Revenge porn, maestra licenziata: condannata dirigente scolastica

Revenge porn, maestra licenziata: condannata dirigente scolastica

Torino. La vicenda risale all’anno 2018, quando una ragazza ventenne, impiegata in un asilo nido, inviava alcune foto e video che la ritraevano – in intimità -, al ragazzo che frequentava. Lo stesso, inoltrava il materiale ricevuto ad alcuni suoi contatti,  tramite il noto mezzo di messaggistica istantanea, WhatsApp. Da qui discendevano dicerie e pettegolezzi in paese a riguardo della ragazza. Secondo la ricostruzione dell’accusa, la diffusione di tale materiale e le discendenti dicerie, costringevano la ragazza a rassegnare le dimissioni.

Ne veniva a conoscenza la madre di un’alunna, ora accusata di tentata violenza privata e violazione del codice sulla privacy, che scovava foto e video dal cellulare del marito e provvedeva a proseguirne la divulgazione anche ad altri genitori. Il materiale giungeva nelle mani della dirigente scolastica, ora accusata di violenza privata e diffamazione. La stessa, infatti, avrebbe costretto l’insegnante a dimettersi e convinto le altre a trovare un pretesto al fine di allontanarla, difatti come da  un audio emerso avrebbe riferito  «rendo ogni pretesto per mandarla via. Voi cercate di farla sbagliare» Avrebbe altresì  cercato di convincere la maestra a non adire le vie legali così esprimendosi: «se non vuole essere svergognata, deve fare la seria lei. È meglio che non denunci».

Oggi la dirigente scolastica dell’istituto è stata condannata ad un anno e un mese di reclusione (con la condizionale). Per la madre dell’alunna è prevista una condanna a 12 mesi.

A riguardo dell’ex fidanzato, che aveva già chiesto ed ottenuto un anno di messa alla prova, si prevedono otto ore a settimana per un anno ed al termine dovrà dunque dimostrare di essersi ravveduto.

Il Tribunale ha condannato anche un’ex collega, processata con rito abbreviato, che aveva contribuito alla divulgazione.

Le parole della maestra: «Sono soddisfatta. La verità è uscita fuori, anche se dopo anni» ed aggiunge «una storia raccontata in maniera meno forte di quanto ho vissuto. Nessuno mi ha mai chiesto scusa, ma ora delle scuse non saprei cosa farmene. Vorrei solo tornare a insegnare. Questo è il mio sogno, ma per ora nessuno mi ha contattata». Soddisfatti anche  gli avvocati della giovane maestra che così si esprimono: «Questa sentenza è importante: dimostra che nessuno, soprattutto le donne, dev’essere giudicato per ciò che fanno in camera da letto ma per la propria competenza e professionalità. Non siamo più nell’ottocento, non c’è nessuna lettera scarlatta».


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