Natura delle ordinanze di protezione civile e profili giurisdizionali controversi

Natura delle ordinanze di protezione civile e profili giurisdizionali controversi

Sommario: 1. Lo stato emergenziale nell’ordinamento giuridico italiano – 2. Il potere di ordinanza in materia di protezione civile – 3. Cause di invalidità dei provvedimenti emergenziali – 4. Tutela giurisdizionale e profili controversi.

 

1. Lo stato emergenziale nell’ordinamento giuridico italiano.

Nel nostro ordinamento la legislazione emergenziale (volta a fronteggiare eventi eccezionali che non possono essere gestiti con i normali strumenti operativi a disposizione degli enti ordinari) ha acquisito sempre maggiore rilievo e importanza. Il subentro del governo nelle funzioni  degli enti locali a seguito della deliberazione dello stato di emergenza è un fenomeno sempre più frequente, vuoi per una cattiva gestione nella risoluzione di problematiche inerenti i pubblici servizi (si pensi, a riguardo, i diversi Commissari insediati per il superamento dello stato di emergenza in materia di gestione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani), vuoi per la situazione economica disastrosa che incombe in alcuni settori pubblici (si vedano i Commissari per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario) ([1]), o ancora, – nei casi più classici, anche se meno frequenti – per il superamento di eventi calamitosi naturali (si vedano i Commissari nominati a seguito di alluvioni ([2]), terremoti ([3]) o altre calamità) ([4]) ([5]).

L’origine storica del potere sostitutivo ha radici molto lontane. Deviazioni al diritto comune per fronteggiare emergenze si ebbero, infatti, già agli inizi del secolo scorso; la prima occasione fu concessa dal terremoto che nel 1908 colpì e distrusse le città di Reggio Calabria e di Messina.

In alcuni scritti di inizio secolo ([6]) si sottolineava la nascita di uno ius singulare che permetteva al governo di derogare ai principi legislativamente consolidati nell’ordinamento con la conseguente creazione di istituti e procedure inediti alla prassi amministrativa.

Nello specifico, per sostenere le aree colpite dal sisma, furono emanati provvedimenti che introdussero la sospensione per un anno dell’imposta erariale e delle sovrimposte provinciali e comunali sui terreni e fabbricati, l’esenzione quindicinale dell’imposta fabbricati e, inoltre, un regime particolare per la concessione dei mutui ipotecari ([7]). Provvedimenti più incisivi affrontarono anche il problema della ricostruzione stabilendo modalità accelerate per l’approvazione dei progetti, introducendo facilitazioni per la formulazione dei piani regolatori e per le espropriazioni; procedure semplificate e termini abbreviati furono adottati per l’accertamento dei decessi e per il recupero, la conservazione e l’accertamento del possesso dei beni danneggiati, per le tasse di successione, di registro e per le rinnovazioni di ipoteche.

Di particolare importanza fu un decreto del febbraio 1909 ([8]) che diede facoltà al Ministro dei Lavori Pubblici di delegare la direzione generale delle Ferrovie per gli acquisti e la provvista di materiale necessario alla ricostruzione, istituendo allo scopo un ufficio speciale abilitato ad operare con le forme e secondo gli usi e le consuetudini commerciali.

Ovviamente tale modus operandi non ha lasciato la pubblica amministrazione indenne da problematiche dovute principalmente all’ampia discrezionalità attribuita agli organi amministrativi e, soprattutto, alla totale assenza dei controlli per questo tipo di procedure.

Inoltre, anche la supplenza del potere centrale rispetto a quello locale, il ricorso a formule organizzative di tipo commissariale o comunque a base monocratica – oltre che la prevalenza del diritto pubblico su quello privato – finirono per delineare una prassi amministrativa d’eccezione esercitata spesse volte in modo del tutto arbitraria e incontrollata ([9]).

Si avvertì quindi la necessità di regolare in modo adeguato tali poteri sostitutivi attraverso una serie di garanzie in nome del principio di buon andamento della pubblica amministrazione; tra i primi provvedimenti organici che regolarono tale settore vi fu la legge 13 luglio 1910, n. 466, attraverso la quale furono per la prima volta codificati i poteri di intervento della legislazione speciale.

Con tale provvedimento furono cristallizzati i principi che accompagnarono – seppur con non poche modifiche nel corso degli anni – la legislazione dell’emergenza sino ai giorni nostri.

Venendo a tempi meno remoti, il potere sostitutivo del governo per fronteggiare situazioni emergenziali è rinvenibile nell’art. 120, comma 2, Cost. ([10]), attuato inizialmente con la l. 24 febbraio 1992, n. 225 (“Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile”), la quale prevedeva e disciplinava le ipotesi di deliberazione dello stato di emergenza e la conseguente nomina del Commissario delegato da parte del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri ([11]). Tale normativa è stata oggi inglobata nel nuovo Codice di Protezione Civile vigente dal 6 febbraio 2018 ([12]) il quale rappresenta un importantissimo approdo in materia in quanto racchiude in maniera organica e sistematica tutta la legislazione che dalla legge n. 225/1992 ad oggi ha riguardato il settore della protezione civile.

Per quanto attiene alla seguente trattazione, di particolare importanza risultano le disposizioni codicistiche inerenti la procedura di deliberazione dello stato di emergenza e le relative vicende che da esso ne derivano ([13]).

In particolare, l’art. 24 dispone che “al verificarsi di emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo” il Consiglio dei Ministri, su proposta del suo Presidente (su richiesta, eventualmente, dei Presidenti delle regioni interessate, e comunque acquisendone l’intesa) è tenuto a deliberare lo stato d’emergenza.

Con tale deliberazione il Governo deve fissare anche la durata e determinare l’estensione territoriale dell’emergenza con riferimento alla natura e alla qualità degli eventi e individua, inoltre, le prime risorse finanziarie da destinare all’avvio delle attività di soccorso e assistenza alla popolazione gli interventi più urgenti in attesa della ricognizione in ordine agli effettivi fabbisogni.

Al governo è attribuito, inoltre, la facoltà di nominare ([14]) – con lo stesso provvedimento con cui viene deliberato lo stato di emergenza – un commissario delegato al coordinamento e all’attuazione delle ordinanze di protezione civile, il quale opera in regime straordinario fino alla scadenza dello stato di emergenza e il quale cura, fino alla cessazione di tale stato, la prosecuzione delle attività in regime ordinario.

Il commissario è competente a coordinare tutti gli interventi che si rendono necessari: ad esso, in particolare, sono attribuiti poteri derogatori in materia di affidamento di lavori pubblici nonché di acquisizione di beni e servizi ed è intestatario, inoltre, della contabilità speciale appositamente aperta per l’emergenza in questione e per la prosecuzione della gestione operativa della stessa per un periodo di tempo determinato ai fini del completamento degli interventi previsti dalle ordinanze adottate ai fini di fronteggiare l’emergenza.

In merito alla sua natura, occorre affermare che la struttura commissariale resta pienamente autonoma e distinta (anche, ovviamente, sul piano della legittimazione processuale) sia dagli enti territoriali competenti che dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri competenti. Il Commissario delegato, pertanto, risulta essere un centro d’imputazione autonomo sia rispetto agli enti locali (i cui uffici operano a supporto organizzativo della struttura commissariale in relazione di mero avvalimento) sia rispetto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri interessati, stante l’autonomia operativa, decisionale ed organizzativa della struttura commissariale, competendo alla Presidenza del Consiglio il solo procedimento di nomina e la prodromica attività istruttoria relativa all’accertamento dei presupposti per disporre l’intervento sostituivo ([15]).

2. Il potere di ordinanza in materia di protezione civile.

Tra i poteri più importanti ed incisivi nel settore della protezione civile vi rientra sicuramente il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti.

Difatti, gli interventi di protezione civile – avendo ad oggetto l’incolumità delle persone, la preservazione dei beni e il pronto ripristino delle normali condizioni di vita – devono necessariamente essere adottati con estrema celerità.

Quasi sempre, infatti, gli ordinari rimedi messi a disposizione dall’ordinamento giuridico non sono idonei a soddisfare le esigenze legate alla gestione di un evento calamitoso. In tali casi, pertanto, la pubblica amministrazione dispone di questo strumento di intervento a carattere straordinario che – in ragione della necessità e dell’urgenza – assicura la tempestività e l’efficacia dell’azione amministrativa.

Va preliminarmente evidenziato che le ordinanze sono caratterizzate da una natura indubbiamente duplice: per un verso, infatti, promanano dall’autorità amministrativa, assumendo perciò, sotto il profilo formale, la veste di atti amministrativi; per altro verso sono indirizzate ad una pluralità di consociati nei confronti dei quali possono dettare regole di condotta.

Inoltre, limitatamente al periodo in cui è urgente e necessario provvedere con mezzi straordinari, le ordinanze sono in grado di innovare l’ordinamento giuridico operando una parentesi nella vigenza delle leggi, la cui operatività rimane sospesa ([16]).

Le ordinanze sono quindi caratterizzate dalla atipicità rispetto agli altri atti amministrativi a contenuto tipico, nonché dalla capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico generale e della posizione di sussidiarietà rispetto agli ordinari strumenti di intervento ([17]).

Il potere di ordinanza è stato da sempre, per la sua delicatezza, oggetto di attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza, le quali hanno cercato di individuare i limiti generali per l’esercizio del potere da parte dell’autorità legittimata a servirsene. Ed invero, la particolare forza derogatoria dell’ordinamento giuridico è destinata ad incidere sull’assetto costituzionale che individua il parlamento come l’organo legiferante, deputato a fissare le regole di condotta da imporre al cittadino.

Anche la Corte Costituzionale si è ripetutamente pronunciata sull’argomento. In particolare occorre evidenziare le sentenze n. 8 del 1956, n. 26 del 1961, n. 100 e 201 del 1987 e n. 4 del 1997, da cui, tra l’altro, si evincono i connotati del provvedimento che sono “efficacia limitata nel tempo in relazione ai dettami della necessità e dell’urgenza; adeguata motivazione; efficacia pubblicazione nei casi in cui non abbia carattere individuale; conformità ai principi dell’ordinamento giuridico”.

In particolare, le ordinanze adottate dall’amministrazione pubblica nell’esercizio delle sue funzioni di protezione civile traggono la loro legittimazione dall’art. 25 del nuovo codice di protezione civile (il quale ingloba l’art. 5 della legge n. 225/1992 che per la prima volta aveva previsto e disciplinato il potere di ordinanza in materia di protezione civile).

Antecedentemente a tale ultima legge, il potere di ordinanza veniva di volta in volta affidato – in occasione dell’accadimento di un evento calamitoso e attraverso norme ad hoc – a Commissari nominati ai sensi dell’art. 5 ([18]) della legge 8 dicembre 1970, n. 996.

È d’uopo citare, a tal proposito, l’art. 1 del decreto-legge 18 dicembre 1976, n. 648, convertito con legge 30 ottobre 1976, n. 730, recante “Interventi per le zone del Friuli- Venezia Giulia colpite dagli eventi sismici dell’anno 1976” ([19]) oltre che l’art. 1 del decreto-legge 26 novembre 1980, n. 776, convertito con legge 22 dicembre 1980, n. 874, recante “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal terremoto del novembre 1980” ([20]).

Tornando alla disposizione contenuta nel nuovo codice si può affermare che essa disciplina compiutamente l’esercizio del potere di ordinanza (nel contesto generale delle funzioni e dei compiti attribuiti allo Stato, alle Regioni, alle Province ed ai Comuni) ai fini della tutela della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi.

Detto ciò, occorre evidenziare, innanzitutto, che per poter derogare alla normativa ordinaria – all’accadere di un avvenimento calamitoso che sia riconducibile alla fattispecie prevista dalla medesima norma – il Consiglio dei Ministri su proposta del Presidente del Consiglio (anche su richiesta del Presidente della Regione o delle Regioni territorialmente interessate) deve deliberare, come accennato pocanzi, lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità e alla natura degli eventi.

In tal modo, il Governo, nella sua collegialità, fissa gli ambiti spaziali e temporali per l’esercizio del potere assumendo la responsabilità del proprio operato, non solo nei confronti delle popolazioni sinistrate ma più in generale dei confronti dei cittadini e delle istituzioni democratiche ([21]).

Il potere di emanare ordinanze, acquisita l’intesa delle regioni territorialmente interessate, è attribuita al capo del Dipartimento della protezione civile salvo che sia diversamente stabilito nella delibero dello lo stato di emergenza.

L’attribuzione della titolarità di tale potere in capo ad un organo tecnico ha in sé la ratio di assicurare che gli organismi coinvolti nell’emergenza agiscano prontamente ed in modo armonico e razionale nel rispetto dei principi di proporzionalità ed economicità.

Il potere di ordinanza è rimasto prerogativa dello Stato (anche a seguito della riforma del titolo V della Costituzione) ma l’autorità che emana il provvedimento deve acquisire l’intesa della Regione interessata all’attuazione degli interventi ivi previsti.

Il legislatore, nell’individuare gli interventi che con le ordinanze in parola possono attuarsi, fornisce alcune indicazioni precise alle quali si affianca una clausola generale di chiusura atta a garantire elasticità al sistema emergenziale.

Occorre a tal punto evidenziare come le ordinanze di protezione civile, quasi sempre, individuano gli interventi necessari alla gestione delle emergenze designando, quale soggetto attuatore, un Commissario delegato. In questi casi la delega deve necessariamente contenere l’indicazione dell’oggetto e della durata dell’incarico oltre ai tempi e alle modalità del suo esercizio.

L’incarico in questione, infatti, è conferito sulla base di un rapporto fiduciario che, sebbene collochi il Commissario in una posizione di indipendenza gestionale ed organizzativa rispetto al delegante, impone tuttavia al delegato di esercitare esclusivamente le funzioni conferite dalle ordinanze di protezione civile, nei limiti dalle stesse previsti.

Il Commissario delegato, a sua volta, può emanare ordinanze per la concreta realizzazione delle diverse attività previste per fronteggiare l’emergenza.

Tuttavia, però, tali ordinanze hanno portata diversa rispetto all’ordinanza di protezione civile originaria la quale legittima i provvedimenti del Commissario delegato e fissa l’ambito di esercizio del potere. Infatti, così come la legge legittima l’emanazione dell’ordinanza di protezione civile, quest’ultima costituisce il presupposto per l’adozione delle ordinanze attuative.

3. Cause di invalidità dei provvedimenti emergenziali.

Alla stregua di quanto detto, se ne desume che il potere di emanare provvedimenti emergenziali è un potere oltre modo circostanziato e caratterizzato da numerosi limiti.

Pertanto, solo dopo aver compreso la portata di tali limiti è possibile individuare i casi e le circostanze in cui l’adozione dei provvedimenti emergenziali è in contrasto con l’ordinamento giuridico.

Occorre evidenziare, inoltre, che tale trattazione deve necessariamente muovere dalla disamina del più ampio genus dei provvedimenti “contingibili ed urgenti”, dai quali le ordinanze di protezione civile ne costituiscono un species.
La scienza del diritto amministrativo, infatti, non ha affrontato direttamente il potere d’emergenza ma si è concentrata, piuttosto, sullo studio delle ordinanze di necessità e d’urgenza (soprattutto di emanazione sindacale ai sensi dell’art. 50 e 54 T.U.E.L.) che, nel nostro ordinamento ne rappresentano l’espressione più tipica e consolidata.

D’altronde, proprio in riferimento alle ordinanze di protezione civile non è possibile rinvenire una casistica giurisprudenziale, in quanto si tratta di provvedimenti che di rado sono sottoposti al vaglio dell’organo giurisdizionale.

Tanto premesso, veniamo ai principi che nel corso degli anni sono stati enucleati dalla giurisprudenza amministrativa circa la demarcazione del confine di legittimità dei provvedimenti emergenziali.

Sul primo versante ([22]) è stato ritenuto illegittimo, per difetto di presupposti e per eccesso di potere (sotto il profilo dello sviamento) il provvedimento contingibile ed urgente piegato a finalità diverse ed ultronee rispetto a quelle per le quali l’ordinamento lo prevede, impingendo, così, in materia riservata per di più alla competenza di altro ente.

Su un altro versante ([23]), è stata esclusa la legittimità di un provvedimento contingibile ed urgente quando il pericolo sia determinato non già da sopravvenienze impreviste e imprevedibili bensì dalla stessa inefficienza gestionale degli enti ordinariamente competenti.

Le ordinanze in discorso, poi, non possono mai dettare misure in contrasto con il criterio della proporzionalità dell’attività amministrativa alle situazioni di pericolo utilizzando, ove possibile, misure che salvaguardino l’interesse pubblico con il minor sacrificio possibile di quello privato ([24])

La discrezionalità di cui gode la pubblica amministrazione, alquanto ampia, non implica che essa possa esimersi dall’attenersi ai criteri fondamentali di prudenza e diligenza richiesti per la tutela di beni giuridicamente protetti dall’ordinamento. D’altra parte, spesso la decisione di adottare provvedimenti contingibili e urgenti è preceduta (salvo che sia materialmente impossibile) da una sommaria istruttoria in cui si compiono accertamenti o valutazioni tecniche di tipo specialistico da parte di organi o uffici dotati della necessaria competenza.

La libertà dei criteri e dei mezzi con cui la pubblica amministrazione rende effettivo un provvedimento contingibile e urgente è soggetta ad un giudizio di diligenza e di prudenza. La particolare finalità dell’ordinanza (che non svolge una funzione sanzionatoria di comportamenti o omissioni, ma mira esclusivamente a salvaguardare le esigenze primarie della collettività) spiega perché si ritiene, quasi pacificamente, che essa sia idonea a sacrificare anche interessi giuridicamente protetti, ma solo entro ragionevoli limiti oggettivi e con il rispetto di rigorose garanzie, sia formali che sostanziali (come il rispetto dei principi generali dell’ordinamento, la congrua e puntuale motivazione e l’adeguata istruttoria).

Altro problema che si è posto è se la mancanza dei presupposti della necessità e della urgenza possa determinare, in capo alla pubblica amministrazione emanante, una situazione di “carenza di potere” oppure di “cattivo uso del potere”.

Secondo alcuni, trattandosi di presupposti necessari ai fini della stessa attribuzione del potere alla pubblica amministrazione, si è concluso nel ritenere che, ove insussistenti o valutati in modo del tutto erroneo, si determinerebbe la nullità dell’ordinanza per carenza di potere.

Secondo altri, la mancanza dei requisiti in esame integrerebbe, però, un’ipotesi di cattivo uso di potere o di sviamento della causa tipica.

La questione, peraltro, non è solo teorica. Seguendo una prima strada, a favore della carenza di potere della pubblica amministrazione, si concluderebbe nel senso della nullità del provvedimento, oltre che, sul versante processuale, per il radicarsi della giurisdizione del giudice ordinario ([25]).

Seguendo la seconda opzione del cattivo uso del potere discrezionale, l’atto sarebbe solo annullabile con conseguente giurisdizione amministrativa sulla controversia.

In teoria, possano integrarsi entrambe le soluzioni illustrate con le implicazioni relative che, però, vanno ora riconsiderate alla luce delle novità introdotte dal codice del processo amministrativo.

Vi potrà essere “carenza di potere”, infatti, in caso di assenza totale di una situazione contingibile e urgente che possa essere foriera di danni per l’incolumità e la sicurezza dei cittadini, per cui il potere di ordinanza sia stato esercitato completamente al di fuori dei casi previsti dalla legge. Si tratterà, però, di casi limite in cui vi siano stati un travisamento dei fatti derivante da un’istruttoria totalmente erronea, o provvedimenti contingibili e urgenti adottati per finalità estranee al pubblico interesse, oppure con dolo o colpa grave o, addirittura, ioci causa. Ma è chiaro che è assai difficile che si realizzi un’evenienza del genere.

È più facile, invece, che si possa verificare una situazione intermedia in cui i presupposti non siano integrati in maniera “piena”, in quanto la situazione reale a cui fare fronte sia meno pericolosa, grave e immanente per la comunità locale di quella richiesta dalla legge e, dunque, i rimedi adottati siano incongrui o irragionevoli, ovvero fuori misura rispetto al pericolo paventato o al problema concreto da eliminare.

Una simile e più frequente situazione potrà essere vagliata in sede giurisdizionale e configurerà evidentemente un’ipotesi di “cattivo uso del potere discrezionale”. Ciò, evidentemente, perché la situazione effettiva di pericolo o di necessità è stata erroneamente rappresentata o soppesata e sarebbe risolvibile con gli ordinari provvedimenti amministrativi.

Dunque, salvo casi estremi in cui il provvedimento sarà nullo perché aberrante o macroscopicamente ingiustificato ovvero mancante di qualche elemento essenziale, ex art. 21-septies, l. n. 241/1990, esso sarà annullabile ex art. 21-octies, comma 2, per violazione di legge (in caso di conflitto pieno e diretto con le previsioni legislative che legittimano e limitano il relativo potere) ovvero, nelle altre ipotesi di illegittimità (diverse, ovviamente, dall’incompetenza) per eccesso di potere.

Vi potranno essere, inoltre, responsabilità in capo all’organo emanante e al funzionario che ha condotto l’istruttoria, sempreché non si sia trattato di provvedimenti che abbiano richiesto ictu oculi l’immediata adozione in assenza di una vera e propria attività istruttoria. Ove sia stato possibile il compimento di una attività istruttoria, ancorché breve e non particolarmente approfondita, si applicherà, l’art. 6, comma 1, lett. d), secondo periodo della l. n. 241/1990. Secondo tale norma, “l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale”.

Ne consegue che possono profilarsi responsabilità penali, civili e amministrativo-contabili dell’organo emanante l’ordinanza ed eventualmente del responsabile dell’istruttoria e che quest’ultimo potrà risponderne, altresì, in sede disciplinare, con riflessi sulla valutazione dei risultati e della performance.

4. Tutela giurisdizionale e profili controversi.

Il sindacato giurisdizionale sulle ordinanze di protezione civile in discorso rientra, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. p) c.p.a. alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ([26]).

Inoltre, tale tipo di controversie rientra tra quelle elencato dall’art. 119 c.p.a. oggetto di applicazione della disciplina prevista per il rito abbreviato; il comma 1, lett. h) di tale disposizione, prevede, infatti che “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a: … ordinanze adottate in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e i consequenziali provvedimenti commissariali”.

Sono ovvie le ragioni per cui a tale tipo di controversie viene applicato il rito abbreviato; la necessità di una celere definizione dei giudizi aventi ad oggetto i provvedimenti emergenziali è conseguenza, appunto, della natura che gli stessi rivestono.

Difatti, volendo tracciare brevemente le caratteristiche di tale rito, occorre innanzitutto evidenziare il dimezzamento di tutti i termini processuali (ad eccezione di quelli per la notifica del ricorso, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti).

Il termine per il deposito degli atti notificati e per la costituzione in giudizio è di quindici giorni decorrenti dal perfezionamento dell’ultima delle notificazioni, mentre il termine per la costituzione delle parti intimate (e, per la P.A., il termine per la produzione del provvedimento impugnato e della relativa documentazione) è di trenta giorni dal perfezionamento della notifica nei loro confronti.

E ancora, i termini per il deposito di documenti, memorie e repliche anteriori all’udienza di discussione saranno rispettivamente quelli di venti, quindici e dieci giorni prima dell’udienza. Inoltre, ove contestualmente al ricorso sia formulata istanza cautelare, la camera di consiglio deve essere fissata al primo giorno successivo alla scadenza del termine di dieci giorni dall’ultima delle notificazioni e di cinque giorni dalla costituzione con contestuale richiesta di fissazione dell’udienza di merito.

Tanto premesso sul rito applicabile, occorre a tal punto volgere l’attenzione su un interessante profilo venuto in rilievo nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Più segnatamente si dibatteva sulla portata letterale della disposizione contenuta nell’art. 119, comma 1, lett. h), ai sensi del quale sono soggette al rito abbreviato anche le “ordinanze adottate in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e i consequenziali provvedimenti commissariali”.

La disposizione, infatti si presterebbe a diverse e contraddittorie interpretazioni; potrebbe da un lato essere interpretata restrittivamente, facendo così rientrare nella disciplina del rito abbreviato solo i provvedimenti strictu sensu emergenziali (rectius ordinanze), dall’altro, invece, potrebbe essere interpretata estensivamente, riferendosi, oltre che ai provvedimenti emergenziali veri e proprio, anche agli altri ad esso connessi e consequenziali emanati dal Commissario delegato.

Invero, occorre evidenziare, come la casistica giurisprudenziale ha ad oggetto sempre provvedimenti che vengono emanati sulla base di ordinanze di protezione civile e non già l’ordinanza vera e propria la quale ben poco si presta a ledere posizioni soggettive individualmente tutelate.

Volendo, a tal proposito, svolgere una breve rassegna giurisprudenziale, si pensi all’intenso contenzioso che ha coinvolto l’Ufficio del Commissario delegato per il definitivo superamento del contesto di criticità nel settore dei rifiuti urbani nel territorio della regione Calabria.

Tale contenzioso ha avuto ad oggetto non già le ordinanze di protezione civile emesse dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile e né tanto meno le ordinanze dei vari commissari succedutesi, bensì i provvedimenti e gli atti negoziali che proprio nelle citate ordinanze trovavano fondamento.

Analogo discorso per quanto concerne il Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Calabria ([27]), organo straordinario sostitutivo degli organi regionali nell’esercizio delle funzioni programmatorie ed organizzative in materia sanitaria, il quale – in conformità al disposto dell’art. 2, comma 3, l. n. 191/2009 – “adotta tutte le misure indicate nel Piano di rientro, nonché gli ulteriori atti e provvedimenti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali da esso implicati in quanto presupposti o comunque correlati e necessari alla completa attuazione dei Piano stesso, in particolare, del precipuo compito affidatogli inerente il riassetto della rete ospedaliera con adeguati interventi per la dismissione/riconversione dei presidi” ([28]).

In questo caso, ad essere impugnati erano i Decreti emessi dal Commissario ad acta e inerenti il superamento della situazione emergenziale. In particolare, le questioni poste all’esame dell’organo giurisdizionale avevano ad oggetto i Decreti di approvazione dello schema di accordo contrattuale con gli erogatori privati accreditati, la determinazione dei tetti di spesa per l’acquisto di prestazioni da soggetti privati accreditati e di riorganizzazione della rete laboratoristica e ospedaliera pubblica e privata, di riordino della rete ospedaliera pubblica (in quest’ultimo caso i ricorrenti erano Comuni o comitati civici).

In sostanza, anche in tal caso, ad essere impugnati erano i provvedimenti emessi alla base del processo di attuazione del Piano emergenziale, in quanto solo i medesimi risultavano direttamente lesivi nei confronti dei ricorrenti.

Preso atto di tale circostanza, se ne desume come sia importante la corretta interpretazione della disposizione contenuta nell’art. 119 c.p.a., in quanto nella maggior parte dei casi (rectius: sempre) ad essere oggetto di impugnazione sono provvedimenti commissariali “consequenziali”.

Quindi l’interpretazione – in un senso o nell’altro – produce una differenza di portata assolutamente determinante.

Invero, il tono letterale della disposizione sembra propendere per la seconda ipotesi sopra richiamata; la locuzione “… e i consequenziali provvedimenti commissariali”, infatti, non sembra lasciare dubbi circa il generico riferimento a tutti i provvedimenti commissariali anche successivi alla deliberazione dello stato di emergenza diversi dalle mere ordinanze previste dall’art. 25 del nuovo codice di protezione civile.

Tuttavia, a sciogliere ogni dubbio su tale controverso profilo, è stato il supremo consesso di giustizia amministrativa attraverso la sentenza 18 gennaio 2018, n. 296 ([29]). In tale pronuncia, i giudici di Palazzo Spada – per fornire un’interpretazione il più possibile conforme ai principi generali posti a tutela dello stato di emergenza – hanno posto alla base delle loro argomentazioni la teoria della causalità del provvedimento impugnato ([30]).

Ritiene il Consiglio di Stato, infatti, che a prescindere dal dato formale (ordinanza extra ordinem o provvedimenti consequenziale) ciò che deve esser preso in considerazione è la finalità del provvedimento oggetto di controversia.

In particolare, ai fini dell’applicazione del rito abbreviato, il provvedimento impugnato deve esser volto esclusivamente a fronteggiare l’emergenza attraverso la salvaguardia e la messa in sicurezza dei beni primari della vita e della salute dei cittadini.

Di contro, i provvedimenti che, pur adottati dal Commissario straordinario “costituiscono attività gestionale proiettata verso il futuro” (ovvero intervengono sulla ricostruzione o riparazione di quanto distrutto o danneggiato dalla calamità) non sono sorretti da immediate esigenze di celerità per la protezione di beni primari costituzionalmente garantiti e non rientrano, pertanto, nell’ambito di applicazione dell’art. 119, c.p.a.. L’applicazione di tale disposizione, infatti, consente una limitazione del diritto alla tutela giurisdizionale, la quale può essere giustificata solo qualora venga in rilievo la necessità di tutelare altri beni costituzionalmente garantiti. Pertanto, essendo una norma eccezionale, “il suo campo di applicazione non può che essere individuato in maniera restrittiva, di modo che esso deve essere limitato ai soli provvedimenti adottati per far fronte immediato alla calamità, cioè a quei provvedimenti che trovano il proprio diretto ed immediato presupposto nella necessità di improcrastinabilità dell’intervento”.

Oggetto del giudizio innanzi al Consiglio di Stato era, infatti, l’impugnazione di un decreto commissariale di attribuzione di contributi in attuazione dell’ordinanza di protezione civile n. 57/2012 emessa dal Commissario delegato per la ricostruzione dei territori colpiti dal sisma del 2012.

Il provvedimento impugnato tendeva, come afferma il Consiglio di Stato, “alla ristorazione degli effetti sfavorevoli prodottisi come conseguenza dell’avvenimento calamitoso, ma non incideva direttamente sull’eliminazione della situazione straordinaria di necessità, né era volto a fronteggiare l’emergenza”.

In buona sostanza, deve essere individuata di volta in volta la linea di demarcazione tra i provvedimenti – comprese le ordinanze extra ordinem – volti a fronteggiare “con immediatezza d’intervento” le situazioni emergenziali (soggetti al rito abbreviato) e i provvedimenti di mera gestione volti all’attuazione degli interventi – anche a lungo termine – diretti a ripristinare le conseguenze dannose della stessa calamità (soggetti al rito ordinario).


([1]) Assume particolare importanza, lo stato emergenziale nel settore sanitario; le regioni in deficit – e pertanto sottoposte al Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario – sono, infatti, ben otto (Lazio, Abruzzo, Campania, Molise, Sicilia, Calabria, Piemonte, Puglia. Per cinque di esse (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio e Molise) è stato nominato anche un commissario ad acta per l’attuazione del Piano. L’origine della gestione commissariale nel settore sanitario regionale è sicuramente rinvenibile (oltre che nell’art. 120, comma 2, Cost.) nel d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito in l. 29 novembre 2007,n. 222 (“Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità fiscale”) il quale – a seguito delle precedenti disposizioni inerenti il superamento dello stato di emergenza in materia sanitaria e l’adozione dei Piani di rientro – ha dettato una disciplina uniforme circa la procedura di attuazione del Piano di rientro e le relative conseguenze in caso di inadempimento da parte delle regioni, sino a giungere a quella più restrittiva inerente, appunto, la nomina di un commissario ad acta. Tale disposizione attribuisce, infatti, al Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro della Salute, sentito il Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Locali di nominare – a seguito della diffida prevista dal comma 1 – un commissario ad acta per l’intero periodo di vigenza del Piano di rientro, stabilendo inoltre che gli eventuali oneri derivanti dalla nomina del commissario, sono a carico della regione interessata.
([2]) Con O.C.D.P. n. 298 del 17 novembre 2015 (in www.pa.leggiditalia.it) veniva nominato il Commissario Delegato per l’emergenza causata dagli eventi alluvionali che avevano colpito il territorio della Regione Campania nei giorni dal 14 al 20 ottobre 2015.
([3]) L’1 settembre 2016, il Consiglio dei Ministri, in una seduta lampo, ha nominato Vasco Errani Commissario straordinario di Governo per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto del 24 agosto 2016 nel territorio del Lazio.
([4]) Per un maggiore approfondimento si veda Sisca, La successione degli Enti Pubblici: il caso controverso del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione Calabria, in rass. Avvocatura dello Stato, n. 3/2016, pp. 247.
([5]) Così in MEZZOTERO -SISCA, Il Commissario ad acta per il superamento dell’emergenza sanitaria nel territorio della Regione Calabria. Analisi ragionata e sistematica delle tipologie di ricorsi esaminati dal T.A.R. Calabria, in Rass. Avvocatura dello Stato, n. 1/2017.
([6]) POLACCO, Di alcune deviazioni dal diritto comune conseguite al terremoto calabro siculo, in Rivista di Diritto civile, I, 1909, pp. 337 ss..
([7]) Cfr. MELIS, Storia dell’Amministrazione italiana (1861-1993), ed. Il Mulino.
([8]) Rd 6 febbraio 1909, n. 45, il quale all’art. 2, comma 2, afferma che “il visto apposto dal capo dell’Ufficio speciale sui contratti e sulle fatture dispensa da qualsiasi ulteriore formalità di approvazione”.
([9]) Cfr. ROMANO, Sui decreti-legge e lo stato d’assedio nel terremoto di Messina e Reggio Calabria, in Rivista di Diritto pubblico, I, 1909, pp. 251 ss..
([10]) “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.
([11]) Art 5, l. 24 febbraio 1992, n. 225.
([12]) D. lgs. n. 1 del 2 gennaio 2018, pubblicato in G.U. del 22 gennaio 2018.
([13]) La successione dei rapporti dalle strutture commissariali agli enti locali sostituiti ha prodotto nel corso degli anni non pochi problemi in tema di successione dei rapporti pendenti al momento della cessazione dello stato di emergenza. Tale circostanza era dovuta principalmente alla disposizione poco chiara che disciplinava la successione di tali rapporti ovvero l’art. 1, comma 422, della l. n. 147/2013 (espressamente abrogata dall’art. 48 del Codice di Protezione Civile), la quale ha dato adito ad interpretazioni vaghe da parte degli enti soggetti al subentro.
([14]) Invero, il Governo si avvale quasi sempre di tale facoltà.
([15]) Cfr., T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 27 giugno 2016, n. 1313 e n. 1314, in www.giustizia-amministrativa.it, in riferimento al Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Calabria; Cons. St., sez. III, 10 aprile 2015, n. 1832, in www.giustizia-amministrativa.it.
([16]) Cfr GAROFALI, Diritto Amministrativo, Nel Diritto Editore,
([17]) PIGNATARO, Le ordinanze contingibili e urgenti di pertinenza dei Sindaci: principali criticità di uno strumento dai connotati incerti e dalle discusse implicazioni.
([18]) “Alla dichiarazione di catastrofe o di calamità naturale, salvo i casi di evento non particolarmente grave cui provvedono gli organi locali elettivi e gli organi ordinari della protezione civile, si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per l’interno, anche su richiesta degli organi della regione o degli enti locali. 2 Al Ministro per l’interno fanno capo tutti i servizi e gli interventi delle pubbliche amministrazioni, civili e militari – centrali e periferiche – di enti pubblici e di privati, onde assicurarne la maggiore tempestività ed il più coordinato ed armonico impiego. Con il decreto di cui al primo comma si provvede alla nomina di un commissario, che può anche essere scelto tra membri del Governo e del Parlamento, esperti o tecnici estranei alla pubblica amministrazione, amministratori regionali o di enti locali. Il commissario assume sul posto, ai fini della necessaria unità, la direzione dei servizi di soccorso, ed attua le direttive generali ed il coordinamento dei servizi, avvalendosi comunque della collaborazione degli organi regionali e degli enti locali interessati. Per quanto concerne i servizi e gli interventi delle forze armate, che potranno essere impiegate anche in unità organiche elementari, essi saranno richiesti, in occasione di calamità naturali o catastrofe, dal Ministro per l’interno o dal commissario nominato al Ministro per la difesa o alla autorità da esso delegata”
([19]) “Il commissario straordinario, nominato ai sensi dell’art. 5 della legge 8 dicembre 1970, n.  996, può prendere, sentita la regione Friuli-Venezia Giulia, ogni iniziativa ed adottare, anche in deroga alle norme vigenti, ivi comprese le norme sulla contabilità generale dello Stato, e con il rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, ogni provvedimento opportuno e necessario per il soccorso e l’assistenza alle popolazioni interessate e per gli interventi necessari per l’avvio della ripresa civile, amministrativa, sociale ed economica dei territori interessati. Il commissario, oltre alle funzioni previste dagli articoli 5 e 6 della citata legge, esercita a tale scopo tutte le funzioni attribuite ai singoli Ministeri, provvedendo altresì al coordinamento degli interventi urgenti delle pubbliche amministrazioni, anche per la riattivazione dei servizi pubblici, esclusi in ogni caso i piani e le procedure per la ricostruzione definitiva.”
([20])  “Il commissario nominato ai sensi dell’art. 5 della legge 8 dicembre 1970, n. 996, sentite sulle direttive generali, le regioni Basilicata e Campania, assume ogni iniziativa ed adotta, anche in deroga alle norme vigenti, ivi comprese le norme sulla contabilità generale dello Stato, e con il rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, ogni provvedimento opportuno e necessario per il soccorso e l’assistenza alle popolazioni interessate e per gli interventi necessari per l’avvio della ripresa civile, amministrativa, sociale ed economica dei territori danneggiati dagli eventi sismici del novembre 1980.
Egli sarà coadiuvato, nell’esercizio delle sue funzioni, da impiegati civili dello Stato con qualifica non inferiore a dirigente generale e da ufficiali generali quale vice commissari, nominati, su designazione del commissario, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il commissario, oltre alle funzioni previste dagli articoli 5 e 6 della citata legge, può esercitare, agli scopi di cui al precedente primo comma, tutte le funzioni attribuite ai singoli Ministeri, provvedendo altresì al coordinamento degli interventi urgenti delle pubbliche amministrazioni anche per la riattivazione dei servizi pubblici, esclusi in ogni caso i piani e le procedure per la ricostruzione definitiva.
Per lo svolgimento delle funzioni sopraindicate e dei compiti previsti ai successivi articoli, si provvede con ordinanze del commissario indicanti nominativamente il personale scelto tra i dipendenti civili e militari dello Stato, delle regioni, degli altri enti locali, degli enti pubblici anche economici nonché esperti estranei all’amministrazione ai quali possono essere conferite attribuzioni determinate per l’assolvimento di compiti specifici. Il commissario presenta, ogni tre mesi, ai Presidenti delle due Camere, una relazione analitica sull’attività svolta e sugli interventi, anche di carattere finanziario, effettuati. Le funzioni attribuite al commissario, ai sensi dei commi precedenti, cessano il 30 giugno 1981.”
([21]) La deliberazione dello stato di emergenza è preceduta da una fase istruttoria, necessaria ai fini dell’acquisizione di tutti gli elementi utili a valutare l’opportunità dell’intervento mediante il servizio nazionale di protezione civile. A tal fine la regione colpita dall’evento è tenuta a produrre una relazione dalla quale risulti la sussistenza dei presupposti che giustificano la dichiarazione dello stato di emergenza.  In particolare, dalle informazioni relative alla situazione fattuale di riferimento devono evincersi: 1) l’impatto dell’evento sulla collettività, sull’ambiente, sulla normale convivenza sociale e sull’assetto economico del territorio; 2) le difficoltà dell’amministrazione ordinariamente competente a farvi fronte, senza che da ciò derivi una eccessiva esposizione al rischio degli interessi predetti. Nella predetta relazione deve essere indicata, altresì, la durata dello stato di emergenza da stimare sulla base dei tempi ritenuti necessari per la conclusione degli interventi finalizzati al soccorso e all’assistenza della popolazione, nonché delle iniziative volte a rimuovere gli ostacoli per ritornare alle normali condizioni di vita. Con le stesse modalità, il governo procede alla eventuale revoca dello stato di emergenza, al venir meno dei suoi presupposti, o alla proroga, in caso di permanenza di una situazione emergenziale già accertata.  Le modifiche introdotte dal decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59 convertito con legge 12 luglio 2012, n. 100, hanno definito per la prima volta in termini precisi, l’ambito temporale entro il quale deve essere limitata la dichiarazione dello stato di emergenza; in particolare si prevedeva che la durata dello stesso non potesse superare i novanta giorni, salvo proroga, di regola, di altri sessanta giorni, con una nuova deliberazione del Consiglio dei Ministri. Con il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito con legge 15 ottobre 2013, n. 119, è stato ulteriormente modificato tale termine, prevedendo che lo stato di emergenza possa durare al massimo 180 giorni, eventualmente prorogabile di ulteriori 180 giorni.  L’amministrazione competente in via ordinaria allo scadere dello stato di emergenza viene individuata non più nella deliberazione dello stato di emergenza del Consiglio dei Ministri, ma nell’ordinanza di subentro che viene emanata allo scadere dello stato di emergenza. Il legislatore ha in tal modo, ha posto un limite di carattere normativo all’estensione temporale dello stato di emergenza, al fine di evitare abusi di tale strumento avente carattere eccezionale.
([22]) Cfr. T.A.R. Liguria, Sez. I, 25 gennaio 1996, n. 16, in www.giustizia-amministrativa.it.
([23]) Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 8 febbraio 2006, n. 1778, in www.giustizia-amministrativa.it. 
([24]) Cfr., tra le altre, Cons. St., sez. IV, 23 gennaio 1981, n. 19, in Cons. St., 1981, sez. I, 48; T.A.R. Sardegna, 27 maggio 1981, n. 239, 1981, sez. I, 2439; Cons. St., sez. VI, 16 aprile 2003, n. 1990; Cons. St., sez. VI, 16 aprile 2003, n.1990; T.A.R. Basilicata, Sez. I, 17 ottobre 2013, n. 611, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
([25]) Cass., sez. un., 6 luglio 1974, n. 1978, in banca Dati De Jure.
([26]) “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: … le controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati”
([27]) Piano di rientro sottoscritto in data 17 dicembre 2009 e approvato con D.G.R. n. 908 del 23 dicembre 2009.
([28]) Definizione fornita da T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 17 novembre 2016, n. 2238, in www.giustizia-amministrativa.it, la quale richiama Cons. St., sez. III, 27 aprile 2015, n. 2151, ivi.
([29]) Cons. St., sez. IV, 18 gennaio 2018, n. 296, in www.giustizia-amministrativa.it.
([30]) Nel caso di specie, era stato impugnato un decreto del Presidente della Regione Emilia Romagna (nella veste di commissario straordinario per l’emergenza a seguito del terremoto che aveva colpito l’Emilia nel 2015) con il quale veniva rigettata la richiesta di contributo per la ristrutturazione di un fabbricato divenuto inagibile a seguito dell’evento sismico. Tale richiesta, tra l’altro, traeva origine da un’ordinanza del commissario straordinario la quale legittimava la presentazione delle richieste ai fini dell’ammissione al contributo.

 


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