Rapporto tra accesso civico e accesso documentale

Rapporto tra accesso civico e accesso documentale

Il T.A.R. Lazio- Roma, Sezione I quater, in occasione di un ricorso presentato avverso il diniego opposto dal Dipartimento della Protezione Civile – Presidenza del Consiglio dei Ministri ad una istanza di accesso civico generalizzato ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 33/2013, si è pronunciato sul rapporto intercorrente tra accesso documentale e accesso civico  generalizzato alla luce dei profili teleologici ed evolutivi dei due istituti (T.A.R. Lazio-Roma, Sez. I-quater, 22 luglio 2020, n. 8615).

In particolare, la dinamica dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, non più improntati secondo una matrice autoritativa bensì paritetica ed espressiva di un ordinamento democratico, ha favorito una crescente valorizzazione della partecipazione dei privati alla gestione della “res publica” al fine di rendere più efficiente, efficace ed economica l’attività amministrativa, in ossequio all’art. 97 della Costituzione che enuncia il principio di buon andamento ed imparzialità, e di evitare dispendi di risorse e fenomeni corruttivi. La massima concretizzazione di tali obiettivi è avvenuta attraverso l’affermazione del fondamentale principio di trasparenza dell’agire pubblico, affiancato dagli obblighi di pubblicità e diffusione di informazioni, anche con modalità telematiche e sui siti istituzionali dell’ente, da parte delle pubbliche amministrazioni (D. Lgs. n. 33/2013). L’esaltazione dei principi di trasparenza e di pubblicità ha contribuito al riconoscimento di un potere generale di controllo dell’operato degli enti pubblici da parte dei cittadini tale da responsabilizzarne maggiormente gli esponenti e attuare efficacemente i principi costituzionali di buona amministrazione.

La rivoluzionaria disciplina in tema di trasparenza ha comportato l’introduzione dell’accesso civico e dell’accesso civico generalizzato, istituti che assolvono quella funzione che non era (e non è ancora) perseguibile con l’accesso documentale ai sensi dell’art. 24, comma 3, della l. n. 241/1990, ovvero presentare istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione. Le differenze tra accesso documentale e le due tipologie di accesso civico ha indotto dottrina e giurisprudenza, inizialmente, a delimitare il rapporto tra gli istituti in termini di specialità. Difatti, la legge sul procedimento amministrativo attribuisce la legittimazione a richiedere l’ostensione di informazioni già incorporate in documenti amministrativi ai titolari di posizioni giuridiche soggettive qualificate e differenziate che vantino un interesse diretto, attuale e concreto rispetto agli atti dei quali si richieda la visione. Perciò, l’accesso documentale è ammissibile quando abbia ad oggetto atti dell’amministrazione che riguardino direttamente l’istante, titolare di una situazione giuridica soggettiva differenziata, la cui mancata esibizione possa determinare un pregiudizio attuale e concreto all’interesse del richiedente. Diversamente, l’accesso civico introdotto dal D. Lgs. 33/2013 non pone limitazioni in ordine alla legittimazione, potendo essere richiesto dal quisque de populo senza particolari condizioni né modi, e prevede un oggetto più ampio comprensivo non solo di documenti ma di qualsiasi informazione o dato che l’amministrazione sia tenuta a rendere pubblica/o in virtù di uno specifico obbligo di pubblicazione (art. 5, comma 1,  D. Lgs. n. 33/2013). Infine, l’accesso civico generalizzato, ai sensi del comma 2 dell’art. 5, attribuisce a chiunque il diritto di chiedere l’ostensione anche di dati, informazioni e documenti non oggetto di un obbligo di pubblicazione proprio al fine di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali“. Il rapporto di specialità o di reciproca esclusione comportava una rigida differenziazione delle tipologie di accesso tale per cui soltanto l’assenza dei requisiti di un tipo legittimava il ricorso all’altro, sempre che si fossero integrati i relativi presupposti.

L’impostazione dogmatica incline ad un rapporto di specialità è stata ormai pacificamente superata dalla giurisprudenza la quale sostiene che i diversi istituti dell’accesso debbano essere unitariamente considerati alla luce del quadro evolutivo delle riforme che si sono succedute nel tempo e delle rinnovate esigenze sociali che considerano prioritario garantire forme di controllo  dell’azione amministrativa da parte dei cittadini. Il rapporto tra i diversi tipi di accesso è, pertanto, di integrazione e completamento, considerata la ratio legis ed i rinvii che lo stesso D. lgs. n. 33/2013 effettua alla disciplina dell’accesso documentale. Pertanto, la disciplina dell’accesso civico va a completare quella dell’accesso documentale, ampliandone l’oggetto e la legittimazione attiva, e non ad escluderlo.  Il Consiglio di Stato si è così pronunciato affermando che il rapporto di inclusione è funzionale all’integrazione dei diversi regimi, rispettandone le diversità, in vista “della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline“(Cons. Stato Sez. IV, 20/04/2020, n. 2496).

Il T.A.R. Lazio-Roma ha avuto modo di ribadire il rapporto di completamento sussistente tra le discipline pronunciandosi sui casi di esclusione dell’accesso previsti dall’art. 24, comma 1, della l. n. 241/1990 e comuni anche all’accesso civico generalizzato a fronte del rinvio espresso contenuto nell’art. 5-bis, comma 3, del D. Lgs. n. 33/2013. Il G.A. ha accolto il primo motivo di ricorso incentrato sulla contestazione della qualifica attribuita ai verbali del Comitato Tecnico scientifico quali atti endo-procedimentali prodromici all’adozione di atti normativi o amministrativi generali (art. 24, comma 1, lett. c), l. 241/1990). I verbali dei quali si era chiesta l’ostensione negata sono stati menzionati nei D.D.P.C.M. adottati dal Presidente del Consiglio dei Ministri per far fronte alla emergenza sanitaria da Covid-19, dapprima locale e poi insistente su tutto il territorio nazionale, sulla base dei poteri di mantenimento dell’unità di indirizzo politico ed amministrativo, attraverso il coordinamento dell’attività dei ministri, riconosciutigli dagli artt. 95 e 118 Cost. Il giudice amministrativo ha affermato che tali D.D.P.C.M. non possono essere considerati atti normativi poiché privi del carattere della originalità e della capacità di innovare l’ordinamento a fronte del loro carattere eccezionale e temporalmente limitato alla durata della situazione emergenziale. Neanche possono essere annoverati tra gli atti amministrativi generali, dei quali condividono la generalità dei destinatari a cui si rivolgono, poiché i decreti in questione sono piuttosto assimilabili alla categoria delle ordinanze contigibili ed urgenti. Nello specifico, i decreti del Presidente del Consiglio sono atti atipici (in quanto volti ad intervenire su accadimenti imprevisti e per questo non regolati da leggi), eccezionali, temporalmente limitati al perdurare dello Stato di emergenza dichiarato e, a differenza degli atti amministrativi generali, sono idonei a derogare le fonti di rango primario stabilendo in misura proporzionata obblighi di fare o di non fare strettamente connessi alla necessità ed urgenza da fronteggiare. Per tale ragione il T.A.R. Lazio-Roma ha affermato l’insussistenza di atti normativi o amministrativi generali tali da precludere l’accesso ai verbali richiesti ed ha, al contrario, ravvisato un interesse meritevole di tutela all’ostensione di atti prodromici all’esercizio di un potere amministrativo in via d’urgenza, sindacabile sotto il profilo della proporzionalità delle misure imposte rispetto all’obiettivo da raggiungere. Lo strumento di controllo dell’agire amministrativo attribuito ai cittadini nei confronti di atti e documenti amministrativi dotati di minor rilevanza sociale a maggior ragione deve essere riconosciuto per atti amministrativi capaci di incidere con misure invasive sulle libertà fondamentali dell’uomo. I casi di esclusione dell’accesso documentale, per tali motivi, devono essere interpretati con rigore anche nell’ambito dell’accesso civico generalizzato a fronte del rapporto di inclusione e completamento intercorrente tra le rispettive discipline. Alla luce di tali osservazioni, il T.A.R. ha disposto l’accoglimento del ricorso e condannato il Dipartimento della Protezione Civile – Consiglio dei Ministri all’ostensione dei verbali richiesti.


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Sara Cimini

E' laureata in giurisprudenza alla luce di un percorso di studio che ha favorito il sorgere della passione e dedizione per il diritto amministrativo, le tematiche ambientali, il diritto pubblico ed il diritto penale. L'approfondimento delle materie è avvenuto attraverso la specializzazione nelle professioni legali (SSPL), la pratica forense svolta presso uno studio legale specializzato in diritto civile, condominio, diritto penale e amministrativo. Inoltre, ha svolto il tirocinio ex art. 73 d.l. n. 69/2013 presso il T.A.R. Lazio-Roma, Sez. III Principale. Durante la formazione ha acquisito competenze principalmente sugli appalti pubblici, servizi e trasporti pubblici, A.S.N., test di accesso alla facoltà di medicina e scuole di specializzazione nonché sulla organizzazione degli uffici pubblici e giudiziari.

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