Marijuana rinvenuta in proprietà familiare: sussistenza del concorso di persone nel reato

Marijuana rinvenuta in proprietà familiare: sussistenza del concorso di persone nel reato

Con un interessante arresto giurisprudenziale la Suprema Corte ha accolto un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna in primo grado emessa nei confronti di un soggetto, al quale era stato contestato il reato di detenzione, in concorso con il fratello, di svariate piante di marijuana rinvenute appese ad essiccare, all’interno di un box sito nell’area di proprietà familiare dove insisteva un’azienda agricola oltre che  le abitazioni dei due fratelli.

La III Sezione della Corte di Cassazione con  Sentenza n. 18015 del 02.05.2019, ha accolto la la tesi difensiva, secondo cui la condotta meramente passiva dell’imputato, consistita nella mancata opposizione alla detenzione della droga da parte del fratello, poteva rivestire soltanto gli estremi dei una connivenza non punibile e non già l’ipotesi di concorso nel reato (ex art. 110  c.p.).

Sul punto i Giudici hanno evidenziato come per la configurazione di detta fattispecie, non sia sufficiente la mera consapevolezza della detenzione delle sostanze stupefacenti da parte del familiare convivente, ma risulti, invero, necessaria la sussistenza di una effettiva volontà di adesione all’altrui attività criminosa.

Per ritenere integrata detta adesione, secondo le motivazioni sottese alla pronuncia della Suprema Corte, è sufficiente una qualsiasi attività volta ad agevolare detenzione delle sostanze stupefacenti, che potrà manifestarsi nelle modalità più varie e disparate quali, ad esempio, il mero occultamento o il controllo della droga custodita nell’immobile di proprietà comune.

Solo in tal modo si potrà assicurare all’agente una certa sicurezza, garantendo così, anche implicitamente, una collaborazione su cui questi, in caso di bisogno, potrà certamente fare affidamento, tale condotta è, pertanto, rivelatrice di un previo accordo sulla detenzione che, in caso contrario, ed in assenza di elementi volti a dimostrare detta volontà, non potrà ritenersi sussistente.


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Avv. Gianluca De Vito

Avvocato del Foro di Catanzaro, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Firenze, nell’anno 2012. Esercita la professione forense con carattere di continuità innanzi ad organi giurisdizionali penali, civili ed amministrativi su tutto il territorio nazionale.

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