Scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose

Scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose

T.A.R. Lazio, sez. I, 13 maggio 2020, n. 5022

La sentenza Tar Lazio, sez. I, 13 maggio 2020, n. 5022 ha ad oggetto il ricorso promosso dagli Amministratori comunali per l’annullamento del Decreto del Presidente della Repubblica recante lo scioglimento del Consiglio Comunale ai sensi dell’art. 143 T.U. 267/2000.

Ai sensi dell’art. 143, comma 1, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando “emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori…, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento e imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.

L’impugnato provvedimento veniva adottato sulla base di accertamenti da cui emergevano forme di ingerenza della criminalità organizzata che avevano esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti, andando così a ledere il buon andamento e imparzialità dell’attività comunale, con conseguente grave pregiudizio agli interessi della collettività e perdita di credibilità dell’istituzione locale.

Il Prefetto di Palermo aveva proposto lo scioglimento del Consiglio comunale in quanto, dalle risultanze di una complessa operazione giudiziaria erano emersi rapporti tra il primo cittadino ed un esponente della famiglia mafiosa localmente egemone nel corso della campagna elettorale del 2018. Veniva evidenziato come tali rapporti avessero inciso sulle scelte concernenti le alleanze ed i soggetti da inserire nelle liste elettorali.

I ricorrenti lamentavano l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 143 del D.lgs. n. 167/2000 non essendoci, a loro avviso, concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata.

Il Tar capitolino, con la sentenza in disamina, osserva che lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose ai sensi dell’art. 143 del T.U.E.L costituisce una misura straordinaria di prevenzione, che l’ordinamento ha apprestato per rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale. Il D.P.R. con il quale è stato disposto lo scioglimento e la relazione ministeriale di accompagnamento costituiscono, quindi, atti di “alta amministrazione”, poiché orientati a determinare ugualmente la tutela di un interesse pubblico, legato alla prevalenza della azioni di contrasto alle c.d. “mafie” rispetto alla conservazione degli esiti delle consultazioni elettorali.

Quanto alla natura di tale provvedimento, è ormai diffuso nella giurisprudenza amministrativa l’orientamento che, senza trascurare gli effetti afflittivi prodotti dal provvedimento ex art. 143, ne rimarca, da un lato, la finalità cautelare e di prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata nella vita, politica e amministrativa, degli enti locali, dall’altro, la straordinarietà e la natura di atto di alta amministrazione, quasi extrema ratio dell’ordinamento volta a salvaguardare la funzionalità dell’amministrazione pubblica (Cons. St., Sez. III, 24 aprile 2015, n. 2054; Cons. St., Sez. III, 24 febbraio 2016, n. 748).

Ebbene, la misura di cui all’art. 143 del T.U.E.L. non ha natura di provvedimento di tipo “sanzionatorio” ma preventivo essendo teso a salvaguardare l’Amministrazione pubblica dalla pressione e dall’influenza della criminalità organizzata.

I Giudici del Tar, nel confermare il Decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento del Consiglio Comunale, sottolineano come le vicende che costituiscono il presupposto di tale provvedimento devono essere considerate “nel loro insieme” e non in modo atomistico, dovendo risultare idonee a delineare in maniera ragionevole il quadro complessivo del condizionamento mafioso.

Pertanto, dovendo tali elementi essere considerati nel loro insieme, ai fini dell’adozione del provvedimento di scioglimento, assumono rilievo anche situazioni che non si traducono necessariamente in episodici addebiti personali ma che complessivamente considerati sono tali da rendere plausibile una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione.

Come noto, a fondamento del provvedimento di scioglimento può essere alternativamente posto tanto il ritenuto collegamento di politici e burocrati locali con la criminalità organizzata quanto il loro condizionamento. L’uno e l’altro devono, tuttavia, risultare da elementi “concreti, univoci e rilevanti”, idonei ad attestare “un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali”.

La norma di cui all’art. 143 T.U.E.L. consente all’autorità amministrativa di apprezzare tutta una serie di elementi sintomatici dai quali evincere l’influenza mafiosa, non essendo un’indagine limitata alle sole evenienze di carattere penale.

Il pericolo di infiltrazione mafiosa viene valutata dal Prefetto secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, sicché non è necessario un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio – tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove – essendo sufficiente una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere più probabile che non, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.

Nel caso portato all’attenzione dei Giudici amministrativi, proprio nel seguire un percorso di ragionevolezza valutativa e di proporzionalità, non si poteva negare la sussistenza del nesso di interdipendenza, secondo la logica della c.d. probabilità cruciale e nell’ottica di una complessiva valutazione, in quanto i condizionamenti mafiosi sulla vita amministrativa del Comune, per i collegamenti diretti o indiretti dei suoi amministratori con la criminalità organizzata, si sono riflessi in un generale disordine amministrativo e in un’opacità del potere pubblico locale, con compromissione della sua efficace azione e un indebito vantaggio degli interessi economici facenti capo alla cosche egemoni sul territorio.

La straordinarietà dell’indicata misura e la sua fondamentale funzione di contrasto alla capillare diffusione, tramite connivenza con le amministrazioni locali, della criminalità organizzata sull’intero territorio nazionale, fa sì che, con la norma di cui all’art. 143 cit., la finalità perseguita dal legislatore è quella di offrire uno strumento di tutela avanzata, in particolari situazioni ambientali, nei confronti del controllo e dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo” (Cons. Stato, Sez. III, 23 marzo 2014, n. 2038), nell’evidente necessità di evitare, con immediatezza, che l’Amministrazione locale rimanga permeabile all’influenza della criminalità organizzata per l’intera durata del suo mandato elettorale (Cons. Stato, Sez. III, n. 3340/2014 cit.).

Il Giudice amministrativo, nell’esame delle impugnazioni di tali provvedimenti, può esercitare solo un sindacato di legittimità di tipo “estrinseco”, essendo allo stesso preclusa ogni valutazione nel merito, tranne che nei casi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti.

Il Tar di Roma, in conclusione, rigetta il ricorso considerando legittimo il Decreto del Presidente della  Repubblica di scioglimento del Consiglio comunale in quanto risultano integrati tutti gli elementi previsti dall’art. 143 T.U.E.L.  ed essendoci, quindi, in concreto il pericolo di infiltrazione mafiosa.


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Gloria Cirillo

Laureata con lode presso l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" con tesi in Diritto Amministrativo. Successivamente ha svolto la pratica forense presso l'Avvocatura di Roma Capitale, occupandosi principalmente di diritto amministrativo e diritto civile. Ha svolto con esito positivo il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso il Tribunale di Roma, sezione civile. Ha frequentato il corso di alta formazione giuridica "Foroeuropeo" e sostenuto l'esame per l'abilitazione alla professione forense nel Dicembre 2019 .

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