La disciplina del socio moroso nelle s.r.l. in seguito all’aumento del capitale sociale

La disciplina del socio moroso nelle s.r.l. in seguito all’aumento del capitale sociale

Si definisce moroso il socio che non esegue il pagamento dei centesimi dovuti in seguito alla sottoscrizione dell’atto costitutivo ovvero in seguito alla sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale.

La disciplina sulla morosità trova applicazione, quindi, non solo in caso di debito derivante dal mancato conferimento iniziale ma anche laddove il debito sia relativo alla mancata sottoscrizione di un aumento di capitale, trattandosi di disposizione che mira a preservare l’effettività del capitale sociale.

Ciò premesso, la disciplina del socio moroso è differente nell’ambito delle società di capitali.

Il socio moroso nelle società per azioni. In particolare, nelle società per azioni, ai sensi dell’art 2344, 1 comma c.c., se il socio non esegue i pagamenti dovuti decorsi quindici giorni dalla pubblicazione di una diffida nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, gli amministratori, se non ritengono utile promuovere azione per l’esecuzione del conferimento, offrono le azioni agli altri soci, in proporzione alla loro partecipazione, per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti. In mancanza di offerte possono far vendere, dalla banca o da un intermediario autorizzato, le azioni a rischio e per conto del socio e qualora la vendita non possa aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo le somme riscosse, salvo il risarcimento dei maggiori danni.  In seguito alla decadenza il socio perderà lo status socii e i relativi diritti amministrativi e patrimoniali.

Il legislatore, inoltre, nel terzo comma della medesima norma, precisa che le azioni del socio escluso, ove possibile devono essere rimesse in circolazione. Laddove, infatti, le azioni rimangano invendute, qualora non possano essere rimesse in circolazione entro l’esercizio in cui fu pronunziata la decadenza del socio moroso, devono essere estinte con la corrispondente riduzione del capitale.

È d’uopo precisare, infine, che, ai sensi dell’art 2344, 4 comma c.c., il socio moroso non può esercitare il diritto di voto. Sul punto, la dottrina prevalente, partendo dal presupposto che le azioni del socio moroso sono solo occasionalmente prive di voto, attribuisce al socio in mora il diritto di intervento nei limiti delle azioni rimaste scoperte, ai sensi del combinato disposto degli art 2370, 1 comma c.c. e 2368, 3 comma c.c., ed il conseguente diritto ad impugnare le delibere.

Il socio moroso nelle società a responsabilità limitata. La disciplina del socio moroso nell’ambito delle società a responsabilità limitata diverge da quella sopra esposta.

Ai sensi dell’art. 2466 c.c., se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano lo stesso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni. Decorso inutilmente questo termine gli amministratori, qualora non ritengano utile promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere agli altri soci in proporzione alla loro partecipazione la quota del socio moroso. La vendita è effettuata a rischio e pericolo del medesimo per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato. In mancanza di offerte per l’acquisto, se l’atto costitutivo lo consente, la quota è venduta all’incanto.

Se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse ed il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente.

Anche nell’ambito delle società a responsabilità limitata, il legislatore prevede che il socio moroso non possa partecipare alle decisioni dei soci. Mentre nelle s.p.a il socio non ha diritto di voto ma gli spetta il diritto di intervento, nelle s.r.l. sono prospettabili due opzioni interpretative circa la espressione usata dal legislatore: se “partecipare alle decisioni” si intende come partecipazione alla assemblea, il socio moroso non può votare e intervenire; se si ritiene che il legislatore abbia utilizzato il termine in luogo di “esercitare il diritto di voto”, al pari che nelle s.p.a., il socio moroso non potrà esercitare il diritto di voto ma allo stesso spetterebbe il diritto di intervento.

Sul punto si è espressa la giurisdizione di legittimità la quale ha sostenuto (nella sentenza n. 1185/2020) che il socio moroso, pur non essendo ammesso a partecipare alle decisioni o deliberazioni assembleari esprimendo il proprio voto, non perde il diritto al controllo sugli affari sociali, sino a che resti parte della compagine societaria. La “sospensione” riguarda solo l’esercizio del diritto di voto e rappresenta solo una misura sanzionatoria e sollecitatoria dell’adempimento. Pertanto, il socio moroso avrà il diritto di esercitare i diritti amministrativi quali quello di informazione e di ispezione previsto dall’art. 2476, 2 comma c.c.

Nella sentenza sopra citata, la Corte di Cassazione enuncia, in materia di morosità, il principio di diritto per cui il socio di una s.r.l., che risulti moroso nel versamento dovuto a seguito della sottoscrizione di un aumento di capitale, non può essere escluso dalla società.

Nel caso di specie, un socio di s.r.l., dopo aver sottoscritto interamente l’aumento di capitale deliberato dalla società, versava l’importo corrispondente al 25% della quota sottoscritta, divenendo inadempiente per la parte rimanente. L’amministratore, accertato l’inadempimento, deliberava l’esclusione del socio e la società provvedeva alla riduzione del capitale sociale, ai sensi dell’art. 2466, comma 3 c.c.

Il socio conveniva in giudizio la s.r.l. chiedendo la restituzione della somma già versata e il risarcimento del danno derivante dal rifiuto, frapposto dalla società, all’esercizio del diritto di ispezione dei documenti sociali spettante al socio. La corte territoriale aveva rigettato la domanda attorea sostenendo la legittimità dell’esclusione del socio in toto, pur in presenza di una mora parziale, per l’espressa previsione della società di trattenere le somme già riscosse dal socio moroso.

Sul punto è intervenuta la giurisprudenza di legittimità la quale ha sostenuto che il meccanismo previsto dall’art. 2466 c.c. non si applica nel caso di mora del socio nell’esecuzione dei versamenti, dovuti a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea. Pertanto, il socio non potrà essere escluso in quanto titolare della partecipazione sin dalla costituzione della società e la riduzione del capitale sociale può essere deliberata soltanto per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall’aumento non onorato, salvo il caso in cui lo statuto preveda la indivisibilità della quota. Il presupposto affinché il socio non venga escluso, infatti, è che la quota di partecipazione nella società a responsabilità limitata sia divisibile.

La divisibilità si desume, secondo la giurisprudenza, dalla norma in esame laddove prevede che la quota del socio moroso possa essere venduta agli altri soci “in proporzione della loro partecipazione”, in ragione della pacifica alienabilità parziale della quota sociale.

Quanto alla natura giuridica della riduzione del capitale sociale de quo, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che costituisce una riduzione in parte nominale, con riguardo alla quota non liberata, e in parte reale, con riguardo al versamento parziale operato dal socio.

In conclusione, il socio moroso non potrà essere escluso e la corrispondente riduzione del capitale riguarderà solo la parte relativa alla sottoscrizione operata con riferimento all’aumento de quo.


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