Sulla legittimità della forma scritta “ad substantiam” per i contratti stipulati con l’Ente locale

Sulla legittimità della forma scritta “ad substantiam” per i contratti stipulati con l’Ente locale

Sulla legittimità dell’incarico conferito dalla giunta comunale al professionista esterno, in assenza della firma sulla convenzione da parte del Sindaco.  Nota a Cass. Civ. sez. III, 21 novembre 2023, n. 32337.

Sommario: 1. Premessa introduttiva – 2. La vicenda da cui nasce il contenzioso – 3. Il ricorso davanti il Tribunale di Cassino e la decisione del giudice di merito che accoglie le doglianze di parte ricorrente – 4. L’impugnazione da parte del Comune di Pastena e la decisione della Corte d’Appello di Roma che riforma l’esito della sentenza del giudice di primo grado – 5. I motivi di ricorso nel giudizio di legittimità davanti la Corte di Cassazione – 6. Lo sviluppo argomentativo nella decisione dei giudici di Piazza Cavour (Cass. Civ, sez. III, 21 novembre 2023, n. 32337) – 7. Riflessioni finali

1. Premessa introduttiva

In tema di contratti stipulati da un professionista con un Comune, il requisito della forma scritta ad substantiam è da intendersi rispettato nel caso in cui l’incarico da svolgere sia previsto in convenzione non sottoscritta dal Sindaco, sempre che detta convenzione disciplini i termini fondamentali del rapporto, sia stata sottoscritta dal professionista incaricato e sia stata allegata in originale quale parte integrante della delibera con la quale la giunta comunale, presieduta dal Sindaco, ha conferito l’incarico.

In tal caso, infatti, si forma un unico contestuale atto, costituito dalla proposta sottoscritta dal professionista (la convenzione) e dalla relativa accettazione (la delibera di giunta di conferimento dell’incarico).

Sulla base di tali interessanti considerazioni, la Corte di Cassazione, sez. III, attraverso un’importante decisione del 21 novembre 2023 n. 32337 (Pres. D. Sestini), si è pronunziata in tema di validità dei contratti stipulati con l’Ente locale, esprimendo un importante principio di diritto circa le modalità con cui può essere rispettata la necessaria forma scritta ad substantiam da parte della Pubblica Amministrazione. La Suprema Corte, ha ritenuto che tale requisito, possa intendersi rispettato anche nel caso in cui l’incarico da svolgere da parte del professionista esterno, sia previsto in una convenzione seppur non sottoscritta dal Sindaco, sempre che sussistano determinati presupposti.

 2. La vicenda da cui scaturisce il contenzioso

La Giunta regionale del Lazio aveva approvato un Programma integrato di Recupero del centro storico presentato proprio dal Comune di Pastena, concedendo all’Ente locale un finanziamento per “edilizia sovvenzionata” e “recupero urbano”.

Su tale presupposto, l’Ente locale aveva individuato cinque professionisti esterni, tra cui il ricorrente, e aveva all’occorrenza redatto una convenzione successivamente fatta sottoscrivere agli stessi tecnici da parte del Segretario Comunale e recepita in seguito con deliberazione della Giunta.

I professionisti avevano regolarmente adempiuto ai propri obblighi contrattuali, redigendo un progetto esecutivo successivamente approvato dalla Giunta municipale, ragion per cui richiedevano il pagamento delle parcelle secondo quanto stabilito dalla convenzione.

Dei cinque professionisti però, soltanto uno veniva pagato senza bisogno di avviare un iter processuale, mentre altri tre dei restanti erano costretti loro malgrado, a richiedere necessariamente l’emissione di un decreto ingiuntivo a tutela della spettanza dei propri onorari, giungendo per la definizione della lite, a una transazione con la controparte. Nei fatti solo il ricorrente concretamente, rimaneva privato del pagamento dei compensi regolarmente pattuiti.

 3. Il ricorso davanti il Tribunale di Cassino e la decisione del giudice di merito che accoglie le doglianze di parte ricorrente

Ritenendosi leso nei propri diritti, con ricorso incardinato davanti il Tribunale di Cassino, il ricorrente chiedeva in via principale a) l’accertamento dell’effettivo conferimento dell’incarico da parte del Comune di Pastena nei termini fissati e indicati dalla convenzione; b) l’inadempienza dell’Ente locale al pagamento di quanto pattuito a titolo di corrispettivo dalla stessa convenzione.

In subordine lo stesso ricorrente, chiedeva altresì l’accertamento dell’utilità della prestazione offerta ed eseguita, con conseguente condanna per azione di indebito arricchimento, producendo in giudizio rispettivamente la convenzione sottoscritta dal Segretario, la delibera di approvazione della medesima convenzione da parte della Giunta comunale, nonché la successiva approvazione del progetto esecutivo.

Il Comune di Pastena dal canto suo, pur essendosi costituito in via tardiva, nella propria comparsa difensiva, deduceva la nullità dell’atto di citazione, chiedendo il rigetto della domanda di controparte per indeterminatezza dell’oggetto della stessa e quindi del petitum. Occorre precisare inoltre, che lo stesso Ente locale, nulla però ha eccepito processualmente, in relazione alla presunta nullità del contratto di affidamento e conferimento dell’incarico ai professionisti esterni per difetto della forma scritta.

Il Tribunale di Cassino, disattendendo la difesa del Comune di Pastena, in via preliminare, respingeva l’eccezione di nullità della domanda per indeterminatezza dell’oggetto formulata da parte dell’amministrazione comunale e accogliendo in toto le doglianze sollevate da parte ricorrente, attraverso la sentenza n. 948/2022, riconosceva la perfetta sussistenza del rapporto professionale instaurato con l’Ente locale, condannandolo al pagamento di quanto dovuto a favore dei tecnici.

4. L’impugnazione da parte del Comune di Pastena e la decisione della Corte d’Appello di Roma che riforma l’esito della sentenza del giudice di primo grado

L’Ente locale, ritenendo non fondata la decisione del giudice di prime cure, riteneva di appellare la sentenza del Tribunale di Cassino, contestando nelle proprie censure, la nullità del contratto per difetto della prova scritta. In particolare, i motivi di appello proposti davanti alla Corte d’Appello di Roma focalizzavano le rispettive doglianze sul fatto che la convenzione del Comune di Pastena, non risultava essere stata sottoscritta dal Sindaco ma soltanto dai cinque professionisti esterni.

Inoltre per quanto concerne la presunta domanda di indebito arricchimento senza causa, il Comune di Pastena evidenziava come tale richiesta non era stata provata nei suoi elementi costitutivi da parte del resistente.

Dal canto suo la Corte di Appello di Roma attraverso la sentenza n. 2897/2020, in accoglimento delle censure sollevate da parte del Comune di Pastena, dichiarava in effetti proprio la nullità dell’accordo sostenendo l’assenza e il corrleato difetto della prova scritta richiesta ex lege ad substantiam nei rapporti intercorrenti tra l’amministrazione comunale e il professionista esterno.

Inoltre, finiva per rigettare anche la domanda di arricchimento senza causa per errori processuali non avendola il ricorrente riproposta ex art. 346 cpc.([1]).

5. I motivi di ricorso nel giudizio di legittimità davanti la Corte di Cassazione

Il professionista riteneva dunque di ricorrere avverso la decisione emessa dalla Corte d’Appello di Roma, dinnanzi alla Suprema Corte di Cassazione.  Costituitosi il Comune di Pastena, lo stesso si limitava a insistere nella declaratoria d’inammissibilità del ricorso e in ogni caso nel rigetto dello stesso.

Ciò premesso, parte ricorrente di fronte al Supremo Organo di nomofilachia articolava due censure.

Con il primo motivo, denunciava  ai sensi del comma 3 art. 360 cpc.([2]) la “violazione e falsa applicazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17([3]) e degli artt. 1418,1325,1326 e 1350 c.c. nella parte in cui la corte territoriale, dopo aver correttamente richiamato la giurisprudenza di legittimità, secondo cui “i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione debbono essere rivestiti della forma scritta ad substantiam”, e dopo aver correttamente rilevato che la convenzione da lui prodotta in giudizio, non reca la firma del Sindaco, ma soltanto la firma dei cinque tecnici, ha evidenziato che: “il ricorrente non ha dato prova della sussistenza del contratto di conferimento dell’incarico professionale attraverso la produzione del relativo testo documentale, sottoscritta anche dal sindaco del Comune”.

Sul punto, il ricorrente sosteneva che la convenzione (regolante nel dettaglio le condizioni del conferimento dell’incarico professionale e dove sono indicati i nominativi dei tecnici), era stata fatta sottoscrivere in via preventiva da tutti professionisti ed era stata in un secondo momento allegata in originale alla delibera della Giunta. Orbene, proprio attraverso la stessa delibera, secondo parte attrice, l’Ente locale non aveva semplicemente “autorizzato” ma anche espressamente “conferito” l’incarico, approvando peraltro la convenzione (già da sottoscritta dai tecnici), ed allegandola come strumento integrante se non essenziale della delibera stessa.

Sulla base di tali presupposti, parte attrice, sosteneva che nel caso di specie, si fosse realizzato un unico atto complesso, formato contestualmente dalla “proposta contrattuale” (sottoscritta dai professionisti esterni corrispondente alla convenzione) e dall’accettazione sottoscritta dalla Giunta Comunale presieduta dal Sindaco (rappresentata in questo caso dalla delibera), con piena soddisfazione dei requisiti previsti dal nostro ordinamento (ai sensi dell’art. 17 di cui all’R.D. n. 2440 del 18 novembre 1923) e come tale legittima e pienamente conforme alla ratio legis perseguita dal legislatore.

Nelle sue doglianze parte ricorrente, sottolinea inoltre come il Comune di Pastena, non aveva eccepito agli altri quattro professionisti incaricati, la nullità del contratto per omessa firma del Sindaco, rimarcando con fermezza il fatto che, tutti i professionisti esterni erano stati (seppur nelle more), regolarmente retribuiti in relazione all’incarico svolto a favore dell’Ente locale, costituendo dunque i pagamenti a loro favore, piena ed effettiva prova della sua esistenza. Inoltre, a seguire parte attrice, evidenziava che la questione concernente la nullità, in vero era stata avanzata da controparte per la prima volta soltanto nell’atto introduttivo del processo d’appello, e non nell’atto della costituzione (in ogni caso tardiva) nel giudizio di primo grado.

Con il secondo motivo di ricorso ai sensi del comma 4 art. 360 c.p.c.([4])parte attrice denunciava la nullità della sentenza d’appello per violazione degli artt. 346 e 112 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale di merito avrebbe omesso di pronunciarsi in relazione alla domanda subordinata di arricchimento senza causa (2041 c.c.) sull’erronea convinzione che essa non aveva riproposto detta domanda in appello.

Il ricorrente sosteneva che dalla lettura dell’atto di gravame proposto dal Comune nonché dalla comparsa di costituzione e risposta (da lui stesso proposta nel giudizio di appello) risultava che il Comune di Pastena, non si era limitato ad impugnare la domanda principale relativa all’adempimento contrattuale, ma aveva esteso il gravame anche alla domanda subordinata di arricchimento senza causa, evidenziandone la “nullità” e concretamente l’infondatezza nel merito per mancato adempimento probatorio (da parte dell’originario ricorrente) degli oneri di allegazione.  Inoltre parte attrice, sottolineava che dalla cronistoria processuale, era facilmente evincibile che la stessa si era attivata per difendersi su tale thema decidendum introdotto dal Comune di Pastena, replicando punto per punto a controparte e chiedendo nelle articolate conclusioni, la “conferma della domanda attorea” avanzata in primo grado.

Come logica conseguenza il ricorrente nelle sue censure, spostava l’attenzione sul fatto che fosse palese la propria volontà di ottenere dal giudice di secondo grado, una decisione anche in relazione alla domanda subordinata. Pertanto i giudici della Corte d’Appello di Roma, non potevano sottrarsi all’obbligo di pronunciarsi sulla domanda di arricchimento senza causa, essendo esplicita la richiesta sia da parte dell’appellante (in senso negativo), sia da parte dell’appellato (in senso positivo). Deduceva a tal proposito che la Corte territoriale, avendo omesso di pronunciarsi sulla domanda subordinata di arricchimento, era incorsa dunque nel vizio denunciato.

6. Lo sviluppo argomentativo nella decisione dei giudici di Piazza Cavour (Cass. civ, sez. III, 21 novembre 2023, n. 32337)

Per i giudici della Cassazione, il primo motivo di ricorso sollevato dal ricorrente è da ritenersi perfettamente fondato.

I giudici ermellini infatti, richiamando precedente giurisprudenza di legittimità che si è espressa sul punto, affermano che è assai consolidato il principio secondo il quale i contratti conclusi dalla P.A. richiedono la forma scritta ad substantiam e devono essere consacrati in un unico documento, ciò che esclude il loro perfezionamento attraverso lo scambio di proposta e accettazione tra assenti (salva l’ipotesi eccezionale prevista ex lege di contratti conclusi con ditte commerciali), mentre tale requisito di forma deve ritenersi soddisfatto nel caso di cd. elaborazione comune del testo contrattuale, e cioè mediante la sottoscrizione, sebbene non contemporanea, ma avvenuta in tempi e luoghi diversi, di un unico documento contrattuale il cui contenuto sia stato concordato dalle parti (Cass civ. n. 7478/2020, n. 25631/2017 e n. 12540/2016)”.

Aggiunge il Supremo organo di nomofilachia che la stessa Corte di Cassazione attraverso importanti decisioni sul punto (Cass. n. 14570/2004, Cass. n. 17695 e n. 7962/2003 e n. 2619/2000), ha già avuto modo di sottolineare in passato, che proprio per quanto concerne il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte una Pubblica Amministrazione (anche ove la stessa agisca non attraverso atti d’imperio ma iure privatorum) è richiesta, in ottemperanza al disposto normativo del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17, così come del resto per ogni altra tipologia contrattuale stipulata dalla stessa Pubblica Amministrazione, “la forma scritta ad substantiam, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, ed e’, quindi, espressione dei principi d’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione posti dall’art. 97 Cost.”.  Motivo per cui il contratto deve concretizzarsi “nella redazione a pena di nullità, di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’Ente interessato nei confronti dei terzidal quale possa ricavarsi “la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere”.

Pertanto per i giudici della Cassazione, si ricava che in assenza di tale documento contrattuale, per far sì che possa ritenersi giuridicamente valida la conclusione del contratto, non assume importanza l’esistenza di una delibera attraverso la quale l’organo collegiale dell’amministrazione comunale, abbia conferito un incarico ad un professionista esterno o ne abbia autorizzato il conferimento dal momento che “detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all’Ente che, almeno ai fini che ne occupano, ha solo natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato ad esprimere la volontà all’esterno”.

Ebbene, per i giudici della Cassazione, la Corte di Appello di Roma non ha fatto corretta applicazione dei principi espressi.

Nel caso di specie, i giudici di merito, avrebbero dovuto rilevare che in effetti la convenzione stabilita dal Comune di Pastena, era stata predisposta correttamente e che inoltre la stessa, era stata sottoscritta da tutti i professionisti esterni nonchè successivamente approvata (e allegata), alla delibera della Giunta Comunale, presieduta proprio dal Sindaco.

La Corte di legittimità, sottolinea che la procedura di conclusione del contratto da parte dell’Ente locale, assolutamente corretta e legittima, è riuscita a garantire e rispettare, in perfetta sintonia con lo spirito e la ratio della norma di riferimento, il “regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia dei professionisti che della collettività”, senza peraltro porre un freno “all’espletamento della funzione di controllo”. Anzi la stessa procedura è riuscita “a perseguire i principi d’imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazionenonchè “la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere ed al compenso da corrispondere“.

E a conferma di ciò, non vi è stata da parte dell’amministrazione comunale la necessità di adottare nuovamente ulteriori delibere o di concludere in aggiunta altri contratti.

In definitiva per la Cassazione, dando seguito alle premesse richiamate e alla giurisprudenza esistente sul punto, è doveroso affermare che “in tema di contratti stipulati da un professionista con un Comune, il requisito della forma scritta ad substantiam è da intendersi rispettato nel caso in cui l’incarico da svolgere sia previsto in convenzione non sottoscritta dal Sindaco, sempre che detta convenzione disciplini i termini fondamentali del rapporto, sia stata sottoscritta dal professionista incaricato e sia stata allegata in originale quale parte integrante della delibera con la quale la giunta comunale, presieduta dal Sindaco, ha conferito l’incarico”. In tal caso, continuano ancora i giudici ermellini, si forma infatti “un unico contestuale atto, costituito dalla proposta sottoscritta dal professionista (la convenzione, per l’appunto) e dalla relativa accettazione (la delibera di giunta, di conferimento dell’incarico)”.

Per le ragioni che precedono la Corte di Cassazione accoglie dunque il ricorso nei termini di cui in motivazione.

7. Riflessioni finali

La decisione adottata dagli Ermellini lascia in eredità importanti spunti di riflessione anche di carattere pratico, in ordine alle limitazioni che per legge vincolano l’operato dei pubblici poteri.

La prima riflessione che può ricavarsi è che gli enti pubblici infatti, secondo un consolidato orientamento (peraltro condiviso ampiamente dalla giurisprudenza civile e amministrativa),  devono prioritariamente favorire nonché agevolare in nome della tutela del bene pubblico e della trasparenza, l’espletamento della funzione di controllo, la quale, si traduce in una concreta espressione dei principi d’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione richiamati dall’art. 97 della Costituzione.

Logica conseguenza di tale premessa, è che piuttosto netta, appare la rilevanza dei tratti essenziali e distintivi tra il modus operandi che contraddistingue l’attività delle amministrazioni pubbliche e la libertà d’azione in cui si muove il soggetto privato.  Ai fini della nostra trattazione e per quel che interessa, la differenza è costituita dalla deroga al principio civilistico della libertà delle forme contrattuali.

Se il privato infatti, agisce in un regime c.d. di autoresponsabilità, la Pubblica Amministrazione invero, utilizza invece il denaro pubblico e come tale, inevitabilmente, soggiace ex lege all’obbligo di rendicontazione: in virtù di ciò quest’ultima, è regolarmente tenuta a estrinsecare in un qualsiasi documento scritto le decisioni prese accompagnate dagli impegni economico-contabili. Inoltre, sotto altra prospettiva, l’utilizzo della forma scritta([5]) ad substantiam, può anche risultare utile, nelle ipotesi di future controversie con la controparte, se non altro, per la fondamentale individuazione di quelli che sono definiti come centri di responsabilità: questo perchè nel settore pubblico più di ogni altro, è doveroso sapere in via preventiva, quale soggetto abbia effettivamente generato quel tipo di spesa.

Nella vicenda in esame i giudici della Corte di Cassazione, hanno dunque ritenuto che la procedura adottata dal Comune di Pastena ha effettivamente garantito il “regolare svolgimento dell’attività amministrativa da parte dell’Ente locale nell’interesse della collettività, ma anche a beneficio dei professionisti esterni, determinando conseguentemente la “concreta instaurazione del rapporto con la controparte” con le conseguenti necessarie determinazioni, in ordine alla prestazione da rendere ed al dovuto compenso da corrispondere.

 

 

 

 

 

***

([1])Occorre ricordare sul punto che l’articolo 346 del cpc dispone che: “Le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate”.
([2])Il punto 3 del comma 1 dell’articolo 360 cpc afferma che “Le sentenze pronunziate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto”.
([3])Il ricorrente fa riferimento al Regio Decreto 18 novembre 1923, n. 2440 recante “Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato”. Tale decreto al comma 1 dell’articolo 16 così dispone: “I contratti sono stipulati da un pubblico ufficiale delegato a rappresentare l’amministrazione e ricevuti da un funzionario designato quale ufficiale rogante, con le norme stabilite dal regolamento”. Il successivo comma 3 afferma che “I contratti ed i verbali anzidetti hanno forza di titolo autentico”.  Dal canto suo il successivo art. 17 al comma 1 dispone che: “I contratti a trattativa privata, oltre che in forma pubblica amministrativa nel modo indicato al precedente articolo 16, possono anche stipularsi: per mezzo di scrittura privata firmata dall’offerente e dal funzionario rappresentante l’amministrazione”.
([4])Il punto 4 del comma 1 dell’articolo 360 cpc afferma che “Le sentenze pronunziate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione per nullità della sentenza o del procedimento”.
([5])Nel settore degli appalti, tale principio è stato concretamente recepito dal nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D. lgs. n. 36/2023) il quale al comma 1 dell’articolo 18 così dispone: “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, in forma scritta ai sensi dell’allegato I.1, articolo 3, comma 1, lettera b), in modalità elettronica nel rispetto delle pertinenti disposizioni del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, in forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficiale rogante della stazione appaltante, con atto pubblico notarile informatico oppure mediante scrittura privata”. L’ANAC già in precedenza, attraverso la delibera n. 119/2023 aveva statuito che “per i contratti della pubblica amministrazione vi è l’obbligo della forma scritta ad substantiam. In ragione di ciò, la pubblica amministrazione non può assumere impegni o concludere contratti se non in forma scritta, né può darsi rilievo al rinnovo tacito dei contratti”.

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