Sezioni Unite, note critiche sulla recente sentenza del 19 ottobre 2023 n. 29106

Sezioni Unite, note critiche sulla recente sentenza del 19 ottobre 2023 n. 29106

Nell’ambito della decisione sul regolamento preventivo di giurisdizione sull’impugnativa, la recentissima sentenza delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione n. 29106 del 19 ottobre 2023, tocca alcuni rilevanti aspetti in merito alla natura del provvedimento emanato dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate per l’attuazione del contributo previsto dall’art. 37 del D.l. 21/2022 (prelievo straordinario posto a carico delle imprese del settore petrolifero ed energetico), della circolare n. 22/E del 23 giugno 2022 e della risoluzione 29/E del 20 giugno 2022.

L’art. 37, comma 5, secondo periodo, del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, ha rimesso al «provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, sentita l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente» di definire «gli adempimenti, anche dichiarativi, e le modalità di versamento del contributo oltre la facoltà di individuare «dati aggiuntivi da indicare nelle fatture di cessione e di acquisto dei prodotti di cui al comma 1 e sono definite le modalità per lo scambio delle informazioni, anche in forma massiva, con la Guardia di finanza».

Le SS.UU aderiscono all’ordinanza del 21 settembre 2021, n. 25479, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione che avevano già avuto modo di affermare, in merito a diverso provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, che “Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, come già detto, si limita a regolare gli aspetti pratici dell’attuazione del meccanismo previsto per legge. Si tratta, quindi, di atto amministrativo generale, non contenente una pretesa tributaria sostanziale, rispetto al quale (e alle ulteriori azioni di accertamento esperite dalla XXX) appare evidente l’estraneità alla materia devoluta alla giurisdizione tributaria, secondo i canoni fissati dalla giurisprudenza consolidata di queste Sezioni Unite (cfr. Cass. SS.UU. n. 7664 del 18 aprile 2016 con ulteriori richiami) dalla quale è dato evincere che nessuna disposizione del d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546 attribuisce alle Commissioni tributarie un potere direttamente incisivo degli atti generali, in deroga alla tipica giurisdizione di legittimità costituzionalmente riservata agli organi della giustizia amministrativa”.

La sentenza, afferma che i provvedimenti impugnati nel giudizio amministrativo, quindi anche la circolare e la risoluzione sopra citate, sarebbero “pacificamente” attuativi dell’art. 37, d.l. 21/22 e che i tre atti impugnati si fonderebbero “sull’attribuzione funzionale attuativa di cui al comma 5 della citata disposizione normativa…”.

Se tale affermazione è condivisibile per il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, lo stesso non si ritiene per la circolare e per la risoluzione. Tali ultimi provvedimenti, seppure afferenti alla materia regolata con il d.l. 21/22, hanno fondamento nei poteri generali di gestione e riscossione dei tributi, riconosciuti all’Agenzia delle Entrate dal decreto legislativo istitutivo n. 300/1999, esercitabili anche mediante l’emanazione di atti interpretativi per i quali si è sempre riconosciuta la valenza interna e l’efficacia non vincolante.

La Corte di Cassazione, SS.UU., del 2.11.2007, n. 23031 dichiara il difetto assoluto di giurisdizione e afferma il principio di diritto secondo cui “La circolare con la quale l’Agenzia delle Entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati perché vi si uniformino, esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non vincolante per il contribuente, e non è, quindi, impugnabile né innanzi al Giudice amministrativo, non essendo un atto generale di imposizione, né innanzi al giudice tributario, non essendo atto di esercizio di potestà impositiva”. A siffatta conclusione le Sezioni unite pervengono in base alla considerazione che alla circolare amministrativa interpretativa non possa essere riconosciuta alcuna efficacia normativa esterna: essa non può essere annoverata tra gli atti generali di imposizione, impugnabili innanzi al G.A. in via d’azione, né disapplicabili dal giudice tributario od ordinario in via incidentale. Le SS.UU. formulano altresì le seguenti considerazioni: la circolare emanata nella materia tributaria non vincola il contribuente; il nostro sistema tributario è basato sull’auto-tassazione, sicché la soluzione delle questioni interpretative è affidata direttamente al contribuente; la circolare non vincola gli uffici gerarchicamente sott’ordinati, i quali possono anche disattenderla – sia pur motivatamente – senza che il provvedimento finale adottato possa essere ritenuto illegittimo per violazione della circolare, ciò che conta è che l’atto sia conforme alla legge; la circolare non vincola neppure la stessa amministrazione che l’ha emanata, la quale può modificare, correggere o anche completamente motivatamente disattendere l’interpretazione adottata; la circolare, infine, non vincola il giudice tributario, cui soltanto la legge affida il compito di interpretare la legge impositiva.

Riconoscendo che la categoria delle fonti secondarie si presenti decisamente più variegata rispetto a quanto previsto dalle disposizioni preliminare al codice civile, che citano solo i regolamenti del Governo e delle “altre autorità”, a parere della scrivente, nel caso di specie la natura di regolamento/ provvedimento attuativo dell’atto direttoriale impugnato appare sostenibile. I caratteri che, sul piano del contenuto sostanziale, differenziano i regolamenti dagli atti amministrativi generali, vanno individuati nel fatto che mentre quest’ultimi costituiscono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono diretti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili, i regolamenti sono espressione di una potestà amministrativa secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti che presentano appunto i caratteri della generalità e dell’astrattezza, intesi essenzialmente come ripetibilità nel tempo dell’applicazione delle norme e non determinabilità dei soggetti cui si riferiscono (Cons. Stato Ad. plen., 4 maggio 2012, n.9). In assenza del provvedimento impugnato, infatti, la pretesa impositiva sarebbe stata di fatto inattuabile mentre l’Agenzia delle Entrate non aveva, sulla base dell’attribuzione legislativa del potere, alcun margine di apprezzamento sulla specificazione e perimetrazione degli elementi costitutivi del contributo che sono invece stati individuati a priori dal legislatore.

Sotto il profilo della competenza giurisdizionale, ai sensi dell’art. 7, comma 1, cod. proc. amm. sono devolute «le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi (…) concernenti l’esercizio (…) del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti (…) posti in essere da pubbliche amministrazioni». Il potere amministrativo cui fa riferimento la disposizione richiamata è quello riconosciuto dalla legge per l’attuazione concreta della norma e si manifesta attraverso atti giuridici di competenza di soggetti pubblici in grado di incidere in modo unilaterale sulle posizioni giuridiche soggettive dei destinatari. Il Consiglio di Stato, con le sentenze citate dalle SS.UU. al punto 6. della sentenza in commento, afferma la sussistenza della giurisdizione amministrativa di legittimità quando sono impugnati atti emessi nell’esercizio del potere pubblico, e dunque autoritativi, non rilevando che si tratti di un potere discrezionale o vincolato (cfr. la sentenza della Corte Costituzionale n. 127 del 1998, per la quale è un ‘postulato privo di qualsiasi fondamento il sostenere che un atto vincolato non possa incidere su posizioni di interesse legittimo). Sul punto rilevano anche le considerazioni poste a base della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 2008, per la quale «anche a fronte di attività connotate dall’assenza in capo all’amministrazione di margini di discrezionalità valutativa o tecnica, quindi, occorre avere riguardo, in sede di verifica della natura della corrispondente posizione soggettiva del privato, alla finalità perseguita dalla norma primaria, per cui quando l’attività amministrativa, ancorché a carattere vincolato, tuteli in via diretta l’interesse pubblico, la situazione vantata dal privato non può che essere protetta in via mediata, così assumendo consistenza di interesse legittimo.

In tema di impugnabilità dei regolamenti amministrativi e degli atti amministrativi generali, la regola invalsa in giurisprudenza, confermata tra le altre dalla pronuncia del Consiglio di Stato del 13 febbraio 2020, n. 1159, richiama il costante e risalente orientamento secondo il quale i regolamenti e gli atti amministrativi generali sono impugnabili in via diretta solo ove contengano disposizioni in grado di ledere in via diretta ed immediata le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari; negli altri casi, divengono impugnabili solo quando sorge l’interesse a ricorrere, ovvero assieme all’atto applicativo che produca una lesione effettiva, e non solo ipotetica o futura: in tali termini, per tutte C.d.S., sez. V, 7 ottobre 2016, n. 4130, e 6 maggio 2015, n. 2260, nonché sez. VI, 29 marzo 1996, n. 512. Ciò posto, applicando il principio delineato al caso di specie, non è chiaro quali fossero le disposizioni immediatamente lesive del provvedimento sopra esposto. Peraltro, sotto il profilo dell’effettività della tutela, sugli atti regolamentari o amministrativi generali dell’amministrazione finanziaria in materia tributaria, permane in ogni caso il potere di disapplicazione incidentale, ai sensi dell’art. 7, comma 5, del citato decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e dunque del sindacato ad esso spettante sull’atto di imposizione rientrante nelle ipotesi previste dal sopra citato art. 19 del medesimo decreto legislativo

Anche in aderenza a tale giurisprudenza, la difesa dell’Agenzia delle Entrate insisteva, per l’esclusione di qualsiasi altra giurisdizione individuando nell’azione impugnatoria una mera aggressione giudiziale diretta alle norme primarie istitutive del contributo de quo, ovvero un’anticipazione di tutela rispetto ai futuri atti impositivi in materia. La tutela, quindi, doveva essere posticipata al momento dell’eventuale emissione degli atti impositivi non essendo il provvedimento direttoriale idoneo a cagionare alcuna lesione di interesse legittimo trattandosi di attività meramente attuativa della norma istituiva (D.l. 21/2022, art. 37, comma 5).

Sul punto, la sentenza in commento afferma l’immediata lesività di tutti gli atti impugnati, rilevando che “l’azione proposta coincide con una forma di tutela preventiva avverso i regolamenti/gli atti amministrativi generali rispetto agli atti impositivi/riscossivi “individuali” che è del tutto legittimata…, come già osservato, dall’art. 7, commi 1-4, cod. proc. amm., e, per converso, dall’art. 7, comma 5, d.lgs. 546/1992, il quale appunto prevede che “Le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente”. Trattasi invero di un’azione di annullamento esercitabile “in prevenzione” ed alternativamente alla disapplicazione da parte del giudice tributario, secondo uno schema che risulta ben chiaro in tali disposizioni legislative processuali.”

Il rischio di un apparente “vuoto di tutela” sembra, per converso, far procedere verso la richiesta di una più spinta anticipazione della tutela e del momento di individuazione dell’insorgenza dell’interesse legittimo ad essa prodromico, soprattutto a fronte della scelta di omettere il versamento del contributo straordinario. Tale esigenza di anticipazione appare facilmente ricollegabile al rischio che la questione di legittimità costituzionale già sollevata, ove pure trovasse accoglimento, possa rinvenire uno scomodo precedente nella sentenza n. 10/2015 della Corte Costituzionale (in tema di c.d. “Robin Hood Tax”). In quell’occasione, come noto, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità del tributo limitando tuttavia gli effetti temporali della propria sentenza, con riferimento in particolare in caso di pagamento all’esclusione del diritto al rimborso per la non applicazione retroattiva della decisione della Corte, con l’effetto di rendere il tributo già pagato non ripetibile in omaggio a generiche esigenze di mantenimento dell’equilibrio del bilancio, ritenute prevalenti.


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Michela Casarsa

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