Ordine pubblico, inquinamento luminoso ed elettro-magnetosmog

Ordine pubblico, inquinamento luminoso ed elettro-magnetosmog

Nota a Cass. Pen., Sez. III, sent. 9 marzo 2020, n. 9353

 

Sommario: 1. Considerazioni introduttive sulla “lotta” della Corte di Cassazione – 2. L’inquinamento luminoso come forma di “magneto-smog” – 3. Sulla “invisibilità giuridica” delle onde elettromagnetiche generate da dispositivi di illuminazione – 4. L’approccio quantitativo e soggettivo della Corte: similitudini con l’Arrêté del 27 dicembre 2018 – 5. Riflessioni conclusive per un concetto “allargato” di ordine pubblico

 

1. Considerazioni introduttive sulla “lotta” della Corte di Cassazione

La presente nota muove dalla constatazione che la gran parte dei commenti alla pronuncia in esame si arresta sul piano del diritto penale dell’ambiente. Lo scopo del contributo è invece quello di evidenziare i profili che più innovano il dibattito concernente l’inquinamento luminoso e, in generale, di vagliarne le ricadute sul diritto amministrativo dell’ambiente e il concetto di ordine pubblico.

Si anticipa sin d’ora che la Suprema Corte condivide una lettura minoritaria (se non isolata) della dottrina amministrativistica, fortemente ancorata al dato reale. Tale approccio ha consentito alla Corte di superare le lacune di un quadro normativo che non contempla compiutamente il danno da inquinamento luminoso, nonché di delineare i criteri interpretativi indispensabili per riconoscere e qualificare la condotta criminosa e la relativa lesione ecosistemica.

Nel caso che occupa, la sentenza origina dal ricorso proposto dal gestore di un esercizio commerciale all’aperto che, in orario notturno, aveva generato emissioni rumorose e luminose a danno dell’equilibrio ecosistemico dell’area protetta circostante. Mutuando una semantica adoperata da autorevole dottrina, la pronuncia in commento potrebbe essere definita il “manifesto” di un «diritto penale di lotta»[1], ossia  la pratica di incriminazione e condanna volta a conquistare «la vittoria contro un “fenomeno” generale dannoso o pericoloso»[2]: in questo caso, quello di inquinamento luminoso. La Corte di Cassazione ha infatti sussunto le emissioni luminose nell’alveo di una «vaghissima disposizione penale contenuta nella legislazione speciale»[3], portando la stessa dottrina ad immaginare il ricorso ad un principio di «in dubio pro natura»[4]. Un principio la cui emersione, sebbene rappresenti un tassello fondamentale nel mosaico dell’integrazione e tutela ambientale, evidenzia due profili di criticità, l’uno intrinseco al sistema e l’altro ad esso esterno: 1. La frustrazione del principio “in dubio pro reo”; 2. l’assenza di un quadro normativo (penale e soprattutto amministrativo) atto a tutelare sufficientemente gli ecosistemi da fenomeni di inquinamento luminoso (oltre che sonoro). La “lotta” della Suprema Corte risiede proprio nello sforzo compiuto per contrastare un “fenomeno generale dannoso e pericoloso”, attraverso un’opera di interpretazione che passa attraverso il  sacrificio delle garanzie procedimentali per l’indagato e l’imputato. Non a caso la prima battaglia si svolge sul fronte della materialità del reato. La difesa dell’imputato ha infatti dedotto, «con il primo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 6 e 30, co. 1, legge n. 391 del 1991[5], in assenza di una condotta lesiva del bene giuridico tutelato dalla norma»[6]. In sostanza, il ricorrente ha lamentato che «non sarebbe stato accertato in alcun modo l’asserito nocumento arrecato all’equilibrio ecologico ed, in particolare, alla flora ed alla fauna selvatica presente all’interno del parco regionale». A fortiori, anche qualora fosse stato inflitto un danno (o innescato un pericolo) per l’ecosistema, difetterebbe la prova del nesso causale tra condotta e lesione del bene giuridico tutelato, dal momento che «nella zona ove insiste il locale, vi erano altre attività dello stesso tipo, operanti in quello stesso periodo». L’impianto difensivo di cui al primo motivo di ricorso si installa proprio sull’assenza di misurazioni strumentali o argomentazioni tecniche nei verbali di accertamento, redatti dagli operanti di polizia giudiziaria intervenuti[7].

La condotta illecita, infatti, presuppone la violazione di norme amministrative di controllo e tutela ambientale. Nel caso di specie la difesa rinvia all’art. 48 del Regolamento del Parco, che prevede una soglia di Decibel (ricavati dalla tabella B del D.P.C.M. del 14 novembre 1997[8]) il cui supermanto implica l’emissione di onde sonore arrecanti disturbo all’habitat naturale. Non è stato possibile dedurre alcun riferimento misumetrico per le emissioni luminose, stante l’assenza di una normativa di settore.

La Corte, tuttavia, ha accertato che le condotte oggetto di imputazione hanno oggettivamente leso l’integrità dell’ecosistema naturale circostante[9].

Come affermato criticamente in dottrina, «dietro gli orientamenti richiamati si cela – azzardiamo –, una certa ideologia ambientalista, in sé apprezzabile, che talora finisce però per vulnerare principi (di legalità, di colpevolezza, di onere della prova a carico dell’accusa), in nome di percepite esigenze di tutela dell’ambiente e di riscontrate lacune legislative»[10].

In termini ancora più netti, infatti, altra dottrina legge simili sforzi come delle vere e proprie “forzature”, dal momento che «la giurisdizione non è proprio uno strumento di “lotta”, anche se può esserlo il diritto penale nel suo uso politico e preventivo. Quando dalla dimensione politica del diritto socialmente motivante si passa a quella giuridica della decisione responsabilizzante, l’imperativo di non usare il singolo come mezzo per finalità impersonali, di “scambiare” responsabilità (personale) e prevenzione (generale), secondo il dettato dell’art. 27, co. 1, Cost., vieta che il momento della lotta contro un fenomeno generale trovi ingresso specifico nella concretizzazione della decisione del giudice sulla responsabilità individuale»[11].

Come anticipato, per comprendere pienamente la traiettoria argomentativa seguita dalla Corte è opportuno chiarire preliminarmente la posizione dottrinale (sebbene minoritaria) cui essa si ispira, nonché il concetto (fisico e giuridico) di inquinamento luminoso.

2. L’inquinamento luminoso come forma di “magneto-smog”

Le narrazioni offerte in dottrina a commento della sentenza de qua concordano nel segnalare l’assenza di appigli normativi, a livello nazionale, in grado di ricostruire (anche ermeneuticamente) il concetto di inquinamento luminoso. È per questa ragione che la Corte ha per la prima volta definito il fenomeno sintetizzando la ratio sottesa alle diverse normative regionali[12] (ispirate alla normativa UNI-10819 del 1999[13]) con le acquisizioni della (bio)fisica, definendo così il fenomeno come: «qualunque alterazione della quantità naturale di luce presente nell’ambiente, determinata da un’immissione luminosa di origine antropica»[14].

Una parte minoritaria della dottrina, invero, pur lamentando «l’assenza di un inquadramento normativo dedicato a livello nazionale»[15] propone una lettura dell’inquinamento luminoso come species del genus “inquinamento elettromagnetico”[16]. Tale prospettiva, che in sostanza rinuncia alla coniazione di una nuova categoria giuridica, prende le mosse (quantomeno concettuali) dalla normativa esistente e trova riscontro sul piano fisico.

La luce è infatti un fenomeno di natura energetica. La propagazione luminosa avviene attraverso radiazioni nello spazio vuoto (ad esempio la radiazione solare) e nei materiali solidi, liquidi e aeriformi. Ai sensi della teoria ondulatoria della luce, tali radiazioni rappresentano delle vere e proprie onde elettromagnetiche. Un fascio di luce (come quelli oggetto della sentenza in commento) si compone, dunque, di un insieme di onde elettromagnetiche trasversali rispetto alla direzione di propagazione. Come tutti i fenomeni di propagazione ondulatoria e sinusoidale, anche la radiazione luminosa si misura in base a lunghezza d’onda (λ) e frequenza (ν). La prima indica la distanza (in nanometri) percorsa dall’onda durante un ciclo completo di oscillazione. La frequenza, invece, conta il numero di cicli completi di oscillazione che avvengono ogni secondo. Essa si esprime in hertz (Hz) e, pertanto, 1 hertz equivale a 1 ciclo al secondo. L’insieme delle onde costituisce poi lo spettro elettromagnetico. L’occhio umano riesce ad avvertirne (attraverso la percezione visiva) solo una piccola porzione data, appunto, dalla luce visibile, ossia l’energia indispensabile alla vita della biosfera. Attraverso la ricezione di radiazioni visibili emesse dal sole, infatti, gli organismi unicellulari completarono (e continuano a portare a termine) il processo di fotosintesi, producendo ossigeno sufficiente per lo sviluppo della vita e il sostentamento della biodiversità (vegetale e animale)[17].

Dalla scoperta della ruota all’invenzione degli acquedotti, fino alla progettazione e applicazione delle macchine a vapore, le acquisizioni della scienza e il progresso della tecnica hanno trasformato società animali, paesaggi ed ecosistemi. L’evoluzione più recente è segnata dal bio-elettromagnetismo che, dalla scoperta della cd. induzione elettromagnetica ai più recenti studi sulle interazioni tra campi elettromagnetici e sistemi biologici, ha inaugurato non solo un nuovo percorso di miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo (che trova nel paradigma “digitale” e delle smart technologies a misura d’uomo la sua cifra più alta), ma anche un nuovo settore di indagine scientifica volto all’approfondimento degli effetti della radiazione elettromagnetica sui sistemi viventi (uti singuli e in rapporto fra loro, come gli ecosistemi naturali). In particolare, le fonti artificiali che producono fasci luminosi comportano effetti collaterali sull’ambiente dovuti all’immissione di frequenze elettromagnetiche, quindi calore e intensità fotonica, in grado di alterare i processi fotosintetici, le abitudini di vita e di caccia della fauna, nonché i ritmi circadiani, riproduttivi e migratori del regno animale[18]. Con la sentenza in epigrafe la Corte, consapevole degli effetti delle radiazioni luminose sugli ecosistemi, ha per la prima volta riconosciuto che «l’alternarsi tra il giorno e la notte, tra luce e buio è uno dei fattori vitali sia per gli animali che per le piante. Nel momento in cui questo equilibrio viene alterato si creano dei danni irreversibili»[19]. Già con questa affermazione, la Corte si esprime (seppur implicitamente) sulla natura del danno ambientale, escludendo la possibilità della forma di risarcimento preferibile da un punto di vista ecosistemico: il ripristino dello status quo ante[20]. Di più, attraverso il richiamo ad autorevoli studi scientifici[21],  la Corte afferma che «la presenza di una sorgente luminosa (artificiale) in prossimità di una pianta causa uno stress alle foglie che sono direttamente esposte alla luce, alterandone il normale processo fotosintetico. Le lampade ad incandescenza ed al quarzo-iodio presentano infatti delle ampie emissioni che interferiscono con le radiazioni assorbite dalle clorofille e dai fitocromi. […] Inoltre, le sorgenti luminose possono essere responsabili di un microclima nelle foglie favorendo un prolungamento del periodo vegetativo e un ritardato distacco delle foglie stesse con grave rischio per la vita della pianta. Lo studio di alcuni sistemi biologici ha evidenziato inoltre l’influsso delle lampade per l’illuminazione pubblica (in partico lare quelle ad ampio spettro di emissione) in alcuni cicli vitali quali la riproduzione (rettili), la migrazione (lepidotteri, uccelli), la produzione di sostanze vitali e i ritmi stagionali (piante). Analogamente è a dirsi per la fauna. Ad esempio, le falene impostano la loro rotta migratoria basandosi sulla Luna o su stelle particolarmente luminose. Singole sorgenti luminose o addirittura concentrazioni di luce artificiale di agglomerati urbani disorientano e attraggono le falene. Ciò causa la demolizione dello sciame migratorio e soprattutto la decimazione di individui con l’altissimo rischio dell’estinzione di intere specie. Alcune specie di uccelli (come alcuni passe riformi) che usano l’orientamento astronomico nelle loro migrazioni notturne possono essere disturbati dalla presenza di fonti luminose artificiali. Sicuramente degno di nota è il caso riguardante ciò che è accaduto ad un Falco pellegrino alla periferia di Cagliari alcuni anni fa: appollaiato sui tralicci di una raffineria di petroli, attendeva gli uccelli migratori notturni che venivano attratti da un potentissimo faro che illuminava a giorno gli impianti per motivi di sicurezza, disperdendo però una notevole quantità di luce verso l’alto. Nel 1998, la luce che illuminava a giorno gli alberghi sulle coste di Creta, disorientava i piccoli di tartaruga marina, che invece di tuffarsi in mare, finivano per lasciarsi morire sulla spiaggia».

3. Sulla “invisibilità giuridica” delle onde elettromagnetiche generate da dispositivi di illuminazione

Una lettura più approfondita del dato normativo esclude il fenomeno dell’inquinamento luminoso dal novero del cd. elettrosmog e, quindi, dalla disciplina di tutela ambientale di cui alla l. 36/2001. Sebbene, come illustrato precedentemente, le emissioni luminose siano costituite da onde radio e generino campi elettromagnetici, esse sono matematicamente escluse dall’oggetto di applicazione della normativa presa in esame. Il legislatore nazionale, consapevole dei possibili effetti negativi delle onde elettromagnetiche sull’ambiente, ha approntato con la l. 22 febbraio 2001, n. 36 un sistema di protezione dall’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici. Come chiarito dall’art. 1 della predetta legge, l’obiettivo principale è la tutela della salute umana, «la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine» dei campi elettromagnetici, ispirata al principio di precauzione, «assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio e promuovere l’innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l’intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili». Anche le Regioni sono chiamate, durante le attività di monitoraggio[22], realizzazione e gestione di apparecchi emittenti onde elettromagnetiche al rispetto dei principi «relativi alla tutela della salute pubblica, alla compatibilità ambientale ed alle esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio»[23]. A conferma dell’attenzione posta all’integrità degli ecosistemi potenzialmente interessati da fenomeni di cd. elettrosmog, giova ricordare come l’art. 10 della stessa legge ponga in capo al Ministro dell’ambiente (di concerto con i Ministri della sanità, dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica e della pubblica istruzione) l’onere di promuovere «lo svolgimento di campagne di informazione e di educazione ambientale ai sensi della legge 8 luglio 1986, n. 349».

E però, l’art. 2 delimita così il campo di applicazione: «La presente legge ha per oggetto gli impianti, i sistemi e le apparecchiature per usi civili, militari e delle forze di polizia, che possano comportare l’esposizione dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz. In particolare, la presente legge si applica agli elettrodotti ed agli impianti radioelettrici, compresi gli impianti per telefonia mobile, i radar e gli impianti per radiodiffusione». Oltre al dato letterale, anche quello misumetrico porta ad escludere le onde luminose emesse da fari dal novero della disposizione. Queste ultime, infatti, si collocano nello spettro del visibile, raggiungendo una frequenza compresa tra 428 THz e 749 THz. Un valore di molto superiore alla soglia fissata dal legislatore, ferma a 300 GHz. Al di sotto del limite massimo si trovano le onde elettromagnetiche prodotte da apparecchi televisivi, radio e di telecomunicazione. All’estremo opposto della scala frequenzimetrica si collocano invece le cd. radiazioni ionizzanti, come l’Ultravioletto (749 THz – 30 PHz), i Raggi X (30 PHz – 300 EHz) e i Raggi Gamma (> 300 EHz)[24], i cui effetti negativi sulla salute dell’uomo e degli ecosistemi sono noti.

Tali considerazioni portano la dottrina a segnalare l’assenza di un quadro normativo in grado di disciplinare il fenomeno[25]. La stessa Corte di Cassazione, al punto 11 della sentenza in commento, riconosce che non esiste una normativa nazionale che disciplini tale fenomeno. Solo i poli estremi dello spettro elettromagnetico sono interessati da una disciplina volta alla tutela della salute umana e all’integrità degli ecosistemi.

La l. 22 febbraio 2001, n. 36 concerne le radiazioni non ionizzanti fino alla frequenza di 300 GHz, in virtù di studi scientifici che, benché contrastanti, sono superati dall’applicazione del principio di precauzione. Il Decreto Legislativo n. 101 del 31 luglio 2020[26], di recepimento della direttiva 59/2013/Euratom, introduce invece disposizioni in materia di prevenzione e protezione dalle radiazioni ionizzanti, il cui potenziale lesivo sulla salute e sull’ambiente è certo. L’operatività del principio di precauzione, valido per frequenze di entità inferiore ai 300 GHz, viene disattivato dal legislatore per le radiazioni visibili artificiali come quelle emesse da fari luminosi, a fronte di un sicuro impatto negativo sull’ambiente umano, animale e vegetale[27], perlomeno in determinate circostanze spazio-temporali, restando paradossalmente prive di una disciplina unitaria in grado di condizionarne l’utilizzo.

4. L’approccio quantitativo e soggettivo della Corte: similitudini con l’Arrêté del 27 dicembre 2018

La pronuncia in commento riveste particolare importanza non solo per l’interdisciplinarietà delle considerazioni. Nel definire l’inquinamento luminoso come condotta umana, ne evidenzia esplicitamente l’aspetto quantitativo («quello che viene definito tecnicamente ‘inquinamento luminoso’ […] consiste in un’alterazione della quantità naturale di luce presente nell’ambiente notturno provocata dall’immissione di luce artificiale»), quasi suggerendo al legislatore un possibile canovaccio di riforma. De iure condendo, un primo punto di partenza in linea con il criterio avanzato dalla Corte potrebbe coincidere con l’ampliamento del ventaglio normativo della legge sull’inquinamento elettromagnetico. Ad esempio, si potrebbero menzionare gli «impianti, i sistemi e le apparecchiature per usi civili, militari e delle forze di polizia, che possano comportare l’esposizione dei lavoratori, delle lavoratrici, della popolazione e dell’ecosistema naturale a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 749 Thz». Entrando più nello specifico, anche il riferimento al dato quantitativo operato dalla Corte è frutto di un approfondimento interdisciplinare. In fisica, infatti, la quantità luminosa si calcola in base ai “lumen”, unità di misura del flusso luminoso visibile in uno specifico fascio di luce oppure emesso da una sorgente. Il lumen supera il Watt, unità di misura che concerne il mero consumo energetico, e consente di svelare la reale consistenza del flusso luminoso. La scelta della Corte è giustificata proprio in virtù della carica euristica del flusso luminoso, concernente una grandezza fotometrica della potenza luminosa percepita, e svela il secondo punto di maggiore innovatività. Il concetto di percezione consente di osservare l’inquinamento luminoso non solo in base alla fonte (analizzando, matematicamente e oggettivamente, composizione e funzionalità di fari o lampade), ma anche – e soprattutto – in virtù del destinatario che intercetta un flusso luminoso. Una prospettiva “soggettivista”, che quasi recupera la ratio dell’art. 844 c.c. in tema di immissioni, secondo cui è dirimente l’umana tollerabilità. Nel caso di specie, la Corte sembra individuare una “tollerabilità ecosistemica” all’immissione in atmosfera di fasci luminosi, indirizzati verso superfici riceventi come foglie di alberi, piante e animali.

A ben vedere, l’iter argomentativo della Corte ripercorre i tratti della recente normativa francese a proposito di prevenzione, riduzione e limitazione delle emissioni luminose. L’ Arrêté del 27 dicembre 2018, «relatif à la prévention, à la réduction et à la limitation des nuisances lumineuses» osserva l’inquinamento luminoso attraverso la lente dell’elettromagnetismo, offrendo alla comparazione giuspubblicistica spunti di riflessione e un valido metro di paragone. Secondo la legge (da applicare nelle aree pubbliche e private a partire dal 1 gennaio 2020) tutte le illuminazioni esterne devono registrare una emissione luminosa verso l’alto inferiore all’1% e verso il basso minore del 95%; con un colore la cui temperatura non deve superare i 3000K e, soprattutto, con un flusso luminoso inferiore a 35 lumen per metro quadrato. Il riferimento ad elementi misurabili come direzione, intensità e flusso del fascio luminoso  conferma lo stretto legame con le riflessioni della Corte. Di più: con l’art. 1, lett. f), il legislatore francese comprende esplicitamente «Evénementiel extérieur, constitué d’installations lumineuses temporaires utilisées à l’occasion d’une manifestation artistique, culturelle, commerciale, sportive ou de loisirs», come le installazioni oggetto della sentenza in commento. L’intero atto è informato al principio di prevenzione[28], e all’art. 3, comma I dispone che «Les émissions de lumière artificielle des installations d’éclairage extérieur et des éclairages intérieurs émis vers l’extérieur sont conçues de manière à prévenir, limiter et réduire les nuisances lumineuses, notamment les troubles excessifs aux personnes, à la faune, à la flore ou aux écosystèmes, entraînant un gaspillage énergétique ou empêchant l’observation du ciel nocturne». In un’unica disposizione, dunque, il legislatore francese intende l’inquinamento luminoso per molteplici effetti: da quelli di natura sanitaria e ambientale, tra loro strettamente collegati, a quelli energetici e artistico-culturali[29]. Particolare interesse suscita anche l’art. 2 comma VIII. Quest’ultimo, al fine di prevenire il conflitto sociale e ambientale a livello locale, afferma che se necessario, «les gestionnaires d’installations d’éclairage lancent une réflexion sur les possibilités d’extinction de leurs installations. Cette réflexion est réalisée avec les différents acteurs impliqués dans la lutte contre les nuisances lumineuses au niveau local».

5. Riflessioni conclusive per un concetto “allargato” di ordine pubblico

Più che di inquinamento luminoso, o di light pollution, con riferimento alle conseguenze negative sugli ecosistemi, dovrebbe dunque discorrersi di inquinamento elettromagnetico, o magneto-smog[30], inteso come unica macro-categoria per l’emissione di onde elettromagnetiche in quantità (flusso luminoso) diversa da quella naturale, generata dal sole e dalle radiazioni lunari[31]. Solo queste ultime, infatti, attraverso il naturale alternarsi del dì e della notte, oltre che per il tramite delle diverse inclinazioni dell’asse terrestre, garantiscono l’habitat climatico e luminoso ideale per la conservazione delle specie animali e vegetali.

A ben vedere, l’idea di un’unica categoria in grado di comprendere l’intero spettro dell’emissione elettromagnetica, valida sul piano scientifico, è stata già accolta dallo stesso legislatore comunitario con la direttiva 89/336/CEE, del 3 maggio 1989, relativa al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in tema di compatibilità elettromagnetica. Sebbene la ratio fosse quella di favorire il commercio comunitario di apparecchiature elettroniche immuni da disturbi magnetici, il legislatore europeo ha unito in un’unica categoria ricetrasmittenti e lampade, tecnologie dell’informazione ed elettrodomestici, emittenti radio e apparecchiature mediche. Il riferimento a limiti per la salute compare solo nelle successive direttive 2004/108/CE e 2014/30/UE: questo, tuttavia, si limita a rinviare alle “distinte” discipline unionali o nazionali[32]. E però, la normativa italiana appronta una disciplina che guarda alla sola salute umana, in particolar modo nei luoghi di lavoro. Trattasi di un approccio limitante da un punto di vista tanto soggettivo (poiché concernente gli individui sui luoghi di lavoro) quanto oggettivo (il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 all’art. 207 definisce “campi elettromagnetici” solo quelli variabili nel campo di frequenza inferiore o pari a 300GHz comportanti effetti biofisici diretti o indiretti sul corpo umano. I valori limite di esposizione (VLE) concernono l’individuo e, pertanto, si fondano su considerazioni biofisiche e biologiche tarate sul parametro umano).

L’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (ICNIRP), a cui il Consiglio dell’Unione Europea si è più volte appellato nella predisposizione di raccomandazioni relative alla limitazione delle esposizioni ai campi elettromagnetici da 0 a 300 GHz, ha più volte indagato e accertato gli effetti dei campi magnetici generati dallo spettro del visibile artificiale (quindi superiore a frequenze di 300GHz) sull’uomo. Già a partire dalle Linee Guida del 1997, infatti, l’ICNIRP ha evidenziato le conseguenze di un ambiente (lavorativo, domestico, ospedaliero) male illuminato. Lo stesso documento è stato recentemente aggiornato attraverso le Linee Guida «on limits of exposure to incoherent visible and infrared radiation»[33] che, paradossalmente, a riprova degli effetti deleteri dell’inquinamento luminoso per l’uomo adduce test di laboratorio condotti proprio su animali.

La sentenza in esame, oltre a stimolare la nascita di una nuova macro-categoria di inquinamento, pare toccare in maniera non indifferente i compiti di polizia giudiziaria e, a monte, di polizia di sicurezza.

La sicurezza, si ricorda, è simbioticamente collegata dal legislatore al concetto di “ordine pubblico”, inteso come «il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale»[34], oltre alla sicurezza delle istituzioni, dei singoli cittadini e dei loro beni[35]. La nozione di ordine pubblico, invero, attraversa i tempi e le discipline giuridiche, tanto da essere considerato in dottrina un Rumpelkammer von Begriffen[36], ossia un “ripostiglio di concetti”. Un ripostiglio che si arricchisce e muta con il mutare della società e con la conseguente evoluzione dell’ordinamento, in armonia con l’inderogabile necessità di garantire la pubblica sicurezza. Come ampiamente accertato dalla scienza ed evidenziato dalla dottrina[37], tra i vari fenomeni che minano l’ordine e la sicurezza pubblica rientra l’inquinamento naturale, da intendersi come il complesso delle condotte antropiche che – impattando sugli ecosistemi – generano nel breve e nel lungo periodo la più grande minaccia per il genere umano[38].

Di tale circostanza ha già preso atto il legislatore francese che, come visto supra, ha accolto nella disciplina di contrasto all’inquinamento luminoso anche elementi partecipativi, in grado di impattare direttamente sulle condotte e di prevenire il conflitto sociale.

In sintesi, è possibile affermare che la portata della pronuncia in esame si estende oltre la mera (e contrastata) qualificazione dell’inquinamento luminoso come fattispecie di reato. La Suprema Corte, infatti, non si limita a segnalare una lacuna normativa che minaccia la sopravvivenza di interi ecosistemi, bensì pare delineare una nuova concezione unitaria di magneto-smog (declinata negli aspetti dell’inquinamento luminoso) e di ordine pubblico, in grado di elaborare una teoria del danno ambientale oggettiva e allo stesso tempo focalizzata sul “soggetto” (anche vegetale o animale), offrendo così al legislatore e al dibattito dottrinale molteplici spunti di riflessione per il futuro.

 

 

 

 

 


[1] C. Ruga Riva, L’inquinatore nuovo tipo di autore?, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 2, giugno 2020, p. 1090.
[2] M. Donini, Le sentenze Taricco come giurisdizione di lotta. Tra disapplicazioni “punitive” della prescrizione e stupefacenti amnesie tributarie, in Diritto Penale Contemporaneo, 3 aprile 2018, p. 3. In altri termini, «la regola che definisce l’illecito serve per combattere un fenomeno che va al di là del suo campo definitorio», p. 5. In questa sede, l’Autore opera una distinzione del “diritto penale di lotta” da fenomeni all’apparenza simili, come la concezione strumentale della pena, definendo il primo come «una radicalizzazione delle concezioni strumentali del diritto pur presenti nell’idea dello scopo e ancor meglio in quelle dell’orientamento alle conseguenze», p. 2. Un’ulteriore differenziazione corre tra diritto penale “di lotta” e diritto penale “del nemico”, disegnato da Jakobs come un sistema di assoggettamento di un individuo potenzialmente pericoloso a un sistema non già di diritto penale, ma bellico.  In dottrina, diffusamente G. Jakobs, Diritto penale del nemico? Una analisi delle condizioni di giuridicità, in A. Gamberini, R. Orlandi (a cura di), Delitto politico e diritto penale del nemico. Nuovo revisionismo penale, Milano, Monduzzi, 2007, pp. 121 ss; M. Donini, Diritto penale di lotta vs. diritto penale del nemico, in Id., Contrasto al terrorismo interno e internazionale, Torino, Giappichelli, 2006, pp. 19-73; Id., Diritto penale di lotta. Ciò che il dibattito sul diritto penale del nemico non deve limitarsi a esorcizzare, in Studi sulla questione criminale, 2, 2007, pp. 55 e ss.; F. Zumpani, Critica del diritto penale del nemico e tutela dei diritti umani, in Diritto & Questioni Pubbliche, 10(10) pp. 525 e ss.; A. Cavaliere, Diritto penale “del nemico” e “di lotta”: due insostenibili legittimazioni per una differenziazione, secondo tipi di autore, della vigenza dei principi costituzionali, in A. Gamberini, R. Orlandi (a cura di), Delitto politico e diritto penale del nemico, cit., p. 273;  D. Pulitanò,  Il problema del diritto penale del nemico, tra descrizione e ideologia, in A. Gamberini, R. Orlandi (a cura di), Delitto politico e diritto penale del nemico, cit., p. 234; K. Ambos, Diritto penale del nemico, in M. Donini, M. Papa, (a cura di), Diritto penale del nemico. Un dibattito internazionale, Milano, Giuffré, 2007, pp. 49 ss.; R. Bartoli, Lotta al terrorismo internazionale. Tra diritto penale del nemico, jus in bello del criminale e annientamento del nemico assoluto, Torino, Giappichelli, 2008. Nel caso di specie, come segnalato in dottrina, in nome della “lotta” contro il fenomeno dell’inquinamento atmosferico sono stati sacrificati – su tutti – i principi di tassatività e prevedibilità, v. R. Bonfanti, L’inquinamento luminoso approda in Cassazione. Spunti a partire da Cass. pen., Sez. III, 9 marzo 2020 (ud. 08.01.2020), n. 9353 (Pres. Sarno- Est. Scarcella – Ric. Quagli), in Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Ambiente, 2, 2020, §4.1.
[3] «riconosciuto colpevole del reato di cui agli artt. 6 e 30, legge n. 349 del 1991, così riqualificato il reato di cui all’art. 11, co. 3, stessa legge, assorbita nel medesimo l’ulteriore ipotesi di cui all’art. 13, co. 1, della stessa legge», Corte di Cassazione – Penale, sez. III, sentenza del 9 marzo 2020, n. 9353.
[4] C. Ruga Riva, L’inquinatore nuovo tipo di autore?, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 2, giugno 2020, p. 1089.
[5] Legge quadro regionale sulle aree protette, attraverso la quale è stata riconosciuta rilevanza penale dell’inquinamento luminoso.
[6] Sulla struttura della fattispecie incriminatrice si è già espressa autorevole dottrina, segnalandone anzitutto la natura di pericolo concreto, così come rappresentato dallo stesso ricorrente, e il carattere meramente sanzionatorio. v. R. Bonfanti, L’inquinamento luminoso approda in Cassazione. Spunti a partire da Cass. pen., Sez. III, 9 marzo 2020 (ud. 08.01.2020), n. 9353 (Pres. Sarno- Est. Scarcella – Ric. Quagli), in Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Ambiente, 2, 2020, pp. 41 e ss. Sulla necessità di provare l’effettiva offensività della condotta anche in presenza di reati di pericolo presunto, cfr. Id., ivi, pp. 42 e ss.; L. Ramacci, I reati ambientali ed il principio di offensività, in Giurisprudenza di merito, 4-5/2003, p. 1079; M. Bertolino, Dalla Costituzione al giudice penale interprete-fonte, in V. Barsotti (a cura di), La Costituzione come fonte direttamente applicabile al giudice, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2013, p. 41; G. Lageard, D. De Lorenzo, Il principio di offensività nei reati di pericolo contro l’incolumità pubblica: finalmente una inedita conferma anche con riguardo al reato di somministrazione di farmaci imperfetti, in Giurisprudenza Penale Web, 11/2019; A. Scarcella, Tutela dell’ambiente, verso una concezione ecocentrica, in Ecoscienza, 4 settembre 2019, pp. 68 e ss..
[7] E composti, secondo la difesa dell’imputato, da «valutazioni di natura personale nonché da asserzioni prive di ogni fondamento scientifico senza accertare, nello specifico, alcun effettivo o potenziale nocumento arrecato alla flora ed alla fauna del Parco dall’attività svolta dal locale e dagli altri pubblici esercizi adiacenti».
[8] «sostiene la difesa, in una materia quale è la valutazione dell’impatto che le emissioni sonore possano avere su di un ecosi stema di un’area protetta, non si potrebbe mai prescindere da una misurazione strumentale per valutare l’eventuale superamento del limite massimo consentito dalla normativa vigente, soprattutto laddove si consideri che, proprio in base a tale normativa – costituita, da un lato, dall’art. 48 del regolamento del Parco, che vieta emissioni sonore potenzialmente arrecanti disturbo all’habitat naturale ap plicando i limiti massimi della tabella B di cui al DPCM 14.11.1997 che, tenuto conto dell’area in cui insiste l’esercizio pubblico di cui si discute, indica il limite massimo di tollerabilità, in 55 dB ed in 45 dB, rispettivamente, nel periodo diurno e notturno; dall’altro, dal Piano di classificazione acustica del comune di Viareggio, con cui erano stati rivisti i limiti di emissione sonora validi, passando da 45 a 50 dB per il periodo notturno, e da 55 a 60 dB per il periodo diurno – vi era la necessità di ancorare un giudizio di colpevolezza ad un dato certo e strumentale atte stante il superamento dei suddetti valori massimi, non essendo sufficiente rifarsi alle mere impressioni soggettive e valutazioni discrezionali degli operanti, i quali avevano riferito di emissioni intollerabili, al punto tale che da una distanza di venti metri rispetto alla fonte sonora disturbante era difficile il colloquio a contatto tra i verbalizzanti stessi».
[9] Cfr. R. Bonfanti, L’inquinamento luminoso approda in Cassazione, cit., «A ben vedere, il passaggio della sentenza di merito, così come richiamato dalla Cassazione, lascia intatti i dubbi interpretativi circa la natura del reato contestato al ricorrente. Se infatti da un lato la pronuncia si riferisce alla necessità di provare il pericolo concreto di un pregiudizio all’ecosistema, dall’altro lato essa fa riferimento al concetto di oggettiva lesività che pare maggiormente attagliarsi ad una ricostruzione della fattispecie in termini di danno», p. 42.
[10] C. Ruga Riva, L’inquinatore nuovo tipo di autore?, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 2, giugno 2020, p. 1089.
[11] M. Donini, Le sentenze Taricco come giurisdizione di lotta. Tra disapplicazioni “punitive” della prescrizione e stupefacenti amnesie tributarie, in Diritto Penale Contemporaneo, 3 aprile 2018, p. 6. Corsivi originali. Le ragioni che escludono un ruolo “di lotta” per gli organi giudicanti sono le seguenti: « a) la giurisdizione non è adatta al contrasto contro fenomeni generali perché decide domande sui singoli. Ciò dipende già dal principio della domanda, dal carattere individuale del meccanismo processuale in genere, ma anche giurisdizionale penale: l’azione penale riguarda responsabilità personali di individui per fatti “consumati” del passato. Non ci sono class actions in diritto penale e quando ci sono in via di eccezione (per es. i maxiprocessi) esse distorcono di norma le regole della giurisdizione. b) La prevenzione generale, in una logica di lotta, divora colpevolezza, proporzione, rieducazione etc., trattando sempre i singoli come mezzi, non come fini, o richiede motivazioni occulte, presunzioni, inversioni di oneri probatori, omessi controlli di garanzia. Tutto questo è una perversione della giustizia penale. c) L’uso delle norme come mezzi di contrasto verso fenomeni “generali” non solo trasforma un diritto di giustizia individuale in un diritto prima di lotta e poi del nemico, ma muta il dna del giudicante, che ormai è necessariamente parte del conflitto, non più terzo imparziale. Se assisto come difensore o imputato a un processo condotto da un giudice che lotta, so in partenza di essere discriminato rispetto all’accusa. Giudicare casi che siano espressione di un fenomeno in atto (come certe forme di criminalità organizzata, mafiosa e di terrorismo) è infatti la sfida più grande per la terzietà della giurisdizione, come sa ogni magistrato “in prima linea”», ibidem.
[12] P. Dell’Anno, Inquinamento luminoso: una nuova frontiera della tutela dell’ambiente e del paesaggio, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 3-4, 2011; F. Arecco, Quando le stelle non si fanno guardare, in Ambiente & Sviluppo, 11, 2005. Sui tentativi di normazione nazionale del fenomeno, v. G. Rizzo Minelli, M’illumino di meno: qualche considerazione sui profili penali dell’inquinamento luminoso, in Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it, 4, 2020, p. 8. Per un elenco delle singole fonti regionali, divise secondo un approccio volto talora al risparmio energetico (come avviene in  Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Sardegna, Sicilia e Trento), talaltra alla tutela degli ecosistemi e del paesaggio (Abruzzo, Lazio, Puglia, Toscana, Veneto), v. Id., ivi, pp. 9-10; cfr. F. Arecco, Dalle normative locali…alcuni passi verso il buio, in Ambiente & sviluppo, 4, 2007, pp. 289-295.  Più precisamente, con particolare riferimento alla legge regionale toscana, esaminata dalla presente pronuncia, l’equilibrio ecosistemico pare configurarsi come un obiettivo secondario per la cui realizzazione si rinvia al PAER regionale, v. R. Bonfanti, L’inquinamento luminoso approda in Cassazione. Spunti a partire da Cass. pen., Sez. III, 9 marzo 2020 (ud. 08.01.2020), n. 9353 (Pres. Sarno- Est. Scarcella – Ric. Quagli), in Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Ambiente, 2, 2020, p. 37, secondo cui la l.r. 24 febbraio 2005, n. 39 «colloca la disciplina dell’inquinamento luminoso nell’ambito di un complessivo intervento normativo finalizzato al risparmio energetico».
[13] «Dedicata al controllo e alla limitazione dell’inquinamento luminoso, la Norma […] consente di affrontare la problematica nel modo più corretto, sia sotto il profilo giuridico-legislativo, sia sotto l’aspetto tecnico-impiantistico. L’UNI, infatti, ha il compito, nelle questioni e tematiche che attengono all’illuminazione di ambienti interni ed esterni, di elaborare delle norme tecniche unificanti che fungano da riferimento fondato, certo e attendibile alle legislazioni nazionali e regionali, ai PRIC e ai regolamenti comunali», v. G. Forcolini, Lighting. Lampade, apparecchi, impianti. Progettazione per ambienti interni ed esterni, Milano, Hoepli, 2004, p. 308.
[14] R. Bonfanti, L’inquinamento luminoso approda in Cassazione. Spunti a partire da Cass. pen., Sez. III, 9 marzo 2020 (ud. 08.01.2020), n. 9353 (Pres. Sarno- Est. Scarcella – Ric. Quagli), in Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Ambiente, 2, 2020, p. 34.
[15] E. Blasizza (a cura di), Ambiente 2020. Manuale normo-tecnico, Assago, IPSOA Manuali HSE, 2020, p. 757.
[16] E. Blasizza (a cura di), Ambiente 2020. Manuale normo-tecnico, Assago, IPSOA Manuali HSE, 2020, pp. 736-765.
[17] v. L.R. Kump, C. Junium, M.A. Arthur, A. Brasier, A. Fallick, V. Melezhik, A. Lepland, A.E. Cčrne, G. Luo, Isotopic Evidence for Massive Oxidation of Organic Matter Following the Great Oxidation Event, in Science, Vol. 334, Issue 6063, pp. 1694-1696.
[18] Ex multis, v. E.B. Witherington, Bheavioral responses of nesting sea turtles to artificial lighting, in Herpetologica, 48(1), 1992, pp. 31-39; A. Hausmann, Untersuchungen zum Massensterben von Nachtfaltern an Industriebeleuchtungen (Lepidoptera, Macroheterocera), in Atalanta, 23 (3/4), 1992, pp. 411-416; I. Aisling, The dark side of light: how artificial lighting is harming the natural world, in Nature, 553, 2018, pp. 268-270; K.J. Gaston, J.P. Duffy, S. Gaston, J. Bennie, T.W. Davies, Human alteration of natural light cycles: causes and ecological consequences, in Oecologia, 176, 2014, pp. 917-931; C.C.M. Kyba, T. Kuester, A. Sánchez de Miguel, K. Baugh, A. Jechow, F. Hölker, J. Bennie, C.D. Eldvige, K.J. Gaston, L. Guanter, Artificially lit surface of Earth at night increasing in radiance and extent, in Science Advances, Vol. 3, n. 11, 2017; K. Spoelstra, R.H.A. van Grunsven, M. Donners, P. Gienapp, M.E. Huigens, R. Slaterus, F. Berendse, M.E. Visser, E. Veenendaal, Experimental illumination of natural habitat — an experimental set-up to assess the direct and indirect ecological consequences of artificial light of different spectral composition, in Philosophical Transactions of the Royal Society, Vol. 370, Issue 1667, 2015; A. Manfrin, G. Singer, S. Larsen, N. Weiß, R.H.A. van Grunsven, N.-S. Weiß, S. Wohlfahrt, M.T. Monaghan, F. Hölker, Artificial Light at Night Affects Organism Flux across Ecosystem Boundaries and Drives Community Structure in the Recipient Ecosystem, in Frontiers in Environmental Science, 5, 61, 2017.
[19] Corsivi aggiunti. Come evidenziato in dottrina, costituiscono isolati precedenti solo Cass. Civ., Sez. III, 08.02.2008 (Ud. 30/11/2007), n. 3130, che «ha confermato la condanna al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. dell’ente comunale di gestione delle strade per aver realizzato un sistema di illuminazione che aveva alterato la fotosintesi delle piante site nei campi limitrofi, danneggiandone così i raccolti»; la sentenza di merito del Tribunale di Frosinone, dep. in data 17.11.2011, che ha ravvisato profili di «responsabilità penale per omissione di atti d’ufficio ex art. 328 c.p. in capo a un pubblico ufficiale, reo di non aver rimosso un impianto di illuminazione comunale che si poneva in contrasto con le prescrizioni regionali sulla prevenzione dell’inquinamento luminoso», v. R. Bonfanti, L’inquinamento luminoso, cit., p. 38.
[20] Sulla preferibilità “ambientale” del risarcimento in forma specifica, v. APAT, Il risarcimento del danno ambientale. Aspetti teorici e operativi della valutazione economica, Roma, 2006, secondo cui «la surrogazione, che è auspicata dalla normativa statunitense sui danni ambientali ed esplicitamente richiamata nella direttiva europea in materia di responsabilità per danno all’ambiente, quando il ripristino pieno non sia praticabile, può talora comportare la perdita di alcune componenti a cui gli individui attribuiscono apprezzabili valori passivi ed anche taluni valori di uso. Nella valutazione complessiva del risarcimento occorrerà dunque tenere conto anche di questi aspetti. Si pensi ad esempio alla funzione idrogeologica di un bosco compromessa a seguito ad un disboscamento abusivo; senza ripristinare il bosco, la sola funzione di difesa idrogeologica può venire esplicata attraverso la realizzazione di manufatti come briglie e muri di sponda. Tuttavia, il riferimento a questo tipo di ripristino riguarda solo una parte limitata delle funzioni svolte dal bene ambientale danneggiato, per cui è preferibile, se possibile, un ripristino o una surrogazione completa del bene», p. 84. Cfr. altresì G.D. Comporti, La responsabilità per danno ambientale, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, 1, 2011; G. Villanacci, Complessità e novità della disciplina del danno ambientale, in Ildirittodegliaffari.it, 24 marzo 2014, note 186 e 209.
[21] Cfr. R.Casagrande, P. Giulini, Illuminazione pubblica e verde urbano, in L’albero, l’uomo, la città, Limena (PD), Signum, 1983, pp. 42-44.
[22] Attraverso l’opera delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (art. 14).
[23] Art. 8, comma II, l. 22 febbraio 2001, n. 36.
[24] Ancora oltre troveremmo i raggi cosmici, non trattati dal legislatore in quanto non riproducibili artificialmente, come ad esempio i γ cosmici (le cui sorgenti sono 1. galattiche, come le interazioni dei raggi cosmici con i gas e i fotoni interstellari, stelle di neutroni – o Pulsar –, o decadimenti radioattivi provenienti dall’esplosione di una Supernova; 2. extra-galattiche, come buchi neri molto pesanti) o i neutrini.
[25] Conferma l’interesse normativo e dottrinale per i poli estremi della radiazione elettromagnetica S. Fiorucci, L’inquinamento elettromagnetico, in B. Caravita, L. Cassetti, A. Morrone (a cura di), Diritto dell’ambiente, Bologna, Il Mulino, 2016: «la comunità scientifica internazionale ormai da molti anni si occupa delle possibili interazioni fra campi elettromagnetici e organismo umano in un duplice ordine di direzioni: da un lato, sono state esaminate le radiazioni ionizzanti, in grado di ionizzare i corpi attraversati e di produrre cariche positive e negative (raggi alfa e beta di natura corpuscolare e raggi gamma e x di natura ondulatoria) e, dall’altro, sono state analizzate le radiazioni non ionizzanti (fra cui quelle generate dai sistemi di comunicazione elettronica e da impianti televisivi), che non determinano alterazioni molecolari», p. 157; cfr. L. Romano, Inquinamento elettromagnetico, in E. Blasizza (a cura di), Manuale ambiente, cit., pp. 638 e ss.
[26] Che abroga il d.lgs. 17 marzo 1995, n. 230 e ss.mm., «Attuazione delle direttive 80/836, 84/467, 84/466, 89/618, 90/641 e 92/3 in materia di radiazioni ionizzanti».
[27] Anche gli studi che si esprimono in senso contrario, a fronte delle consolidate acquisizioni scientifiche, si limitano a dubitare della metodologia di indagine applicata e delle variabili prese in considerazione, e non della correlazione tra radiazioni elettromagnetiche luminose e danno ambientale. Sul punto, si veda ad esempio A. Da Silva, M. de Jong, R.H.A. van Grunsven, M.E. Visser, B. Kempenaers, K. Spoelstra, Experimental illumination of a forest: no effects of lights of different colours on the onset of the dawn chorus in songbirds, in Royal Society Open Science, Vol. 4, Issue 1, 2017.
[28] Come per la normativa italiana sugli apparecchi emittenti radiazioni inferiori a 300GHz.
[29] Sul cielo notturno come bene culturale e forma di astronomical heritage, cfr. Dichiarazione di La Palma, consultabile qui:  https://en.fundacionstarlight.org/docs/files/33_english-declaration-in-defense-of-the-quality-of-the-night-sky-and-the-right-to-starlight.pdf.
[30] P.C. Mayer-Tash, B.M. Malunat, Strom des Lebens, Strom des Todes. Elektro- und Magnetosmog im Kreuzfeuer Herausgegeben, Fischer Alternativ, Frankfurt am Main, 1994; P.C. Mayer-Tash, Die soziokulturelle und die spirituelle Dimension der Politischen Ökologie, in P.C. Mayer-Tash  (hrsg.), Politische Ökologie. Eine Einfürung, Springer Fachmedien Wiesbaden GmbH, Nürnberg, 1999, p. 157.
[31] Sull’impatto della radiazione lunare su flora e fauna, si rimanda a D. Dibona, Il Larice – Regione Veneto, La Tipografica A.G.V. s.r.l., Venezia, pp. 250 e ss.; A. Palumbo, L’ecosistema terra nel canto dell’universo, Guida Editori, Napoli, 1992, pp. 304 e ss.
[32] Dir. 2004/108/CE, considerando n. 10 e art. 1 comma V; Dir. 2014/30/UE, considerando n. 13 e art. 2 comma IV.
[33] Consultabili qui https://www.icnirp.org/cms/upload/publications/ICNIRPVisible_Infrared2013.pdf. Sulla radiazione laser con lunghezza d’onda tra 180nm e 1000μm v. https://www.icnirp.org/cms/upload/publications/ICNIRPLaser180gdl_2013_2020.pdf.
[34] Art. 159, D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112.
[35] Sulla crescente interconnessione tra tutela penalistica e diritto fondamentale alla salute pubblica, nonché sulla “primarietà” dell’interesse pubblico alla salubrità ambientale, v. R. Leonardi, La tutela dell’interesse ambientale, tra procedimenti, dissensi e silenzi, Torino, Giappichelli, 2020; A. Zampini, Luci e ombre nella disciplina delle prescrizioni amministrative dei reati ambientali, in Cultura giuridica e diritto vivente, 3/2016; A.M. Basso, Profili logico-interpretativi del diritto all’ambiente: princìpi e criteri dell’ordinamento tra attualità e teoretica, in  AmbienteDiritto.it, 11 giugno 2010; M. Valiante, Manuale di diritto penale dell’ambiente, Giuffré, Milano, 2009; A. Di Tullio d’Elisiis, I nuovi reati ambientali e le strategie difensive, Bologna, Maggioli, 2015.
[36] La metafora appartiene al giurista Karl Binding, cfr. S. Moccia, Ordine pubblico (disposizioni a tutela del), in Enc. Dir., 22, Roma, 1990, pp. 1 e ss.
[37] F. Battistelli, La sicurezza urbana “partecipata”: privatizzata, statalizzata o pubblica?, in A. Torre (a cura di), Costituzioni e sicurezza dello Stato, Maggioli, Bologna, 2013, p. 381; F. Bocchini, E. Quadri, Diritto privato, VIIa ed., Giapichelli, Torino, 2018, pp. 223 e ss.;  I. Ruggiu, Il cambiamento climatico come fattore di migrazione: impatti sulla sicurezza a livello locale; C. Bassu, I diritti umani e le nuove sfide della sicurezza, in www.forumcostituzionale.it, 27 marzo 2017; G. de Vergottini, Guerra, difesa e sicurezza nella Costituzione e nella prassi, in www.rivistaaic.it, 2/2017, 4 aprile 2017;
[38] L’aumento di calamità naturali, il surriscaldamento globale, la desertificazione, le migrazioni di rifugiati climatici, le guerre per l’acqua, la perdita di biodiversità animale e vegetale, il proliferare di virus e batteri strettamente legati a condizioni di insalubrità ambientale, – che già attivano interventi di polizia di sicurezza e sanitaria – concorrono ad alimentare l’immagine di una prossima estinzione di specie, v. IPCC Special Report, AR6 Climate Change 2021: The Physical Science Basis. L’ultimo Full Report è raggiungibile qui: https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/sites/2/2019/06/SR15_Full_Report_High_Res.pdf (consultato in data 23 gennaio 2022).

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Antonio Micello

Cultore della materia in diritto amministrativo dei contratti pubblici, diritto amministrativo dell'ambiente e dell'alimentazione presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università del Salento.

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