trattasi e dei relativi atti. Tale tesi, quindi, secondo cui le Autorità, lungi dal costituire un quarto potere, si atteggiano alla stregua di PA caratterizzate da profili peculiari, è in definitiva corroborata dalla decisiva considerazione che, stante l’impossibilità di definire l’attività amministrativa attraverso un criterio contenutistico, giacché una caratterizzazione oggettiva di essa non esiste a livello costituzionale, non resta che definirla secondo un criterio residuale: è attività amministrativa tutto ciò che non è di competenza dei giudici e delle Camere.

Può così concludersi che le Authorities hanno natura amministrativa e pertanto l’attribuzione di funzioni contenziose non elimina la necessaria soggezione di ogni atto delle Autorità ad un controllo giudiziario. In merito ai poteri sopracitati attribuiti alle Authorities, notevole rilievo ha assunto l’art. 21bis della legge 287/90 (così come modificata dalla legge 214/2011), il quale sancisce la legittimazione processuale dell’Autorità Antitrust. In ordine alla sua portata innovativa, consistente appunto nell’attribuzione ad un’Autorità della possibilità di impugnare in giudizio atti emanati da altre amministrazioni, sono sorti dei problemi.

Anzitutto, ci si è chiesti se si può riconoscere all’Autorità in questione la titolarità della posizione soggettiva sostanziale di interesse legittimo e la sussistenza dell’interesse ad agire nel rapporto processuale. Taluni autori escludono che l’Authority sia portatrice di un interessi legittimo, dato che essa agisce invece per la tutela di un interesse generale alla concorrenza. Di conseguenza, l’assenza di un interesse legittimo andrebbe poi a condizionare anche la possibilità di invidividuare un interesse ad agire, dal momento che, agendo per l’attuazione della legge (le norma a tutela della concorrenza), anziché per l’attuazione dei propri interessi, il ricorso dell’Autorità perderebbe i caratteri di personalità e concretezza necessari ai fini della sussistenza dell’interesse processuale.

Tale conclusione, tuttavia, pone problemi di compatibilità dell’articolo in esame con la natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che trova riconoscimento nell’art. 103 Cost., in virtù del quale agli organi di giurisdizione amministrativa è attribuito il compito di tutelare i cittadini titolari di situazioni giuridiche vere e proprie. Talaltri autori, invece, affermano la piena compatibilità dell’art. 21bis con l’art. 103 Cost., muovendo dalla considerazione che l’Antitrust è portatrice di un interesse particolare e differenziato. Verrebbe cosi in gioco un ente pubblico titolare ‘ex lege’ di un interesse alla tutela della concorrenza, che essendo attribuito ad un soggetto specifico che si differenzia dalla collettività indistinta, si trasforma da interesse diffuso in collettivo, diventando quindi un interesse legittimo.

Le statuizioni dei giudici amministrativi e della Corte Cost. sembrano avallare la tesi dottrinale che approva la legittimazione ad agire dell’Antitrust: le suddette pronunce tendono, infatti, a minimizzare i rischi di sconfinamento in una giurisdizione di tipo oggettivo. In effetti, secondo i giudici, l’Antitrust quando instaura un giudizio ex art. 21bis è titolare di una situazione giuridicamente rilevante che ha ad oggetto il corretto funzionamento del mercato quale bene della vita. Essa sarebbe, quindi, titolare di un interesse pubblico, particolare e differenziato, finalizzato alla migliore attuazione della concorrenza.

Secondo tale impostazione, l’interesse a ricorrere può individuarsi nel semplice interesse a rimuovere un atto lesivo della concorrenza, che garantirebbe all’Antitrust il risultato di vedere ripristinata la legalità violata. Orbene, l’esame del dettato normativo  della ratio, consistente come già rilevato, nel tutelare la concorrenza, consente di comprendere che il potere che l’Antitrust esercita nei confronti di un atto di altra amministrazione non è di autotutela discrezionale, ma un potere di ‘rinvio’ vincolato. Ciò significa che l’impugnazione avrà per oggetto il provvedimento originario e non il mancato ritiro delle stesso e che, dunque, il sindacato del giudice non riguarderà la sussistenza dei presupposti dell’autotutela, ma, in via diretta, a legittimità dell’atto originario lesivo delle regole concorrenziali.

Tale modello è stato esteso all’ANAC con la nuova formulazione dell’art. 211 del codice dei contratti pubblici, tramite l’introduzione dei commi 1bis e 1ter. Il comma 1bis attribuisce all’ANAC, che come noto si occupa di controllare la legalità degli appalti pubblici, il potere di agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi e degli altri atti rilevanti laddove ritenga che essi ledano le disposizione normative in materia di contratti pubblici.

Il comma 1ter, invece, consente all’ANAC di inviare un parere ad na stazione appaltante nel caso in cui abbia riscontrato delle violazioni perpetrate dalla stesa, ed in caso di mancata conformazione a tale parere, l’Autorità può presentare ricorso al GA. In ordine all’emanazione di tali commi è sorta la problematica relativa alla loro autonomia o interdipendenza. La tesi che accoglie la distinzione dei poteri conferiti dalle nuove disposizioni è quella recepita dall’ANAC, come si evince dal Regolamento che la stessa Autorità ha deciso di emanare per regolare tali poteri.

Anche in questo caso, come quanto già analizzato per l’Antitrust, occorre rilevare che all’ANAC non è stata attribuita una legittimazione processuale straordinaria, in quanto tale espressiva di giurisdizione oggettiva del GA. L’Authority, piuttosto, è titolare di un potere di agire ricollegabile alla giurisdizione posta a tutela di situazione giuridiche individuali qualificate e differenziate. Difatti, in questo caso, l’interesse sostanziale tutelato dai commi 1bis e 1ter dell’art. 211 è da rinvenire nella regolarità degli appalti pubblici, da qualificare, dunque, come bene della vita.


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