L’interdittiva antimafia e la clausola di salvaguardia ex art. 92, co. 3, d.lgs. n. 159/2011 applicata alla concessione di finanziamenti pubblici

L’interdittiva antimafia e la clausola di salvaguardia ex art. 92, co. 3, d.lgs. n. 159/2011 applicata alla concessione di finanziamenti pubblici

L’Adunanza plenaria pronuncia sulla clausola di salvaguardia ex art. 92, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 applicata alla concessione di finanziamenti pubblici.

Cons. St., A.P., 26 ottobre 2020, n. 23 -Pres. Patroni Griffi – Est. Forlenza

L’Adunanza Plenaria è stata chiamata a pronunciarsi sulle conseguenze connesse all’adozione di una informativa interdittiva in relazione alla pregressa percezione di benefìci economici di fonte pubblica che hanno incentivato un’iniziativa imprenditoriale ormai interamente realizzata, essendo l’informativa interdittiva intervenuta solto dopo il completamento dell’opera finanziata (c.d. “informativa sopravvenuta”).

La questione è stabilire se “il limite normativo” delle “utilità conseguite”, di cui all’art. 92, comma 3 del D. lgs n. 159/2011, si riferisca solo ai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, oppure anche ai finanziamenti e contributi pubblici. Un’analisi che, preliminarmente, deve chiarire se la salvezza “del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente” si riferisca solo ai predetti contratti o anche ai finanziamenti.

In ordine alla salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, previsti dagli artt. 92, comma 3 (secondo cui i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all’art. 67 sono corrisposti sotto “condizione risolutiva” di una eventuale informazione antimafia positiva intervenuta successivamente al pagamento), e 94, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, si applicano solo con riferimento ai contratti di appalto di lavori, di servizi e di forniture.

Protagonista della recente pronuncia dell’Adunanza Plenaria, la n. 23/2020, è l’interdittiva antimafia di cui agli artt. 90 e ss del D.lgs n. 159/2011 (Codice Antimafia).

Sostanziandosi in un provvedimento amministrativo, la stessa mira a contrastare i fenomeni di infiltrazione mafiosa nell’ambito dei rapporti economici con la pubblica amministrazione estromettendo le imprese ritenute soggette a rischio di infiltrazione mafiosa da qualsivoglia rapporto di natura economica con l’amministrazione pubblica al fine di tutelare l’ordine pubblico, la libera concorrenza tra le imprese e il buon andamento della Pubblica Amministrazione e determinando l’incapacità giuridica dell’operatore colpito dal provvedimento.

In particolare, l’art. 91 del Codice stabilisce che, prima di stipulare contratti e subcontratti di valore superiore alle soglie economiche ivi elencate, i soggetti indicati nel precedente art. 83 debbano acquisire la c.d. “informazione antimafia”, consistente nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 e scaturenti da una delle misure di prevenzione personale previste dallo stesso Codice; nonchè nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.

Tale informazione è rilasciata dal Prefetto territorialmente competente una volta eseguiti gli approfondimenti istruttori previsti dal Codice.

Adottata l’interdittiva, questa è tempestivamente comunicata ai soggetti elencati dall’art. 91, comma 7bis, tra cui quello che ha richiesto l’informazione e che, a norma del successivo art. 94, non può stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni nei confronti dell’impresa destinataria dell’atto.

Considerato ciò, l’Adunanza Plenaria è stata chiamata a pronunciarsi sulle conseguenze connesse all’adozione di una informativa interdittiva in relazione alla pregressa percezione di benefìci economici di fonte pubblica che hanno incentivato un’iniziativa imprenditoriale ormai interamente realizzata, essendo l’informativa interdittiva intervenuta solto dopo il completamento dell’opera finanziata (c.d. “informativa sopravvenuta”).

A riguardo, gli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 prevedono, in modo sostanzialmente simile, che i soggetti di cui all’art. 83, nel caso di informazione antimafia interdittiva, “revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.

A tal proposito, è stato precisato che mentre il vero limite normativo è l’eccezione agli effetti della revoca e del recesso dai contratti (“fatto salvo il pagamento del valore delle opere…), quello delle “utilità conseguite” contribuisce solo alla definizione del “quantum” di una “salvezza” già sussistente.

Ne consegue che, sul piano logico-giuridico occorre stabilire, in primo luogo, se la “salvezza” del pagamento, nei termini normativamente previsti, si applichi solo ai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture ovvero anche alle concessioni di finanziamenti e contributi (essendo più propriamente questa la questione da risolvere); in secondo luogo, e solo in caso di esito positivo della prima verifica cosa si intenda per utilità conseguita.

Ha aggiunto l’Alto consesso che l’incapacità non può incontrare limiti di ordine pubblico economico (integrale realizzazione del programma beneficiato, lungo tempo trascorso, rilascio in favore della medesima impresa di precedenti informative di carattere liberatorio), posto che tali limiti non sono adeguatamente tracciati e motivati nei loro presupposti, ma rimessi ad una valutazione “casistica” ed “equitativa”, formulabile dal giudice in relazione alle singole fattispecie esaminate.

Si evince così che, a fronte dell’estremo rigore risultante dal complessivo sistema normativo, le norme che, pur in presenza di una riconosciuta situazione di incapacità, consentono la conservazione da parte di un soggetto destinatario di informazione interdittiva di attribuzioni patrimoniali medio tempore eventualmente acquisite ovvero la possibilità di procedere alla loro dazione da parte delle pubbliche amministrazioni, costituiscono norme di eccezione e come tali di stretta interpretazione

Pertanto, al fine di garantire una tutela di interessi pubblici e privati, ciò che viene effettuato dai soggetti di cui all’art. 83 (rilascio di autorizzazioni o concessioni, erogazione di contributi e simili, stipulazione di contratti) avviene sotto la rigida condizione dell’accertamento della stessa capacità del soggetto privato ad essere parte del rapporto con la pubblica amministrazione.

Qualora tale capacità venisse accertata come insussistente per il tramite dell’informazione antimafia interdittiva, conseguentemente non potrebbero che manifestarsi in termini di nullità sia i provvedimenti amministrativi rilasciati (per difetto di un elemento essenziale del medesimo, ex art. 21-septies, l. n. 241 del 1990), sia il contratto stipulato con soggetto incapace.

Si rammenta che dall’interdittiva antimafia non consegue un “fatto” sopravvenuto che determina la revoca del provvedimento emanato ovvero la risoluzione del contratto per factum principis, bensì l’accertamento (anche tardivo) dell’insussistenza della capacità del soggetto ad essere parte del rapporto con l’amministrazione pubblica; la stessa incapacità che, laddove fosse stata previamente accertata, avrebbe escluso in radice sia l’adozione di provvedimenti sia la stipula di contratti.

Pertanto, poiché i contributi risultano concessi in via provvisoria, l’atto di revoca non rappresenterebbe un nuovo provvedimento adottato in autotutela dall’amministrazione nell’esercizio di un potere discrezionale, ma un mero atto ricognitivo che constata l’avvenuta verificazione della condizione risolutiva afferente al contributo ancora precario.

E ciò in quanto alla luce degli artt. 92 e 94 del D. lgs n. 159/2011, l’accertamento dell’intervenuta “condizione risolutiva” altro non è che l’accertamento successivo dell’incapacità giuridica del soggetto ad essere destinatario di provvedimenti amministrativi ovvero ad essere parte del contratto ad evidenza pubblica.

A ciò consegue, quanto ai provvedimenti di concessione di benefici economici, comunque denominati, che l’intervenuto accertamento dell’incapacità del soggetto, cui si riconnette la “precarietà” degli effetti dei medesimi, espressamente enunciata dalle norme, esclude che possa esservi legittima ritenzione delle somme da parte del soggetto beneficiario (giuridicamente incapace).

Tuttavia, a fronte di tale assetto degli effetti, discendente dai principi generali e dalla specifica normativa antimafia, è la stessa disciplina antimafia a prevedere talune “eccezioni”.

In particolare gli artt. 92, comma 4, e 94, comma 2, prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”;  l’art. 94, comma 3, dispone che i soggetti di cui all’art. 83 “non procedono alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi”.

Si tratta, dunque, di norme “di eccezione” ai principi generali e, quindi, di strettissima interpretazione in quanto “derogatoria” rispetto all’ordinario modus procedendi imposto all’amministrazione, ossia quella che ha consentito di emanare i provvedimenti e/o di stipulare i contratti in assenza della tempestiva informativa antimafia.

Ha quindi concluso l’Alto Consenso che l’operazione interpretativa che dovrebbe comportare l’estensione della salvezza del pagamento di quanto realizzato sulla base di finanziamenti, comporta sul piano ermeneutico un duplice passaggio estensivo dell’interpretazione: in primo luogo, quello di estendere la salvezza del pagamento dal caso di recesso dal contratto (in aderenza al quale è prevista nel testo la salvezza dei pagamenti) anche alle “concessioni” precedentemente citate e, come si è già detto, non collocate nel testo con immediata aderenza alla “salvezza”; in secondo luogo, quello di operare una interpretazione “selettiva” del termine “concessioni”, ritagliando nel più ampio ambito proprio di tale genus, quelle di esse (e solo quelle) che hanno per oggetto attribuzioni patrimoniali (contributi, finanziamenti e simili) dalle quali dipende la “esecuzione di opere”.

Le eccezioni di cui agli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, rappresentano una precisa scelta del legislatore, che si giustifica in ragione di un “bilanciamento” delle conseguenze derivanti da una esecuzione del contratto disposta in assenza di informativa antimafia. ​​​​​​​


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