Corte Costituzionale, sent. 232/2018: congedo straordinario al figlio non convivente

Corte Costituzionale, sent. 232/2018: congedo straordinario al figlio non convivente

La Corte costituzionale, con sentenza n° 232 del 7 dicembre 2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5 del decreto legislativo n° 151 del 26 marzo 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53).

L’art. 42 al quinto comma stabilisce: “La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge medesima da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei benefici di cui all’articolo 33, commi 1, 2 e 3, della medesima legge per l’assistenza del figlio, hanno diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa; l’indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo di lire 70 milioni annue per il congedo di durata annuale. Detto importo è rivalutato annualmente, a decorrere dall’anno 2002, sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. L’indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l’importo dell’indennità dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti all’ente previdenziale competente. Per i dipendenti dei predetti datori di lavoro privati, compresi quelli per i quali non è prevista l’assicurazione per le prestazioni di maternità, l’indennità di cui al presente comma è corrisposta con le modalità di cui all’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33. Il congedo fruito ai sensi del presente comma alternativamente da entrambi i genitori non può superare la durata complessiva di due anni; durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono fruire dei benefici di cui all’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, fatte salve le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 del medesimo articolo”.

Con ordinanza del 12 febbraio 2018, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione terza, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5 del decreto legislativo n° 151/2001 «nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo, la preesistente convivenza dei figli con il soggetto da assistere».

A ricorrere al TAR Lombardia è stato un agente penitenziario il quale aveva chiesto di ottenere il congedo straordinario retribuito per poter assistere il padre malato. Il Ministero della giustizia, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha rigettato l’istanza quando ha riscontrato che l’agente non conviveva con il padre da assistere.

In fatto, nella sentenza emerge innanzitutto la parte in cui è dichiarato che: “il giudice a quo argomenta che la domanda dovrebbe essere respinta, poiché difetta il requisito della pregressa convivenza e la disposizione censurata non si presta a una diversa interpretazione, che superi il dato testuale e consenta di identificare convivenza e residenza anagrafica, in linea con il punto di vista del ricorrente” (1.2).

La Corte, tuttavia, si sofferma su un’importante affermazione del rimettente: la mancata concessione del congedo straordinario al figlio che non convive con il genitore da assistere si pone in contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 29, 32 e 35 Costituzione. “In particolare, tale limitazione sarebbe lesiva del «combinato disposto di cui agli artt. 2, 29 e 32 Cost.», che presuppone «una legittimazione della famiglia nel suo insieme – come insieme di rapporti affettivi – a divenire strumento di assistenza del disabile», in virtù del dovere di solidarietà che grava su ogni componente della comunità familiare e del «corrispondente diritto del singolo di provvedere all’assistenza materiale e morale degli altri membri, ed in particolare di quelli più deboli e non autosufficienti, secondo le proprie infungibili capacità». L’attribuzione del congedo straordinario ai soli familiari già conviventi rispecchierebbe «una visione statica e presuntiva dell’organizzazione familiare, che può rivelarsi incompatibile con la necessità di prendersi cura, dall’oggi al domani, di una persona divenuta gravemente disabile, nonché non coerente con il moderno dispiegarsi dell’esistenza umana». Le necessità che conducono i figli ad allontanarsi dal nucleo familiare di origine non possono «costituire ostacolo alla concreta attuazione dell’inderogabile principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.», giacché è proprio l’assenza di convivenza a imporre al figlio «di richiedere il congedo straordinario, non avendo altro modo di prestare assistenza continuativa al genitore disabile che si trovi nella situazione di non avere nessun altro famigliare in grado di fornire adeguato sostegno». Il rimettente soggiunge che il principio di solidarietà ben potrebbe essere attuato imponendo l’obbligo di convivenza durante la fruizione del congedo. L’assetto restrittivo delineato dal legislatore si porrebbe in conflitto anche con l’art. 3 Cost., poiché determinerebbe «un’evidente disparità di trattamento […] tra coloro che liberamente possono scegliere il luogo in cui risiedere (e dunque convivere con il genitore) e quanti, invece, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non possono compiere tale scelta, come avviene nel caso di specie». Il rimettente, a tale riguardo, denuncia anche la violazione degli artt. 4 e 35 Cost. L’individuazione dei beneficiari in base al requisito della convivenza sarebbe all’origine di una discriminazione arbitraria, legata alla tipologia del lavoro svolto. La disposizione censurata, inoltre, nel subordinare la concessione del congedo straordinario al requisito della convivenza, si porrebbe «in contrasto con il combinato disposto di cui agli artt. 2 e 3 Cost.». La normativa in esame richiederebbe «un requisito ulteriore rispetto a quanto previsto dalla disciplina di altri istituti aventi la medesima finalità assistenziale», come i permessi disciplinati dall’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che prescindono dal presupposto della convivenza”.

Da parte sua, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Lombardia, lamentando che “il giudice a quo non abbia descritto la patologia del genitore del ricorrente e non abbia chiarito se l’infermità rientri tra quelle gravi, le sole che danno titolo al beneficio, in base all’art. 4, commi 2 e 4, della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città). Tale lacuna nella descrizione della fattispecie concreta si tradurrebbe nella manifesta inammissibilità della questione per omessa motivazione sulla rilevanza”.

In diritto, la Corte riconosce il contrasto con i suddetti artt. della Costituzione, affermando un aspetto dell’attualità non trascurabile nemmeno in casi del genere: “Le necessità che, secondo «il moderno dispiegarsi dell’esistenza umana», conducono i figli ad allontanarsi dalla famiglia d’origine non potrebbero in nessun caso ostacolare la «concreta attuazione dell’inderogabile principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.», attuazione che ben potrebbe essere garantita mediante l’imposizione di un obbligo di convivenza «durante la fruizione del congedo».”.

Riguardo al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., aggiunge: “Il principio di eguaglianza sarebbe leso anche sotto un distinto profilo, che riguarda l’ingiustificata disparità di trattamento tra il congedo straordinario e i permessi previsti dall’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate)”.

Ritiene infondata l’eccezione del Consiglio dei Ministri in quanto “argomenta” che il ricorrente già godeva dei permessi previsti dall’art. 33, comma 3 della legge 104/1992 che, come il congedo straordinario, presuppongono l’assistenza a una persona con handicap in situazione di gravità”.

Di particolare importanza risulta essere il punto 5 della sentenza espresso nelle considerazioni in diritto e in cui sono evidenziati i principi espressi in precedenza dalla stessa Corte Costituzionale.

Così come di pregnante importanza sembra essere quanto è dichiarato oltre: “Un criterio selettivo così congegnato compromette il diritto del disabile di ricevere la cura necessaria dentro la famiglia, proprio quando si venga a creare una tale lacuna di tutela e il disabile possa confidare – come extrema ratio – soltanto sull’assistenza assicurata da un figlio ancora non convivente al momento della richiesta di congedo. Tali situazioni sono ugualmente meritevoli di adeguata protezione, poiché riflettono i mutamenti intervenuti nei rapporti personali e le trasformazioni che investono la famiglia, non sempre tenuta insieme da un rapporto di prossimità quotidiana, ma non per questo meno solida nel suo impianto solidaristico. Può dunque accadere che la convivenza si ristabilisca in occasione di eventi che richiedono la vicinanza – in questo caso fra padre e figlio – quale presupposto per elargire la cura al disabile. Il ricomporsi del nucleo familiare si caratterizza in questi casi per un ancor più accentuato vincolo affettivo”.

La Corte Costituzionale, tuttavia, dichiara l’obbligo del figlio di instaurare una convivenza che garantisca al genitore disabile un’assistenza permanente e continuativa.

In conclusione, sulla base dei motivi sommariamente esposti, la Corte Coatituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo del 26 marzo 2001, n° 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n° 53)nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta del congedo, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge”.


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