L’ascolto del minore come strumento di valorizzazione della sua volontà

L’ascolto del minore come strumento di valorizzazione della sua volontà

Ascoltare il minore vuol dire dare voce alle sue esigenze e ai suoi desideri più profondi, far assumere una particolare rilevanza ai suoi pensieri in modo che questi siano espressi nella maniera più libera possibile; l’ascolto è il ponte tra il mondo in cui egli vive e la realtà esterna, lo strumento mediante il quale l’adulto potrà conoscere gli spazi più segreti e interiori del minore simpatizzando con le sue paure e non limitandosi ad un freddo sguardo esterno.

Il diritto del minore ad essere ascoltato è essenziale ogniqualvolta sia opportuno decidere una questione che abbia ad oggetto il minore stesso, l’ascolto è in grado di guidare i genitori nell’esercizio della responsabilità genitoriale, orientare quelle che sono le scelte terapeutiche e tutte quelle questioni nelle quali il minore sì confronterà con i poteri pubblici.

Il diritto all’ascolto del minore è stato riconosciuto per la prima volta a livello internazionale con la Convenzione di New York del 1989, che all’art. 12 dispone agli Stati il dovere di assicurare al minore “il diritto di esprimere la propria opinione liberamente ed in qualsiasi maniera”, valorizzando il suo ruolo e la sua volontà nelle scelte che avranno delle ricadute sul minore e in particolar modo nel suo sviluppo e nella ricerca del proprio sé.

L’articolo 12 afferma come il diritto di esprimere la propria opinione debba essere soppesato con riferimento all’età e alla maturità del minore; le opinioni del fanciullo devono essere tenute in considerazione e valutando l’ascolto non solo come una modalità di esercizio del potere educativo ma come possibilità del minore di far sentire la sua voce ogniqualvolta vi sia una questione che incide e avrà ripercussioni sulla sua vita.

“Gli Stati Parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine, si darà, in particolare, al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”.[1]

La terminologia “tener conto” utilizzata nella norma enfatizza il ruolo assolto dall’ascolto in quanto idoneo a indirizzare le decisioni dell’interlocutore del minore, che sia tanto il nucleo familiare quanto il giudice, e anche ad incidere sulla decisione riguardante il minore che si andrà ad assumere.

La Convenzione di Strasburgo riconoscendo il diritto all’ascolto del minore afferma come l’esercizio di tale diritto sia favorito dalla possibilità che lo stesso, capace di discernimento, sia posto nelle condizioni di partecipare in maniera adeguata, sia consultato affinché possa esprimere le proprie opinioni e gli sia fornita ogni informazione utile per comprendere il valore dell’ascolto e delle conseguenze che dallo stesso possono prodursi.[2]

L’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 18 dicembre 2000, nel riaffermare i diritti del fanciullo, ponendo una particolare rilevanza alla sua volontà e opinione sancisce, sulla scia di quanto precedentemente illustrato, l’obbligatorietà dell’ascolto del minore disponendo che “I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità”.

Quanto disposto dalla normativa sovranazionale e l’interesse crescente che la stessa ha posto sul minore e sui diritti ad esso spettanti, ha persuaso il legislatore nazionale a intervenire sulle disposizioni interne per adeguarle al mutato quadro normativo e sociale diffuso che, considerando il minore non più come oggetto, ma come soggetto di diritti necessitava di una nuova chiave interpretativa.

L’articolo 147 del Codice civile facendo riferimento ai doveri in capo ai genitori sottolinea come necessario sia “tenere conto dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”; con questa espressione si affianca ai tradizionali doveri il diritto del bambino ad essere ascoltato nelle molteplicità di scelte che lo riguardano in prima persona, un ruolo attivo è da lui rivestito in quanto esprimendo le sue opinioni può indirizzare con le stesse i genitori nell’esercizio dei propri doveri.

L’ascolto ha la finalità di tutelare il preminente interesse del minore e assume un ruolo peculiare tanto nella molteplicità di scelte che contraddistinguono il suo quotidiano, nel momento preventivo ad eventuali conflitti genitoriali, quanto si cerchi una soluzione al conflitto già sorto; il minore dovrà essere posto nella condizione di far sentire la sua voce, il suo stato d’animo e il suo dolore in un contesto nel quale questi assumano un’importanza rilevante: la visione adultocentrico secondo la quale soltanto l’adulto è in grado di esprimersi in maniera adeguata deve lasciare spazio al minore, al suo interesse e alla sua autodeterminazione.

L’ascolto appare, quindi, come uno strumento idoneo affinché il minore possa tutelare i suoi interessi assumendo un ruolo attivo mediante l’instaurazione di un rapporto con i genitori, ed eventualmente con il giudice, che sia non solo visivo ma soprattutto emotivo e che, con la sua voce, si aggiunga un contribuito utile ad indirizzare tali figure sulla decisione che dovranno assumere.

La legge dell’8 febbraio 2006 n. 54, all’art 155 sexies disciplinava la possibilità per il giudice di disporre “l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento” nelle procedure di separazione coniugale, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio.

ll diritto del minore all’ascolto era qualificato come “fondamentale ed eventuale” e il giudice avrebbe dovuto ricorrervi ogniqualvolta la posizione dei figli potesse essere lesa dall’elevata conflittualità che contraddistingueva il rapporto familiare.

La nuova impostazione data al diritto all’ascolto può essere ravvisata dalla collocazione della norma nel codice, infatti, se precedentemente l’ascolto era sancito nell’articolo 155 sexies del Codice civile nell’ambito dell’affidamento della prole nella crisi della convivenza genitoriale, ora è collocato in apertura al titolo IX del libro primo del Codice civile, rendendo possibile l’ascolto del minore al di là della fase in cui si trovi il rapporto genitoriale.

La finalità dell’ascolto è quella di valorizzare una voce che talvolta non viene considerata adeguatamente, l’articolo 315 bis del Codice civile al comma 3 con riferimento al diritto del minore di essere ascoltato, afferma come questo debba avvenire  “in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”; la codificazione del “diritto all’ascolto” del figlio minore è rappresentata dalle “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali” contenute nella legge 1 gennaio 2012 n. 219 che,  introducendo l’art. 315 bis c.c., ha sancito che “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato”.

L’ascolto, quindi, non è soltanto una possibilità che emerge in sede giurisdizionale, il tribunale è spesso il luogo nel quale il minore trova per la prima volta qualcuno disposto ad ascoltarlo, dargli spazio e riconoscere la situazione di disagio che egli si trova ad affrontare, ma primariamente questo è auspicabile che avvenga all’interno del nucleo familiare del minore.

L’articolo 315 bis del Codice civile al comma 3 afferma, inoltre, che il minore che abbia compiuto 12 anni e di età inferiore se capace di discernimento, deve essere ascoltato “nelle questioni e nelle procedure che lo riguardano”.

La capacità di discernimento[3] va intesa come l’attitudine del minore di rielaborazione dei pensieri in forma libera che gli consente di assumere decisioni autonomamente e in maniera responsabile, la presenza della stessa dovrà essere opportunamente valutata con riferimento alla tematica per la quale l’ascolto è stato ritenuto opportuno; valutazione che sarà condotta dal giudice secondo il suo libero e prudente apprezzamento tenendo in particolare considerazione le caratteristiche del caso concreto.

Il bambino già dal momento della nascita risponde agli stimoli che riceve dall’esterno, il lasso di tempo per l’acquisizione delle competenze idonee a far comprendere ciò che gli succede intorno e di trarne dalle stesse giovamento, è da collocarsi intorno ai sei anni di età; tali abilità si consolideranno nel corso del tempo e i 12 anni di età sono stati presi come riferimento in quanto il processo di maturazione e lo sviluppo di una dimensione di autonomia del minore vengono collocati in questa fase della sua crescita.

La capacità di assumere delle scelte autonome scisse da condizionamenti esterni si consolida nel tempo ed è inevitabilmente condizionata dai fattori esterni con il quale minore si scontra.

Gli articoli 336 bis e 337 octies[4] del Codice civile disciplinano le modalità dell’ascolto in sede giurisdizionale definendone la portata e i limiti entro i quali questo può essere svolto; ogni qual volta in minore sia capace di discernimento deve essere ascoltato, salvo nei casi in cui l’ascolto contrasti con il suo interesse o risulti manifestamente superfluo, in entrambe le ipotesi il giudice dovrà giustificare il mancato assolvimento di tale obbligo con un provvedimento motivato.

L’articolo 336 bis afferma come il minore debba essere informato preventivamente dal giudice dei motivi connessi al suo ascolto, valorizzando in tal modo la sua età e il suo grado di maturità in quanto la finalità dell’audizione è quella di salvaguardare il minore e i suoi interessi; tale norma delinea le modalità processuali affinché l’ascolto possa svolgersi e il bambino possa liberamente esprimersi senza subire condizionamenti esterni.

Nel valutare l’opportunità dell’ascolto o meno il giudice provvede con le modalità da lui ritenute più appropriate, in particolar modo deve verificare la presenza di due presupposti, il primo è l’età del minore, se il minore ha un’età superiore ai 12 anni l’ascolto sarà disposto automaticamente salvo nei casi in cui sussista un’ inopportunità dello stesso, nel caso di minore intra-dodicenne l’ascolto presuppone la capacità di discernimento del minore, valutazione che sarà svolta soltanto successivamente all’ascolto stesso in quanto si verificheranno le modalità attraverso le quali il minore sia in grado di gestire tale situazione.[5]

L’ascolto del minore da parte del giudice sarà disposto quando ad oggetto saranno le situazioni i cui effetti si produrranno nei confronti nello stesso e, quindi, in tutti quei giudizi nei quali il minore potrebbe essere considerato come parte sostanziale; l’ipotesi del mancato assolvimento di tale obbligo costituisce una violazione del principio del contraddittorio, sancito dall’ articolo 101 della Costituzione, principio alla base del giusto processo.

L’omissione dell’ascolto porta con sé delle conseguenze che hanno visto contrapporsi due filoni di pensiero; da un lato l’ascolto del minore viene valutato come atto istruttorio la cui omissione, se priva di una motivazione, comporta una nullità della decisione per violazione di legge, in quanto tale omissione comporta un errore procedurale insanabile.[6]

A questa considerazione si affianca l’idea che all’omesso ascolto del minore segua una violazione del principio del contraddittorio del giusto processo, in quanto egli è considerato come parte del procedimento nel quale sarà ascoltato, con il conseguente annullamento del decreto e il rinvio al giudice a quo.

Opportuno è considerare, pertanto, l’ascolto del minore come “una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse”[7] .

 

 

 

 

 


[1] Testo dell’art. 12 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo
[2] L’ art. 3 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata in Italia con legge del 20 marzo 2003 n. 77, ha previsto il “Diritto del fanciullo di essere informato e di esprimere la propria opinione nelle procedure
[3] M. PERSIANI, L’ascolto del minore: pregi e ambiguità di una norma condivisibile e necessaria, Minori Giustizia: Rivista interdisciplinare di studi giuridici, psicologici, pedagogici e sociali sulla relazione fra minorenni e giustizia, Franco Angeli, Milano, 2006, pp.164- 171
[4] L’art. 337 octies, comma 1 c.c. stabilisce che “Il giudice dispone, inoltre, l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo”.
[5] G. SERGIO, L’ascolto del minore e la giustizia, Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, Armando Editore, Roma, 2010, pp. 117-126
[6] Tale considerazione può essere rinvenuta in ordinanza del Tribunale di Genova del 23 marzo 2007, la pronuncia della Corte d’Appello di Torino del 27 giugno 2006 e due sentenze della Corte di cassazione, n. 1251 del 012 e n. 19007 del 2014.
[7] Cass., ord. 13 febbraio 2019, n. 4246, che richiama Cass., 26 marzo 2015, n. 6129, ed altresì Cass., 7 marzo 2017, n. 5656, in Fam. e dir., 2018, 352.


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