Telecomunicazioni e infrastrutture nell’era dell’interconnessione. La controversia tra canone fisso e canone libero

Telecomunicazioni e infrastrutture nell’era dell’interconnessione. La controversia tra canone fisso e canone libero

Sommario: 1. Premessa – 2. Il rapporto tra enti locali e operatori di telecomunicazioni – 3. La regolamentazione dei canoni e l’utilizzo del suolo pubblico – 4. Ma cosa si intende per demanio pubblico? – 5. Il bilanciamento tra potestà regolatoria pubblica e libertà d’impresa – 6. Il ruolo dell’AGCOM nella regolazione delle telecomunicazioni

1. Premessa

Ai giorni d’oggi lo sviluppo delle telecomunicazioni, come la rete 5G, fibra ottica e Internet veloce, si basa sull’installazione di infrastrutture fisiche come antenne e ripetitori, spesso posizionati su terreni pubblici o privati. Quando queste infrastrutture sono collocate su beni di proprietà degli enti locali, come i Comuni, nascono spesso controversie sul quantum che le aziende devono predisporre nei confronti dell’ente locale per l’utilizzo di questi spazi. La questione attinente alla legittimità e alla compatibilità del canone patrimoniale unico con le esigenze di sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione nasce da un equilibrio difficile da raggiungere tra due istanze fondamentali: da un lato, la necessità, sempre più impellente, di assicurare una copertura digitale capillare ed efficiente sull’intero territorio nazionale; dall’altro, la tutela delle prerogative degli enti territoriali, custodi del patrimonio pubblico e promotori dell’autonomia locale.

2. Il rapporto tra enti locali e operatori di telecomunicazioni

Negli ultimi anni si è assistito a una crescente contrapposizione tra gli interessi degli enti locali e quelli delle società di telecomunicazioni. Tali società sono costantemente alla ricerca di impianti, quali antenne e ripetitori, per la diffusione delle reti mobili. Il rapporto tra infrastrutture di telecomunicazione ed enti territoriali, con particolare riguardo a province e comuni, si configura come un’interazione complessa e multidimensionale, nella quale si intrecciano competenze normative, esigenze di sviluppo tecnologico e tutela degli interessi pubblici e del territorio.

Ciò si verifica in quanto gli operatori di telefonia, nonché delle reti dati, al fine di garantire il funzionamento ottimale delle reti wireless agli utenti connessi, devono avvalersi di spazi fisici idonei all’installazione di infrastrutture e apparecchiature di telecomunicazione, incluse le antenne necessarie alla trasmissione del segnale. Tale esigenza deriva dalla necessità di assicurare una copertura capillare del servizio sul territorio, mediante l’occupazione di suolo pubblico o privato, da regolamentarsi attraverso specifici accordi o autorizzazioni amministrative. L’installazione di tali strutture richiede, pertanto, un bilanciamento tra gli interessi imprenditoriali e il rispetto delle normative urbanistiche e ambientali, nonché la salvaguardia dei diritti degli enti territoriali preposti alla gestione del patrimonio pubblico. Tale relazione è disciplinata da un quadro normativo articolato, volto a garantire il corretto equilibrio tra le parti. Il ruolo degli enti territoriali si rivela fondamentale nei processi di autorizzazione, regolamentazione e monitoraggio delle infrastrutture, nonché nella determinazione dei canoni e delle modalità di utilizzo del suolo pubblico.

Nel momento in cui una società operante nel settore delle telecomunicazioni entra in contatto con le normative comunali per espandere la propria rete digitale in zone che necessitano di interventi strutturali, inevitabilmente si troverà a stipulare contratti nel rispetto delle disposizioni legislative vigenti.

3. La regolamentazione dei canoni e l’utilizzo del suolo pubblico

Con l’obiettivo di regolare i rapporti tra operatori di telecomunicazioni e soggetti pubblici, evitando che gli enti territoriali imponessero impianti e canoni troppo onerosi, il decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, ha introdotto all’articolo 95 il divieto per le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici di imporre oneri o canoni per l’impianto di telecomunicazioni, se non previsti dalla legge. La normativa di settore si è successivamente evoluta. Il decreto legislativo n. 259/2003, noto come Codice delle comunicazioni elettroniche, prevedeva per la stipula di contratti di affitto di pali o antenne di telecomunicazioni di proprietà comunale, il versamento di due tributi alternativi: TOSAP e COSAP.

La TOSAP (Tassa per l’Occupazione di Spazi ed Aree Pubbliche) era un tributo locale fisso, applicato alle società di infrastrutture per l’occupazione di suolo pubblico, sia temporanea che permanente, su aree demaniali o del patrimonio indisponibile di province e comuni (quali marciapiedi, strade, piazze). La COSAP (Canone per l’Occupazione di Spazi ed Aree Pubbliche), introdotta dal decreto legislativo n. 446/1997 e in vigore dal 1° gennaio 1999, aveva natura di canone, offrendo ai comuni una maggiore flessibilità nella determinazione delle tariffe, in relazione alle caratteristiche specifiche del territorio.

Tuttavia, la legge di bilancio 27 dicembre 2019, n. 160, ha abrogato TOSAP e COSAP, sostituendole, all’art. 1, comma 816, con il c.d. Canone Unico Patrimoniale (CUP), in vigore dal 1° gennaio 2021. Le disposizioni precedentemente previste all’art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche sono state ricollocate nel nuovo art. 54. Il nuovo Canone Unico Patrimoniale si applica esclusivamente alle occupazioni di suolo pubblico insistenti su beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato o degli enti territoriali (comuni, province). Ciò implica che il CUP si renda dovuto solo quando l’occupazione riguardi beni destinati a fini pubblici, quindi non alienabili.

4. Ma cosa si intende per demanio pubblico?

L’art. 822 c.c. fornisce un’ampia definizione in materia: “Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartenenti allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico”.

Ai sensi dell’art. 823 c.c.,  i beni appartenenti al demanio pubblico non possono essere alienati né concessi a terzi, se non nei limiti previsti dalla legge. Tale disposizione sancisce l’indisponibilità dei beni demaniali, ovvero l’impossibilità di trasferirne la proprietà o di cederne il godimento a soggetti privati. Il demanio è, dunque, per sua natura destinato a finalità pubbliche. Sebbene l’art. 823 stabilisca l’indisponibilità dei beni demaniali, è possibile concederne l’utilizzo a terzi attraverso strumenti giuridici specifici. In tal caso, il bene viene concesso a condizione che permanga il suo interesse pubblico. L’affitto o l’uso temporaneo di beni demaniali avviene tipicamente tramite concessione amministrativa, per la quale è previsto il pagamento di un canone. Si vuole così garantire che l’uso da parte del soggetto privato sia regolamentato e conforme all’interesse collettivo.

Anche i beni del patrimonio indisponibile, pur non appartenendo formalmente al demanio, sono soggetti a tutela. L’art. 826 c.c. disciplina il concetto: “I beni appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, che non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato: le foreste demaniali, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità è sottratta al proprietario del fondo; i beni di interesse storico, archeologico, paleontologico e artistico, da chiunque ritrovati nel sottosuolo; i beni costituenti la dotazione della Corona; le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari, le navi da guerra; gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i relativi arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio”. Anche la concessione di tali beni avviene mediante canoni stabiliti dalla legge. Tuttavia, la proprietà e la destinazione devono restare inalterate.

Si può dunque affermare che, tanto per i beni demaniali quanto per quelli del patrimonio indisponibile, si applichi il Canone Unico Patrimoniale, volto a garantire un utilizzo conforme alle finalità pubbliche, preservandone la destinazione economico-giuridica. Diversamente, il canone libero può applicarsi solo in situazioni in cui il bene interessato appartenga al patrimonio disponibile dello Stato, non assoggettato a vincoli. In tali casi, le parti possono liberamente stabilire le condizioni contrattuali e l’ammontare del canone, salvo l’osservanza di normative locali di tutela. Pertanto, nel caso di infrastrutture per telecomunicazioni (ad esempio antenne per la telefonia mobile), il Canone Unico Patrimoniale è dovuto soltanto se tali impianti sono installati su beni demaniali o del patrimonio indisponibile dello Stato o dell’ente pubblico. Al contrario, qualora le infrastrutture siano collocate su beni del patrimonio disponibile, si applicano regimi diversi, come la locazione o la concessione, senza possibilità di applicazione del CUP. In definitiva, se il bene concesso in godimento a terzi non è destinato a un pubblico servizio e rientra nel patrimonio disponibile dello Stato, l’accordo sarà assoggettato alla piena capacità negoziale dell’amministrazione, secondo il diritto comune. A tal proposito, si evidenzia che le telecomunicazioni non costituiscono un servizio pubblico in senso stretto (come trasporti, sanità o istruzione), gestiti direttamente dallo Stato, bensì un servizio di interesse pubblico, rispondente ai bisogni della collettività, ma affidato a soggetti privati, incaricati dell’erogazione.

L’attuale tensione tra il diritto pubblico degli enti territoriali e la libertà economica degli operatori di telecomunicazioni si concentra sull’individuazione del giusto canone da corrispondere per l’utilizzo di beni pubblici.

5. Il bilanciamento tra potestà regolatoria pubblica e libertà d’impresa

Nel contesto delineato, emerge con forza la necessità di un bilanciamento tra la potestà regolatoria degli enti pubblici, tesa alla tutela del demanio e alla corretta gestione dei beni ad uso collettivo, e la libertà economica dei soggetti privati, riconosciuta e garantita dall’art. 41 della Costituzione. In particolare, gli operatori del settore delle telecomunicazioni, pur operando in un ambito di interesse generale, agiscono secondo logiche imprenditoriali e concorrenziali. L’imposizione di canoni elevati o non uniformi da parte delle amministrazioni locali può ostacolare l’espansione delle infrastrutture digitali, con effetti negativi sullo sviluppo tecnologico e sull’accesso universale alla rete. Di qui la ratio del Canone Unico Patrimoniale, introdotto con l’obiettivo di armonizzare i criteri di imposizione e superare la frammentazione normativa, nel rispetto sia delle prerogative pubbliche di gestione del territorio, sia delle esigenze di economicità e prevedibilità per gli operatori. La questione si pone dunque in termini di compatibilità tra regolazione e competitività, richiamando anche i principi euro-unitari di proporzionalità, parità di trattamento e non discriminazione. In tale ottica, il legislatore è chiamato a trovare un punto di equilibrio tra la funzione pubblica del bene demaniale e le esigenze legate allo sviluppo delle reti di comunicazione elettronica, ormai fondamentali per l’effettivo esercizio dei diritti di cittadinanza digitale.

6. Il ruolo dell’AGCOM nella regolazione delle telecomunicazioni

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) svolge un ruolo fondamentale nel garantire un equilibrio tra gli interessi pubblici e quelli privati nel settore delle telecomunicazioni. Attraverso la sua funzione regolatoria e di vigilanza, l’AGCOM disciplina le condizioni di accesso alle infrastrutture,  tutela la concorrenza, assicurando che le risorse pubbliche siano utilizzate nel rispetto delle finalità collettive. Insieme agli enti pubblici concedenti e all’Agenzia delle Entrate, l’AGCOM contribuisce a supervisionare l’applicazione del Canone Unico Patrimoniale, affinché sia riscosso in modo uniforme e conforme alla normativa vigente.

Il Canone Unico Patrimoniale infatti, in quanto strumento armonizzatore, risponde all’esigenza di evitare la proliferazione di oneri eterogenei imposti arbitrariamente dagli enti locali, salvaguardando al contempo la destinazione pubblica dei beni e assicurando il corretto bilanciamento tra innovazione tecnologica e tutela del patrimonio demaniale.

Bibliografia:
  1. Dlgs. 1° agosto 2003, n.259 – Codice delle comunicazioni elettroniche, focus in artt. 93,95 e 54.
  2. Dlgs. 15 dicembre 1997, n.446.
  3. Legge 27 dicembre 2019, n.160 – Legge di Bilancio 2020, art.1, commi 816 ss.
  4.   Codice Civile, artt. 822,823,826 – ( disposizioni sul demanio e patrimonio pubblico).
  5. M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino, Bologna, ultima edizione.


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Giulia Morenzetti

Dottoressa in Giurisprudenza, laureata presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna a dicembre 2024, e praticante avvocato. Tra aule universitarie e tribunali, condivido riflessioni nate tanto dalla scrittura della mia tesi in diritto penale quanto dall’esperienza sul campo durante la pratica forense. Qui racconto il diritto come lo vivo ogni giorno: tra studio, casi concreti e pensieri critici che nascono dal confronto diretto con la realtà giuridica.

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