L’adulterio è motivo di addebito della separazione solo quando la relazione non è già in crisi

L’adulterio è motivo di addebito della separazione solo quando la relazione non è già in crisi

La Corte di cassazione, sez. VI civile, 28 gennaio 2021, n. 1816 ha ribadito il principio – invero già consolidato nella giurisprudenza di legittimità – secondo il quale l’adulterio rappresenta motivo di addebito della separazione coniugale soltanto quando si realizza nel contesto di una relazione non in crisi.

Ma andiamo ai fatti di causa. Il Tribunale di Milano aveva pronunciato la separazione personale dei coniugi B.A.F. e H.D., dalla cui unione era nata la figlia M., ancora minore, affidando quest’ultima al servizio sociale del Comune di Milano – con collocazione presso la madre – e prevedendo incontri protetti tra la bambina, affetta da disturbo autistico, e il padre. A carico di quest’ultimo il Tribunale stabiliva l’assegno mensile di euro 1.000,00.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 7 febbraio 2018, riduceva l’assegno dovuto dal padre in euro 800,00, confermando per le restanti statuizioni la decisione di prime cure.

B.A.F. proponeva ricorso, basando lo stesso su due motivi. Nello specifico – e per quanto qui di specifico interesse – col secondo motivo il ricorrente denunciava la violazione degli articoli 143 e 151 c.c., per avere la Corte sostanzialmente negato l’addebito della separazione alla H., nonostante l’accertamento dell’adulterio della stessa in costanza di matrimonio e il concepimento di un figlio col proprio amante.

La Suprema Corte, con il provvedimento in commento, ha dichiarato l’inammissibilità del motivo, per il princìpio giurisprudenziale evidenziato ab initio. E infatti, nel corso del processo era stato ampiamente accertata la mancanza del nesso di causalità tra l’adulterio e la separazione delle Parti. La crisi coniugale affondava le sue origini nella nascita della figlia e nei problemi di salute che avevano colpito quest’ultima: l’adulterio rappresentava dunque fatto indipendente e successivo alla crisi del rapporto tra i coniugi, già largamente sviluppatasi.

La Corte ha altresì chiarito (rectius: ribadito) come il nesso di causalità in questione debba essere valutato per mezzo di un accertamento rigoroso e complessivo, che tenga conto del comportamento dei coniugi e dell’andamento della relazione tra gli stessi prima della separazione. Pertanto, il coniuge che vorrà far ricadere l’addebito della separazione sull’altro, dovrà – nel caso di adulterio – dimostrare il nesso causale tra l’infedeltà del coniuge e la crisi familiare (crisi tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza).

L’orientamento della giurisprudenza di legittimità, confermato dal provvedimento de quo, si basa a ben guardare su un’interpretazione restrittiva del primo inciso del secondo comma dell’art. 143 c.c. (“Diritti e doveri reciproci dei coniugi”), nella parte in cui recita che “dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà […]”. Del resto, la ratio della disposizione è da rinvenirsi proprio nel valore che l’ordinamento dà al matrimonio e all’assistenza morale e materiale tra i coniugi. Se il matrimonio stesso, a causa di una crisi in corso, è già sostanzialmente venuto meno, appare fattualmente illogica l’applicazione del disposto di cui all’art. 143 c.c..

Certo è che tale orientamento si pone in contrasto con un’interpretazione strettamente letterale dell’articolo in trattazione, giacché una crisi – almeno dal solo punto di vista formale – non pone fine al matrimonio, e non potrebbe impedire l’applicazione di norme che al contesto matrimoniale sono applicativamente riservate.

A oggi, comunque, l’orientamento che inquadra l’adulterio come motivo di addebito solo se questo è il motivo scatenante la separazione sembra essere consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che ha preferito dar rilievo all’analisi della situazione di fatto, in scapito della situazione di diritto, dalla quale difficilmente potrebbe discendere una disapplicazione dell’art. 143 del codice civile.

 

 

 


Cass. Civ., Sez. VI, 28 gennaio 2021, n. 1816
L’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, che deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a determinare l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza ed a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, quando, tuttavia, non constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.
(Omissis)
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Milano ha pronunciato la separazione personale dei coniugi B.A.F. e H.D., dalla cui unione era nata la figlia M., ancora minore, che ha affidato al servizio sociale del Comune di Milano, con collocazione presso la madre, prevedendo incontri protetti tra la bambina, affetta da disturbo autistico, ed il padre, a cui carico ha posto il contributo di Euro 1000,00, ed ha rigettato le contrapposte domande di addebito. La Corte d’appello di Pagina 1 di 3Milano, con sentenza del 7.2.2018, ha ridotto in Euro 800,00, l’assegno dovuto dal padre ed ha, nel resto confermato la decisione di prime cure. B.A.F. ha proposto ricorso, sulla base di due motivi, H.D. non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, si deduce: omesso esame circa il fatto decisivo relativo alla ripresa degli incontri tra esso ricorrente e la figlia, interrotti nel 2016. In relazione al rapporto padre-figlia, afferma il ricorrente, la Corte territoriale si era limitata, nel dispositivo, a confermare la decisione di primo grado, e, in motivazione, a far leva su “vecchi rapporti degli assistenti sociali” che lo accusavano non già di essere “un pessimo padre ed uomo”, ma di esser arrogante e maleducato con gli stessi operatori. I rapporti con la bambina, prosegue il ricorrente, sono in realtà da addebitarsi alla madre, che, tramite i servizi territoriali, ha raggiunto lo scopo di alienargli la figlia.
2. Il motivo è inammissibile. La Corte territoriale ha approfonditamente valutato (da pag. 13 a pag. 26 della sentenza) la questione dell’affidamento e del collocamento della bambina nonché del regime degli incontri tra la stessa ed il ricorrente, dando conto delle conclusioni dei consulenti nominati, delle relazioni dei servizi, e dell’atteggiamento della minore rispetto agli incontri col padre (pag. 23 ultimi due periodi), ritenuto genuinamente oppositivo, e non il frutto di manipolazioni materne. La sentenza ha concluso per il rigetto del motivo d’appello svolto al riguardo dal padre – da cui la statuizione di “conferma” contenuta nel dispositivo, evidenziando pure la posizione di chiusura dell’odierno ricorrente “ad ogni proposta di recupero di un sereno rapporto con la figlia”. A tale stregua, risulta evidente come non sia ravvisabile l’omissione di esame alcun fatto, e come la critica sia rivolta al merito delle conclusioni cui è pervenuto il giudice milanese; in altri termini, essa tende ad un riesame del merito.
3. Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 143 e 151 c.c., per avere la Corte negato l’addebito della separazione alla H., nonostante fosse rimasto accertato l’adulterio della stessa in costanza di convivenza e nonostante il concepimento di un figlio con il suo amante.
4. Anche questo motivo è inammissibile. Secondo consolidata giurisprudenza, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, che deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a determinare l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza ed a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, quando, tuttavia, non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (Cass. 7 dicembre 2007, n. 25618; ed ancora, più di recente, Cass., ord. 14 agosto 2015, n. 16859; n. 917 del 2017).
5. Tali principi risultano osservati dalla Corte territoriale laddove, nel valutare le risultanze processuali e le conclusioni assunte nelle due CTU acquisite, ha affermato che la separazione non è stata determinata dall’adulterio di lei, che era intervenuto dopo che l’unione tra i coniugi, fondata su basi fragili e connotata dall’assenza del benché minimo scambio affettivo, era venuta meno con la nascita della bambina ed i problemi di salute della stessa. Le censure del ricorrente, volte ad affermare il nesso eziologico tra il tradimento e la crisi del rapporto coniugale, sotto le mentite spoglie di denunce di violazione di legge attingono, quindi, inammissibilmente, al merito. 6. Non va provveduto sulle spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva della parte intimata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Sussistono i presupposti per il (Ndr: testo originale non comprensibile) doppio del contributo previsto per il ricorso, se dovuto. In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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