Sicurezza alimentare: OGM, profili normativi generali in materia di produzione e di commercializzazione

Sicurezza alimentare: OGM, profili normativi generali in materia di produzione e di commercializzazione

Il Ministero della Salute definisce Organismo Geneticamente Modificato quello diverso da un essere umano, il cui materiale genetico (DNA) è stato trasformato in un modo differente da quanto avviene in natura attraverso l’accoppiamento e la ricombinazione genetica naturale.

Il c.d. Gene Control (controllo genetico) aumenta la probabilità di ereditare un gene al 100% nell’accoppiamento rispetto al solo 50% previsto in natura.

I recenti sviluppi in ambito di biologia molecolare stanno consentendo agli scienziati di progettare controlli genetici e di attuarli per immettere geni vantaggiosi nelle popolazioni destinatarie. Ciò ha aperto la strada al controllo genetico per diversi scopi: eliminare i vettori di malattie, si pensi alle zanzare che veicolano la malaria; controllare organismi nocivi per l’agricoltura; eradicare le specie invasive come i roditori dalle isole, ad esempio; infine, salvare specie in via di estinzione minacciate da agenti patogeni.

Se, quindi, da un lato, i controlli genetici sono molto promettenti, da un altro, il loro sviluppo e una deliberata introduzione nell’ambiente destano preoccupazione circa la potenziale, incontrollata ed automatica propagazione di alcune modificazioni genetiche, con effetti collaterali indesiderabili e la possibile alterazione in modo irreversibile degli ecosistemi. È per questo che la ricerca sul controllo genetico e le relative immissioni nell’ambiente non può prescindere da responsabilità, sicurezza e coinvolgimento della società tutta.

Gli organismi il cui materiale genetico sia stato modificato con dette modalità sono chiamati “organismi geneticamente modificati” (OGM in breve). Alimenti e mangimi contenenti o costituiti da OGM o che siano stati prodotti a partire da OGM sono detti “geneticamente modificati” (GM in breve).

A tal proposito, l’Unione Europea, che possiamo definire conservatrice riguardo alla produzione e alla circolazione di prodotti GM, rispetto al resto del mondo, adotta scelte politico governative ispirate al c.d. principio di precauzione, quale strumento di regolazione della “scienza incerta”.

Organismi consultivi come l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, EFSA, valutano, perciò, i potenziali effetti nocivi sull’uomo, sugli animali e sull’ambiente derivanti dalla diffusione di organismi modificati geneticamente.

Gli organi politico decisionali, come la Commissione Europea e gli Stati Membri si avvalgono di tale consulenza per soppesare i rischi e i benefici potenziali di tali organismi ma tengono anche conto di fattori sociali ed economici nel decidere se essi vadano usati e in che modo.

La questione, aldilà del profilo etico, sul quale ci sarebbero da spendere fiumi di parole, è valutare i nuovi approcci tecnici della mano dell’uomo sull’ecosistema, oggi più che mai. In proposito, invero, è d’obbligo richiamare uno scritto filosofico apparso nel 1979, ma tradotto in lingua italiana soltanto negli anni ’90, che potrebbe ben essere considerato come anticipatore delle riflessioni circa l’utilizzo della tecnica: “ (…) in quale modo questa tecnica influisca sulla natura del nostro agire modificandola, in quale misura essa renda, sotto il suo dominio, l’agire diverso da ciò che è stato nel corso di tutti i tempi. Poiché l’uomo, attraverso tutte queste epoche, non è mai stato privo di tecnica, il mio interrogativo verte sulla differenza umana della tecnica moderna da ogni tecnica precedente” (Cfr. H.Jonas, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino 2002, p. 3.).

Sin da quando gli esseri umani hanno iniziato a coltivare piante e allevare animali a scopi alimentari, hanno cercato di selezionare quelli con caratteristiche positive, a fini di miglioramento genetico. Tali caratteristiche rispecchiavano variazioni genetiche che intervengono in natura e avevano come risultato, ad esempio, un aumento della resa agricola o della resistenza a malattie o pressioni ambientali.

In campo agro-alimentare, il fine di tali tecniche è quello di produrre specie vegetali dotate di caratteristiche, quali resistenza ad ambienti ostili, inattaccabilità dai patogeni, capacità di adattamento, maggior apporto nutritivo, che rendono il loro impiego particolarmente utile e redditizio.

Ad oggi, invero, in Europa sono autorizzate tre colture transgeniche: la soia, resistente alla irrorazione con insetticidi; il mais dolce, in grado di produrre effetti antiparassitari; infine, la colza, in grado di resistere agli insetticidi e di non produrre polline.

Orbene, mentre la posizione comune tra gli Stai dell’Unione, soprattutto l’Italia, è quella di Paesi OGM Free, nella pratica, però, i prodotti GM si importano.

L’Italia importa una sessantina di diversi OGM, autorizzati anche per il consumo umano, ma non ne coltiva nessuno. Questa politica è comune ai Governi degli ultimi vent’anni, ossia a tutti i gruppi politici. Le stesse principali Confederazioni agricole italiane assumono posizioni contrapposte sullo sviluppo di biotecnologie per la produzione di materiali biologici utili anche in agricoltura, con tutte le connesse forti perplessità nella gestione del rischio per l’impiego di organismi transgenici.

Gli OGM attualmente sviluppati, autorizzati e commercializzati sono piante, (mais, soia, colza e cotone), modificate geneticamente per conferire loro caratteristiche che non hanno in origine, ovvero la resistenza a certi insetti o la tolleranza ad alcuni erbicidi.

In Italia, ad oggi, nessuna di queste piante geneticamente modificate viene coltivata a fini commerciali, anche se è consentita la commercializzazione dei loro prodotti nel rispetto delle regole di etichettatura.

Emerge uno scenario, quindi, piuttosto complesso, in cui la legislazione in materia agroalimentare rivela numerosi profili di criticità e problematiche di sicurezza legate alla circolazione e al consumo di alimenti.

Si è giunti, come compromesso, alla fissazione di significative regole di sicurezza, fra cui quella di indicare obbligatoriamente con la dizione “può contenere organismi geneticamente modificati” le spedizioni di cibi transgenici, nonché l’elencazione, grazie all’etichettatura, di tutte le caratteristiche e gli ingredienti di un alimento e del metodo con cui è stato ottenuto.

Il quadro normativo, tuttavia, come visto, è costituito prevalentemente da fonti euro-unitarie, fra le quali, si segnala, in particolare, la Direttiva 2001/18/CE (oggi modificata ad opera della Direttiva UE 2015/412 e attuata in Italia con il D. Lgs. 14/2016) che detta la disciplina sull’emissione deliberata nell’ambiente di OGM.

Con essa il legislatore ha previsto in modo scrupoloso gli adempimenti e le condizioni per l’emissione in natura e l’immissione nel commercio di tali prodotti con la possibilità, per gli Stati membri, di adottare un regime di moratoria diretto ad inibirne la circolazione nel proprio territorio, la c.d. clausola di salvaguardia.

Ad essa è seguita una prolifera legislazione europea ispirata, sempre, al predetto principio di precauzione: un OGM o un suo prodotto derivato può essere immesso sul mercato europeo solo dopo che sia stato autorizzato sulla base di una procedura complessa, che comprende una valutazione del rischio per la salute umana e per l’ambiente.

La normativa di riferimento in campo alimentare per il settore degli organismi geneticamente modificati è rappresentata principalmente dal Regolamento CE n. 1829/2003 (c.d. Reg. Food & Feed) e dal Regolamento CE n. 1830/2003.

Il Regolamento n. 1829/2003, relativo agli alimenti e ai mangimi GM, definisce, fra l’altro, la procedura di autorizzazione per l’immissione in commercio di un OGM o di un alimento o un mangime GM, stabilisce i requisiti specifici in materia di etichettatura e fissa la soglia di tolleranza della presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di OGM.
In virtù di tale disciplina comunitaria gli alimenti e mangimi GM possono essere immessi sul mercato solo previo rilascio di un’autorizzazione da parte della Commissione europea alle condizioni ed alle eventuali restrizioni riportate nell’autorizzazione stessa.

Volendo semplificare, la domanda di autorizzazione all’immissione in commercio di un OGM va proposta alla competente autorità nazionale dello Stato membro; il dossier con le informazioni relative all’OGM è valutato dall’Autorità Europea per la sicurezza alimentare (EFSA) che invia il parere alla Commissione europea e agli Stati membri, mettendo a disposizione del pubblico il dossier per le eventuali osservazioni. Successivamente, la Commissione predispone una proposta di Decisione da sottoporre all’approvazione degli Stati membri nelle opportune sedi comunitarie.

Dal momento in cui viene emanata la Decisione di autorizzazione l’OGM e i relativi prodotti oggetto della stessa possono essere immessi sul mercato europeo, quindi, anche in Italia, alle condizioni previste nel provvedimento.

Passando alla fase della circolazione degli alimenti e dei mangimi geneticamente modificati importati dai Paesi terzi e non autorizzati per la coltivazione in Europa, la legislazione dell’Unione richiede un apposito piano di monitoraggio, il “Post Marketing Monitoring Plan”, redatto sulla base della Direttiva n. 2001/18 che, come noto, si preoccupa anche degli effetti dell’emissione deliberata degli OGM nell’ambiente nel caso della coltivazione o dell’utilizzo sperimentale su scala ridotta. In particolare, il piano deve rispondere ai criteri enunciati nell’Allegato VII alla direttiva così come integrato e ulteriormente specificato dalla Decisione n. 2002/81112 e dalle linee guida appositamente pubblicate dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare.

Il piano di monitoraggio è un documento, redatto allo stadio iniziale del procedimento, che le società biotech devono includere nel “pacchetto” indirizzato all’EFSA per inoltrare la domanda di autorizzazione di un OGM. Come si evince dalla legislazione che regola la materia, “il piano dovrebbe identificare le persone (notificante, utilizzatori) che svolgeranno i vari compiti previsti e (…)le persone responsabili per l’accertamento dell’approntamento e della corretta attuazione, (…) nonché garantire che siano previste le modalità secondo le quali il titolare dell’autorizzazione e l’autorità competente saranno informati di eventuali effetti negativi osservati sulla salute umana e sull’ambiente” (Allegato VII, punto C, n.5 Direttiva 2001/18).

Il luogo fisico in cui le attività di monitoraggio saranno materialmente svolte coincide con lo spazio di arrivo di tali materie prime in provenienza dai Paesi terzi. Il dato è rilevante sotto il profilo della responsabilità dei vari operatori coinvolti. In particolare, in base all’art. 3, punti (2) e (5) del Regolamento 178/2002, i responsabili dei porti, dei silo e degli impianti di prima trasformazione in cui il monitoraggio viene effettuato, individuati, nel nostro contesto, quali “ambiente ricevente” si identificano, rispettivamente, in “impresa alimentare” ed “impresa nel settore dei mangimi” definite giuridicamente come “ogni soggetto pubblico o privato che svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e/o ogni soggetto pubblico o privato[..] che svolge una qualsiasi delle operazioni di produzione, lavorazione, trasformazione, magazzinaggio, trasporto o distribuzione di mangimi [..]”. Perciò, i soggetti che svolgono le attività imprenditoriali in tali luoghi sono definiti, rispettivamente, «operatore del settore alimentare» e «operatore del settore dei mangimi», ovvero persone fisiche o giuridiche responsabili di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare e mangimistica posta sotto il rispettivo controllo. In altre parole, gli importers/traders, i silo operators e i processors sono i soggetti responsabili affinché le leggi, i regolamenti e le disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in generale, e la sicurezza degli alimenti in particolare, sia nella Comunità che a livello nazionale vengano rispettati e completati con norme di implementazione in ogni fase delle attività da essi poste in essere nei rispettivi ambienti di lavoro.

Ancora più nello specifico, a parte le prescrizioni del Regolamento n. 178/2002 e, in particolare, del relativo Capitolo II che stabilisce i principi della legislazione alimentare applicabili orizzontalmente a prescindere dalla tipologia di prodotto alimentare o mangimistico, gli operatori del settore devono sottostare, tra le altre, anche alle regole del Regolamento n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari e del Regolamento n. 183/2005 sull’igiene dei mangimi. Entrambi i Regolamenti prescrivono a carico degli operatori l’implementazione, la gestione ed il mantenimento di procedure basate sull’HACCP (Hazard Analysis of Critical Control Points) e, quindi, un continuo monitoraggio finalizzato – indipendentemente dalle commodities di cui trattasi – a identificare ogni pericolo che deve essere prevenuto, eliminato o ridotto a livelli accettabili.

Si assiste, dunque, ad una rigida scelta politica del legislatore europeo il quale osserva con sospetto l’applicazione delle biotecnologie in agricoltura, preferendo non attuare scelte legislative e rimettendo ogni decisione agli Stati membri, anziché muovere nella direzione di una regolamentazione unitaria attraverso cui sfruttare le potenzialità di tali tecniche, suffragate, auspicabilmente, da una proficua attività di ricerca scientifica da incentivare, possibilmente, in ogni Stato membro.

Ciò a fronte della fotografia di un mercato internazionale agro-alimentare nel quale incede, a elevata velocità, l’interesse di nuovi ponderosi compratori, quali Cina e India, caratterizzato fortemente dagli scambi anche di materie prime e alimenti finiti, prodotti da o con OGM in Stati terzi ove queste produzioni sono autorizzate.

Un bilanciamento tra diversi interessi ed esigenze sociali, ambientali ed economici difficilmente raggiungibile per una macchina in moto già da tempo, per la quale solo le scelte di ciascun componente della società civile, ispirate oggi più che mai, prioritariamente, ad un maggiore rispetto di ogni ecosistema presente sul pianeta, potranno determinare il migliore correttivo alle tecniche scientifiche sviluppate in materia.


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Avv. Valentina Buonadonna

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