Art. 2048 c.c., le responsabilità per culpa in vigilando e culpa in educando

Art. 2048 c.c., le responsabilità per culpa in vigilando e culpa in educando

Di norma, l’obbligo di risarcimento del danno spetta a chi lo ha cagionato con fatto proprio, ai sensi dell’art. 2043 c.c. “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

La peculiarità dell’articolo 2048 c.c. sta nell’esatta contrapposizione dell’art. 2043 c.c.: risponde il soggetto, prefigurato dalla legge come titolare di una particolare responsabilità, anche se l’evento è causato da altri.

Il dettato civile indica il dovere, in capo a determinate categorie di soggetti, di osservanza nei confronti di dati individui, i quali non sono in grado di poter provvedere autonomamente e, al contempo, non possono rendersi conto della pericolosità delle proprie gesta, quindi delle eventuali e, talvolta inevitabili, conseguenze.

Analisi dell’art. 2048 c.c., comma 1, c.c. – culpa in educando. In prima istanza, è doveroso identificare le figure rispetto alle quali il codice civile riconosce quali uniche figure in grado di ricoprire tale tipologia di responsabilità.

Difatti, l’art. 2048 c.c. individua due tipologie di responsabilità e le rispettive figure preposte all’osservanza del dettato.

Il primo comma si incentra sulla figura dei genitori (in solido) nei confronti dei figli minori non emancipati e/o del tutore nei confronti delle persone soggette alla tutela.

I presupposti affinché sussista la responsabilità sono:

  • la convivenza con l’autore dell’illecito

  • la mancata educazione impartita ai figli, così come prevede l’art. 147 c.c. in tema di doveri verso i figli ed ai sensi dell’art. 30 Cost.

Comma 3 – La prova liberatoria in tema di “culpa in educando”. L’ultimo comma disciplina la prova liberatoria in capo a chi ne risponde.

Nella fattispecie, è previsto che chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, il padre e la madre, in solido hanno la possibilità di liberarsi dalla suddetta responsabilità solo nel caso in cui dimostrino di “non aver potuto impedire il fatto”.

Non basta, nei confronti dei genitori, rispetto alla loro responsabilità diretta, si valuterà una duplice colpa: in educando,ma anche, in vigilando.

In buona sostanza, questi avranno l’onere di dimostrare il tipo di educazione che hanno impartito al minore, rendendo noto che sia stata idonea, seguendo i dettami del “buon padre di famiglia” e, tale, per cui, il figlio sia stato in grado di sapersi relazionare in maniera diligente e seguendo le regole di una corretta convivenza civile; e, altresì, dimostrare di aver vigilato correttamente sullo stesso.

Un ulteriore presupposto, affinché sussista tale tipologia di responsabilità è che il minore abiti con essi; per cui, la coabitazione, risulta, ai fini dell’accertamento della responsabilità, un ulteriore ed imprescindibile presupposto.

Nel qual caso, si dovessero ravvisare tutti gli elementi in grado di identificare quel fatto come illecito, (per es.: si ravvisa la carenza di educazione) in capo ai genitori verterà una responsabilità diretta, la cui prova liberatoria assumerà i connotati della c.d. “probatio diabolica”, con minor riguardo nei confronti del ragazzo sedicenne (Cassazione civile, sez. III, sentenza 19.02.2014 n° 3964 [[1]]).

Parte della dottrina, si è pronunciata configurando quella dei genitori come una responsabilità di tipo oggettivo e la prova liberatoria identificandola come caso fortuito, quindi ricollegando l’evento come straordinario ed imprevedibile e, quindi, escludendo la colpevolezza in capo ad essi.

Le problematiche sorgono in tema di regime di separazione personale tra i coniugi non più conviventi.

In seno a quest’ottica, si rileva un’impossibilità oggettiva di esercitare una vigilanza costante sul minore e, parte della dottrina affida una responsabilità in capo al genitore non affidatario.

Altra parte della dottrina, per converso, non riconosce alcunché di responsabilità in capo al genitore non affidatario, poiché si appella alla mancanza del requisito della coabitazione e quindi, in assenza della convivenza di ambedue i genitori, non si può sopperire ai doveri genitoriali di vigilanza ed educazione nei confronti del figlio.

In tema, si è pronunciata la Suprema Corte, la quale, con Sentenza, ha affermato che non sussiste responsabilità in mancanza del requisito della coabitazione (Cass. Civ., sez III, ord., 24 aprile 2019, n. 11198 [[2]]).

Analisi dell’art. 2048 c.c., comma 2, c.c. – culpa in vigilando. Il secondo comma dell’art. 2048 c.c., invece, si incentra sulle figure dei precettori, coloro che insegnano un mestiere o un’arte, preposti all’osservanza dei loro allievi e apprendisti durante il tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.

Le espressioni di “precettori e maestri” si riferiscono a tutti coloro cui il minore è affidato in un contesto di istruzione, indipendentemente dalla tipologia, ma, elemento imprescindibile, affinché sussista tale responsabilità, è che l’illecito commesso dal minore avvenga “nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.”.

Per inquadrare meglio quest’ultimo concetto, è all’uopo necessario affermare che il periodo da intendersi è quello nelle ore durante le quali si svolgono lezioni, il momento ricreativo, gite fuori porte etc. etc.

Il lasso di tempo di sorveglianza sul minore/allievo si considera terminato nell’esatto momento in cui avviene la riconsegna dello stesso al genitore. (Cass. 19 luglio 2016, n. 14701 [[3]])

Responsabilità da culpa in vigilando – come, quando e in capo a chi? In questa sede è necessario focalizzare quando, in capo a chi e come sussiste la responsabilità.

Sussiste una responsabilità di tipo solidale, per meglio precisare:

  • in prima istanza, spetta in capo all’insegnante, configurandosi come responsabilità di tipo indiretta, il quale durante le ore di lezione avrebbe dovuto prestare particolare osservanza sull’alunno;

  • in secondo luogo, ed in solido con la prima, si aggiunge la responsabilità dell’alunno, il quale se è capace di intendere e di volere risponderà di responsabilità per fatto proprio;

  • in ultima istanza, sussiste la responsabilità in capo ai genitori, che saranno chiamati a rispondere dell’illecito commesso dal figlio, in via indiretta, solo nel caso in cui si dovesse ravvisare che sia venuto meno il loro obbligo di educazione, secondo i criteri di convivenza civile e responsabilità. ( Cass. 18 settembre 2015, n. 18327 [[4]]).

Comma 3 – La prova liberatoria in tema di “culpa in vigilando”. L’ultimo comma dell’art. 2048 c.c., nell’ottica di culpa in vigilando, è strutturato con il precipuo intento di dare la possibilità alle suddette figure preposte a tale responsabilità, di liberarsene “soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”.

Il docente, in questa circostanza, ha l’onere di dimostrare che ha usato ogni strumento atto a garantire una corretta osservanza sugli alunni e che, se l’evento si è ivi verificato, ha utilizzato ogni mezzo per impedirlo, per cui si è rivelato imprevedibile, improvviso, tale da non poter essere evitato.

Se il danno avviene all’interno di scuole statali. Il Legittimato passivo all’azione di risarcimento non risulta essere l’insegnante, e neppure il dirigente scolastico, ma il Ministero della Pubblica Istruzione (MIUR), in virtù del suo rapporto di collegamento organico con il personale dipendente (Cass. SS.UU 9346/2002).

Secondo quanto stabilito dalle Sez. Unite della Cassazione, “in tema di responsabilità degli insegnanti di scuole statali, l’art. 61, secondo comma, della legge 11 luglio 1980, 312 – nel prevedere la sostituzione dell’Amministrazione, salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi – esclude in radice la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento danni da “culpa in vigilando”, quale che sia il titolo – contrattuale o extracontrattuale – dell’azione” (Cass. SSUU 27 giugno 2002 n. 9346).

La scuola è, in ogni caso e adottando ogni misura necessaria, tenuta ad evitare che gli allievi procurino danno a sé stessi (Cass. n. 1769/2012), sia all’interno dell’edificio che nelle pertinenze scolastiche, di cui abbia a qualsiasi titolo la custodia, e messe a disposizione per l’esecuzione della propria prestazione (Cass. 3680/2011; Cass. 19160/2012).

Le SS. UU della Corte di Cassazione con la Sentenza n. 21670/2013 hanno chiarito che «nel caso di danno cagionato dall’alunno a se stesso, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che – quanto all’istituto scolastico – l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso; e che – quanto al precettore dipendente dell’istituto scolastico – tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona. Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnante, è applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 cod. civ., sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante» (Cass., SU., n. 9346 del 2002; Cass. n. 24456 del 2005; Cass. n. 5067 del 2010; Cass. n. 2559 del 2011).

Se il danno avviene all’interno di una ludoteca. In linea di massima, è pacifico che il titolare della ludoteca non sia tenuto a sorvegliare i bambini. Secondo il Giudice del Tribunale di Perugia [[5]]: “se un bambino cade o comunque si fa male in una ludoteca il relativo titolare non è responsabile”; il gestore di tale spazio ricreativo non è equiparabile alla figura dell’insegnante della scuola e non ha, quindi, l’obbligo di sorveglianza sui bambini che utilizzano gli spazi attrezzati. In virtù di tale considerazione, in caso di infortunio in ludoteca, i genitori non hanno diritto a ottenere il risarcimento dei danni.

Vi è un caso in cui il titolare della ludoteca è responsabile: vale a dire, quando l’impianto risulta difettoso.

Tanto per fare alcuni esempi concreti, non spetta il risarcimento quando:

  • il bambino viene spinto a terra da un altro bambino;

  • il bambino cade dallo scivolo di un gonfiabile.

Invero, il risarcimento spetta nei casi in cui, per esempio, una sporgenza dei gonfiabili o degli altri giochi non è isolata con materiale non contundente.

In buona sostanza, il titolare della ludoteca, seppur non abbia l’obbligo di sorvegliare i bambini che giocano, è tenuto a sorvegliare il corretto funzionamento dei giochi stessi, a curarne la manutenzione e ad assicurare che essi siano a norma.

In particolare, il codice civile stabilisce che, in caso di danno determinato da cosa in custodia, il proprietario dell’oggetto è responsabile del danno causato a terzi, salvo che ciò sia avvenuto per caso fortuito.

I genitori, in tal caso, per ottenere il risarcimento, devono dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno.

Peraltro – prosegue il tribunale umbro – l’utilizzo dei giochi della ludoteca non presenta, di per sé, «una particolare pericolosità, se non quella che normalmente deriva da simili attrezzature»; e, d’altra parte, un genitore che accompagna un bambino in una ludoteca «deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta», e quindi deve eseguire la dovuta sorveglianza sul minore, per evitare tutti quei rischi che egli è doverosamente tenuto a calcolare. Il rischio di una caduta di un bambino da uno scivolo gonfiabile è «certamente prevedibile» con l’ordinaria diligenza, «e nulla consente di ipotizzare che fosse venuto meno in capo ai genitori che lo accompagnavano il dovere di controllo e di vigilanza».

Per analogia, la Sentenza della Corte di Appello di Salerno [[6]], condivide i dettati pronunciati dal Tribunale umbro.

I giudici campani mettono l’accento sull’onere della prova: se il genitore è tenuto solo a dimostrare che il minore si è fatto male, al titolare della struttura spetta la prova di aver fatto di tutto per evitare che si verificasse l’evento dannoso e tale prova è assolta nel momento in cui si dà atto che l’attività ricreativa sia avvenuta a norma, nella totale sicurezza, per esempio: area giochi pavimentata in gomma, separata dalla zona a parquet, uso dei calzini antiscivolo, spigoli protetti con elementi di gommapiuma, etc. etc.

Una volta che siano state adottate tutte le misure di sicurezza ed accertate, il gestore della ludoteca non potrà in alcun modo essere responsabile di eventi dannosi perché ha dimostrato di aver fatto tutto ciò che gli è richiesto dalla legge per garantire la sicurezza dei minori.

 

 

 

 

 


[ [1] ] Cassazione Civile, sez. III, sentenza 19.02.2014 n° 3964, in tema di culpa in vigilando e culpa in educando, la Cassazione si è così pronunciata:
I genitori sono liberati dalla responsabilità per il danno causato dal figlio minore convivente solo se dimostrano di aver impartito al figlio un’educazione sufficiente e adeguata ad una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini e alla sua personalità. Anche se l’obbligo di vigilare può essere attenuato nel caso di minore di sedici anni, non viene meno l’obbligo educativo e l’osservanza di tale obbligo deve essere provata ai fini della prova liberatoria della responsabilità ex art. 2048 c.c.”.
[ [2] ] Cass. Civ., sez III, ord., 24 aprile 2019, n. 11198 – in tema di assenza del requisito della coabitazione per la responsabilità di culpa in educando:
Secondo l’orientamento di questa Corte, la responsabilità del genitore per il danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore non emancipato, a norma dell’art. 2048 c.c., è subordinata al requisito della coabitazione, perché solo la convivenza può consentire l’adozione di quelle attività di sorveglianza e di educazione, il cui mancato assolvimento giustifica la responsabilità medesima.
[ [3] ] Cass. 19 luglio 2016, n. 14701 – in tema di responsabilità di culpa in vigilando:
La responsabilità della scuola scatta dal momento in cui il minore si reca all’interno della scuola dove c’è del personale addetto proprio al controllo (bidelli) degli studenti la cui giovanissima età doveva indurre il personale ad adottare le opportune cautele preventive, indipendentemente da qualsiasi segnalazione di pericolo da parte degli stessi. Ed infatti, incombe sempre sulla scuola il dovere di organizzare la vigilanza degli alunni sia in relazione all’uso degli spazi comuni durante l’entrata, sia all’uscita da scuola, sia sul controllo dei materiali e prodotti in uso. Nel caso di specie il minore era entrato all’interno della scuola per recarsi in classe sotto l’osservanza del personale scolastico (bidelli).
[ [4] ] Cass. 18 settembre 2015, n. 18327 – la Cassazione si è pronunciata con Sentenza, affermando che la responsabilità dei genitori non viene a mancare anche qualora i figli si trovino sotto l’altrui vigilanza.
[ [5] ] Trib. Perugia, sent. n. 109/17 del 27.01.2017.
[ [6] ] Corte d’Appello di Salerno Sent. n. 1269/18

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