Indebita destinazione e abuso d’ufficio: rapporti e successione
Abstract. La recente introduzione dell’art. 314 bis c.p. rubricato “Indebita destinazione di denaro o cose mobili”, con conseguente abrogazione dell’art. 323 c.p. che disciplinava il reato di abuso di ufficio, ha suscitato un dibattito in ordine alla sussistenza di un rapporto di continuità, id est successione, o discontinuità fra le due norme. Il presente contributo si propone di affrontare il tema, muovendo da uno degli ultimi arresti della Suprema Corte di Cassazione.
Massima. In materia di reati contro la pubblica amministrazione, il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili, di cui all’art. 314-bis c.p., come introdotto dall’art. 9, comma 1, d.l. 4 luglio 2024, n. 92, conv., con modificazioni, dalla l. 8 agosto 2024, n. 112, è configurabile in presenza di condotte distrattive che, pur non determinando la perdita definitiva dei beni per la pubblica amministrazione, integrano una deviazione rispetto alla loro destinazione vincolata; tali condotte, nella previgente disciplina, erano ricondotte all’abrogata fattispecie di abuso d’ufficio (Cassazione penale sez. I, 16/05/2025, n.19806).
Sommario: 1. Confronto sistematico fra il nuovo reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili e l’abrogato reato di abuso di ufficio – 2. La posizione della assunta da recente giurisprudenza – 3. Brevi riflessioni conclusive
1. Confronto sistematico fra il nuovo reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili e l’abrogato reato di abuso di ufficio
L’abrogazione del reato di abuso di ufficio, attuata con legge 9 agosto 2024, n. 114, si iscrive in un generale disegno di rivalorizzazione del dipendente pubblico e delle sue competenze che trae le mosse già a partire dal 2020 con la modifica del comma 1 dell’art 323 c.p. ad opera D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120.
Mediante tale intervento l’ambito oggettivo di applicabilità dell’art. 323 c.p., veniva limitato alle sole condotte in violazione di norme di legge a carattere vincolato, rispetto alle quali cioè, non residuasse alcun margine di discrezionalità del pubblico ufficiale. In altri termini, per affrontare con più incisività la crisi pandemica, nel 2020, il legislatore escludeva automaticamente che condotte caratterizzate da più o meno ampi margini di discrezionalità, potessero essere incriminate a titolo di abuso d’ufficio. La misura si proponeva peraltro di affrontare il fenomeno della burocrazia difensiva che male si attagliava all’esigenza di assumere decisioni effettive e d’urgenza nel contesto emergenziale dell’epoca.
Nel 2024 il legislatore, probabilmente non ritenendo soddisfacenti i risultati della mini-riforma del 2020, è drasticamente intervenuto abrogando la fattispecie di abuso d’ufficio. L’idea che fosse necessario riconoscere definitivamente l’autonomia del pubblico ufficiale e valorizzarla in un’ottica di collaborazione con il privato e di implementazione dell’efficienza complessiva della pubblica amministrazione, del resto, è confermata dallo stesso codice dei contratti pubblici, ove trova espressamente attuazione sotto il c.d. principio di reciproca fiducia. La stessa idea si sposa con una nuova esigenza, susseguente alla crisi pandemica, quella di ricostruzione del Paese in attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Come sovente accade all’atto di abrogazione di un reato, anche nel caso dell’abuso di ufficio, sono sorte discussioni in merito alla qualificazione delle condotte che prima venivano sussunte alla fattispecie di cui all’art. 323 c.p.
Quando viene abrogata una norma che puniva una certa condotta delittuosa, gli autori del reato oggetto di abrogazione non solo non possono essere più puniti ma, ove vi siano state inflitte delle condanne definitive per quegli stessi fatti, ne cessano gli effetti e l’esecuzione, come previsto dall’art. 2, comma 2, c.p.. La questione, tuttavia, si complica quando alla abrogazione di quella norma, sopravvengano nuove leggi che disciplinano fattispecie che potrebbero essere applicate a quelle condotte prima punite dalla norma abrogata. In tal caso, potrebbe configurarsi una successione di leggi che va accertata verificando se fra la fattispecie abrogata e quella successiva sussista un rapporto di genere a specie, vale a dire di continenza. In caso contrario, i giudici riconosceranno una forma di eterogeneità normativa e i fatti commessi sotto la vigenza del reato abrogato dovranno essere considerati leciti, con le conseguenze di cui si è detto1.
Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione si concentra proprio sugli effetti scaturiti dalla abrogazione del reato di abuso d’ufficio di cui pertanto è necessario ripercorrere in breve i tratti essenziali.
Dal punto di vista oggettivo, il reato di abuso di ufficio tutelava il bene giuridico del buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 cost.
In quanto collocato sotto il Libro II , titolo II, Capo I – dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione – l’abuso di ufficio si connotava per essere un reato proprio, suscettivo di essere contestato soltanto ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio.
Presupposti di configurabilità della condotta risultavano essere la violazione di specifiche norme di legge a carattere vincolato, ovvero l’omissione dall’astensione a compiere un certo atto, in caso di conflitto di interesse. In entrambe le ipotesi, la condotta avrebbe dovuto essere posta in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio nell’esercizio di funzioni o di un servizio. Ciò significa che la violazione di norme ovvero l’omissione dall’astensione a compiere un certo atto in conflitto d’interesse, dovevano essere in qualche modo funzionali alle attività di ufficio del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.
Dalla condotta contra legem, doveva discendere poi almeno uno dei due effetti previsti dall’art. 323 c.p. consistenti in un ingiusto vantaggio patrimoniale per il soggetto attivo ovvero in un danno ingiusto per la vittima. È significativo come la struttura di questo tipico reato di evento alternasse l’ingiusto vantaggio di natura esclusivamente patrimoniale del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, al vantaggio ingiusto tout court, cioè anche di tipo non patrimoniale arrecabile alla vittima. Ciò al fine di, ancora una volta, di limitare l’ambito di applicabilità della fattispecie al soggetto attivo e al contempo offrire un’ampia tutela alla vittima.
Infine, dal punto di vista soggettivo, il reato di abuso di ufficio richiedeva il dolo intenzionale. Non solo, dunque, la mera coscienza e volontà della condotta ma anche l’intenzione di far discendere dalla stessa o l’evento di vantaggio patrimoniale per il pubblico ufficiale o quello di danno ingiusto al privato2.
Alcuni dei citati elementi che caratterizzavano il reato di abuso d’ufficio, possono riscontrarsi anche nella nuova fattispecie di indebita destinazione di denaro o cose mobili di cui all’art. 314 bis c.p. La ragione di questa affinità va ricercata tanto in dati storici che nel dovere dello Stato di attuare la normativa eurounionale in tema di lotta alle frodi che ledono gli interessi dell’Unione Europea.
Fino agli anni ’90, un altro reato, quello di peculato, puniva tutte le condotte poste in essere da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che si fossero appropriati o avessero distratto da destinazione d’uso tipica, denaro o altri beni mobili appartenenti alla pubblica amministrazione. Nel ’90 la fattispecie di peculato venne riformata espungendo dalla condotta tipica, quella di distrazione d’uso la quale tuttavia continuò, per consolidata giurisprudenza3, ad essere punita a titolo di abuso d’ufficio.
Con l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio nel 2024, la condotta di peculato per distrazione non avrebbe più potuto essere punita ma questa eventualità avrebbe posto l’Italia nella condizione di essere soggetta ad una procedura di infrazione per violazione della direttiva Direttiva UE 2017/1371 del 5 luglio 2017, in tema di lotta alle frodi che ledono gli interessi dell’Unione Europea.
Infatti, l’art. 4 della citata direttiva, pone in capo agli Stati membri un obbligo di reprimere l’azione di funzionari pubblici che, fra l’altro, utilizzino fondi o beni per uno scopo in ogni modo diverso da quello per essi previsto, tale da ledere gli interessi finanziari dell’Unione.
Di qui, l’introduzione di una nuova fattispecie, quella di cui all’art. 314 bis c.p. che, a differenza del vecchio reato di abuso di ufficio, non tutela solo il bene giuridico del buon andamento della pubblica amministrazione ma anche quello della integrità del patrimonio pubblico.
Sotto il profilo oggettivo, il reato si configura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, destinino l’oggetto materiale dello stesso, vale a dire il denaro o altra cosa mobile altrui, ad un uso diverso da quello previsto da disposizioni di legge a carattere vincolato. Il presupposto di configurabilità di tale condotta è dato dal possesso o dalla disponibilità dell’oggetto materiale di reato per ragione di ufficio o di servizio del pubblico ufficiale.
Anche nel caso del reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili, dalla condotta del soggetto agente deve scaturire almeno uno dei due eventi ingiusti previsti dalla norma.
È necessario, cioè, che sia provato che la condotta del soggetto agente abbia procurato al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, un ingiusto vantaggio patrimoniale o un danno ingiusto ad altri, ed in questa ultima ipotesi, il danno non deve essere necessariamente patrimoniale.
Sotto il profilo soggettivo, il reato di cui all’art. 314 bis c.p. richiede il dolo intenzionale proprio come il vecchio reato di abuso di ufficio nei termini di cui si è detto.
Pertanto, da un confronto sistematico delle fattispecie di indebita destinazione di denaro o cose mobili e di abuso d’ufficio è chiaro che gli elementi in comune, di cui si faceva cenno più sopra, possono individuarsi nel: 1) soggetto attivo; 2) violazione di norme di legge da cui non residuano margini di discrezionalità; 3) evento di ingiusto vantaggio patrimoniale o di danno ingiusto; 4) dolo intenzionale.
Si tratta in entrambi i casi di reati propri per la cui configurabilità è necessario che dalla condotta tipica, consistente nella violazione di norme a carattere vincolato, scaturisca un evento ingiusto di vantaggio patrimoniale in favore del soggetto agente ovvero di danno ingiusto a detrimento del cittadino o della pubblica amministrazione. Tale evento deve orientare intenzionalmente l’azione delittuosa del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.
2. La posizione della assunta da recente giurisprudenza
Fra la nuova fattispecie di indebita destinazione di denaro o cose mobili e quella abrogata di abuso di ufficio, esiste un rapporto di successione o di eterogeneità normativa?
È questo il quesito al quale ha dato responso la Suprema Corte di Cassazione in un recentissimo arresto che ha tratto le mosse da una istanza di revoca di una sentenza di condanna per abuso di ufficio di alcuni soggetti, emessa della Corte di appello di Bologna e passata in giudicato a maggio del 2022. Il giudice dell’esecuzione ha respinto l’istanza, sostenendo che la condotta di abuso di ufficio accertata in capo ai condannati, in seguito all’abrogazione dell’omonimo reato, non fosse divenuta lecita ma fosse riconducibile al nuovo reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili.
Al contrario, secondo la difesa che ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione del giudice dell’esecuzione, fra il reato di cui al nuovo art. 314 bis c.p. e l’abrogato reato di cui all’art. 323 c.p. sarebbe stata riscontrabile una forma di eterogeneità normativa, non potendosi ravvisare fra le stesse fattispecie un rapporto di genere a specie.
La stessa difesa ha rivendicato, inoltre, che in ogni caso, avrebbe dovuto escludersi la possibilità di qualificare ex art. 314 bis c.p. la condotta di uno dei soggetti rappresentati, in quanto costui si sarebbe limitato ad esercitare le funzioni di RUP, senza prender parte ad operazioni di pagamento o gestione in concreto di denaro pubblico.
La Cassazione ha condiviso la posizione assunta dal giudice dell’esecuzione.
Richiamandosi alla giurisprudenza maggioritaria che all’indomani della riforma del reato di peculato, aveva ritenuto che la condotta di peculato per distrazione potesse sussunta alla fattispecie di abuso di ufficio, la Corte ribadisce la rilevanza penale della condotta di peculato per distrazione, già a partire dagli anni ’90.
Venendo alla disamina dell’attuale contesto normativo in cui il reato di abuso di ufficio è stato abrogato, la Corte si sofferma sul confronto fra la fattispecie di cui all’art. 314 bis c.p. e quella di cui all’art. 323 c.p., evocando elementi di comunanza fra le stesse, nei termini di cui si è detto sopra.
Conclude, quindi, riconoscendo come la differenza fra le due fattispecie risieda proprio nell’ambito di applicabilità, in quanto, mentre il reato di abuso di ufficio si configurava allorquando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio avessero genericamente “abusato delle proprie funzioni in violazione di norme di legge”; quello di indebita destinazione di denaro o cose mobili, punisce la specifica condotta del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che nell’esercizio delle proprie funzioni, distrae denaro o beni da una specifica destinazione d’uso.
Ne deriva che fra le due fattispecie non sussiste un rapporto di eterogeneità normativa, come sostenuto dalla difesa, ma al contrario un rapporto di specialità dovuto al fatto che la condotta disciplinata dall’attuale art. 314 bis c.p. è senz’altro riconducibile sotto l’alveo della condotta a forma libera di cui all’abrogato art. 323c.p..
Questo rapporto di specialità, consente ai giudici della Suprema Corte di Cassazione di sostenere che fra l’art. 323 c.p. e l’art. 314 bis c.p. sia ravvisabile “un fenomeno di parziale successione di norme” per cui la condotta di peculato per distrazione che prima veniva punita a titolo di abuso d’ufficio, oggi, è sussumibile al reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili.
Con riferimento, infine, alla contestazione della difesa per cui per la condotta del condannato che svolgeva funzioni di RUP, non sarebbe stata riqualificabile ai sensi del art. 314 bis c.p., poiché egli non era coinvolto in processi di pagamento o di gestione di denaro pubblico, la Corte rinvia alla giurisprudenza in tema di possesso penalistico.
A tal proposito, rileva che essendo l’art. 314 bis c.p. accomunato con il reato di peculato dal presupposto del possesso e della disponibilità di denaro o altri beni in capo al pubblico ufficiale, gli arresti validi per il peculato possono estendersi anche alla indebita destinazione di denaro o cose mobili.
Non è dunque necessario che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbiano instaurato con il bene o i beni oggetto materiale di reato un rapporto di diretta disponibilità ma è sufficiente che sussista una “disponibilità giuridica”. Questa consiste nella possibilità per il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio di avvalersi del denaro o dei beni mobili in virtù delle funzioni svolte4. Da ciò discende che anche il RUP può essere incriminato per il reato di cui all’art. 314 bis c.p. essendo senz’altro legittimato ad entrare nella disponibilità giuridica di denaro o beni appartenenti all’amministrazione per la quale presta servizio e, acquisita tale disponibilità giuridica, a distrarre lo stesso denaro o gli stessi beni dalla destinazione d’uso originariamente attribuita.
3. Brevi riflessioni conclusive
Le riforme, soprattutto quelle in materia penale, rappresentano il riflesso dei cambiamenti di costume, di pensiero e di morale di una società.
Si è visto come, già nel 2020, per contenere l’ambito di responsabilità penale dei pubblici ufficiali, contravvenire il fenomeno della burocrazia difensiva e rendere più efficace l’azione amministrativa, l’ambito oggettivo di applicabilità dell’art. 323 c.p. veniva fortemente limitato.
La recente riforma che ha portato alla abrogazione del reato di abuso di ufficio, al quale dagli anni ’90 era stata sussunta la condotta di peculato per distrazione, si pone in linea di continuità con il passato, pur rivelandosi molto più netta. Dopo anni di campagne denigratorie dei dipendenti, pubblici che certo non hanno favorito i rapporti fra pubblica amministrazione e privati, con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si è aperta una stagione nuova, all’insegna di rapporti di costruttiva collaborazione fra privati e pubblici ufficiali. La riforma del reato di abuso di ufficio, si iscrive proprio in questo contesto, traendo spunto dall’idea di rivalorizzare l’autonomia e l’iniziativa dei funzionari pubblici in un’ottica di miglioramento complessivo dell’efficienza delle pubbliche amministrazioni.
Tuttavia, il venir meno del reato di abuso d’ufficio ha comportato un vuoto normativo nella perseguibilità della condotta di peculato per distrazione, fattispecie che gli Stati membri hanno l’obbligo di reprimere, secondo la direttiva Direttiva UE 2017/1371 del 5 luglio 2017.
Di qui la decisione di introdurre il reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili che del vecchio reato a forma libera di abuso di ufficio costituisce ipotesi speciale, integrando una “parziale successione di norme”.
In particolare, ai sensi dell’art. 314 bis c.p, il pubblico ufficiale abusa delle proprie funzioni, quando destina ad uso diverso da quello di legge, denaro o cose mobili altrui di cui è nel possesso o nella disponibilità per ragioni di ufficio o di servizio. Tale fattispecie si configura anche nel caso in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio non siano deputati a svolgere operazioni materiali di pagamento o di gestione di beni pubblici ma abbiano una disponibilità giuridica del denaro o dei beni dell’amministrazione, in ragione delle funzioni che sono chiamati ad esercitare. In tal caso, il reato si consuma quando quei beni vengano anche semplicemente destinati ad uso diverso da quello loro impresso e da questa condotta discenda almeno uno degli eventi di danno ingiusto previsti dalla norma.
In definitiva, l’introduzione della fattispecie di indebita destinazione di denaro o cose mobili ha consentito al legislatore di mantener fede alla idea di rivalorizzazione dei pubblici dipendenti, senza venir meno agli impegni assunti a livello eurounionale.
1 FIANDACA G., MUSCO E., “Diritto penale. Parte generale”, VIII Edizione, Zanichelli Editore, Bologna, 2019.
2 FIANDACA G., MUSCO E., “Diritto penale. Parte speciale”, VI Edizione, Vol. 1., Zanichelli Editore, Bologna, 2021.
3 Cass. Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024, dep. 2025, Felicita. Conforme, Cass. Sez. 5, n. 10398 del 14/02/2025.
4 Cass., sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi. Conformi, Cass. sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012, Bartolotta. Cass. sez. 6, n. 11633
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Anna Di Venere
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