La responsabilità sanitaria nell’attuale contesto pandemico

La responsabilità sanitaria nell’attuale contesto pandemico

Nell’attuale contesto pandemico, vanno ridisegnati i contorni della responsabilità sanitaria tracciati dalla Legge Gelli-Bianco.

La complessità nell’approccio terapeutico è determinata dalla richiesta d’impellenza dell’intervento, che rende quasi sempre difficili anche le cose facili.

Problematiche relative alla carenza di organico, all’applicazione di medici in specialità diverse, alla difficoltà di reperire i dispositivi di protezione individuale e di procedere alla formazione del personale sull’utilizzo degli stessi in tempi rapidi, sono comuni a tutti gli Ospedali del nostro territorio nazionale.

Il mondo sanitario è angosciato in merito a quella che dovrebbe essere l’applicazione di un numero sempre crescente di provvedimenti, decreti leggi, direttive e circolari.

La colpa medica andrà quindi mitigata in funzione di quelle che sono le responsabilità dei dirigenti apicali e degli amministratori locali, il cui compito è quello di dar corretta attuazione a tali provvedimenti.

Per cui in ogni contesto andrà ben indagato il caso specifico, per giungere ad un’affermazione di responsabilità.

Difatti la responsabilità non risiede solo nell’attività di cura, ma anche in quella di prevenzione, che consiste nel predisporre ambienti di lavoro e di cura idonei a prevenire infezioni nosocomiali.

Se il diffondersi dell’infezione tra il personale sanitario o tra i pazienti è stato causato dalla struttura sanitaria, non si potrà imputare alcuna responsabilità ai medici per non aver fronteggiato la situazione critica in cui si sono venuti a trovare in questi giorni.

L’attività di prevenzione del rischio, alla quale è tenuto a concorrere tutto il personale sanitario, si affievolisce nei confronti di colui che è etero-gestito.

Per cui il contenzioso che si svilupperà nei prossimi mesi, riguarderà non solo i pazienti Covid non adeguatamente curati, ma anche i pazienti Covid non intercettati, non presi in carico per disfunzioni organizzative, o i pazienti non Covid trascurati, in quanto le forze sono state distolte altrove.

Il contenzioso andrà quindi ad intercettare le disfunzioni organizzative e le responsabilità di chi aveva il compito di fornire linee guida per fronteggiare l’emergenza.

Non è tollerabile che pazienti siano stati lasciati morire in casa ed in condizioni atroci, o che alcune RSA sia diventate dei veri e propri lazzaretti, ove gli anziani venivano lasciati all’abbandono, senza neppure avvertire i familiari del rischio di vita a cui erano esposti.

Così come non è tollerabile che il personale sanitario abbia contratto l’infezione in ambiente ospedaliero ed a sua volta abbia infettato i pazienti ricoverati, a causa dei ritardi nei tamponi, che in alcuni casi, seppur espressamente richiesti, non venivano neppure effettuati.

I medici chiamati oggi in prima linea, che purtroppo saranno coinvolti in azioni giudiziarie, si troveranno a dover difendere un percorso terapeutico e linee guida che in realtà non avevano, ma saranno sicuramente i più difendibili, sia da un punto di vista penale che civile.

Il pericolo è di assistere a sentenze più emotive che motivate, ove il nesso di causa viene indebolito dalla difficoltà di investigazioni tecniche, soprattutto all’interno delle RSA, che non avendo protocolli di sicurezza al pari di quelli ospedalieri, non sono tenuti ad una conservazione così stringente di un diario assistenziale del paziente, con la conseguenza che non sarà agevole riscostruire la storia clinica di ciascun deceduto in un ambito processuale.

Chi assiste il danneggiato, o il presunto tale, dovrà avere massima cautela nel districarsi tra i singoli protocolli e direttive emanate in questi mesi. La medicina legale dovrà capire come gestire i quesiti posti dal magistrato.

Tenendo presente che la Suprema Corte ha di recente ribadito, proprio in un caso di contagio, che in materia di responsabilità sanitaria spetta al paziente, il quale chiede il risarcimento dei danni subiti, l’onere di provare il nesso di causalità fra l’evento dannoso di cui chiede il risarcimento e la condotta attiva o omissiva dei sanitari. Invece, non si applica, in questi casi, il principio della maggiore vicinanza della prova al debitore (Cass. civ., Sez. VI, sent. 09 settembre 2019, n. 21939).

La fase del dopo coronavirus è per ora solo un auspicio di ritrovarsi in una solidarietà tra medico e paziente, che ora si fatica a pretendere, ma che sicuramente tornerà di attualità.


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