Le obbligazioni

Le obbligazioni

Il tema dell’obbligazione è una struttura portante del diritto civile. Si propone una trattazione costituzionalmente orientata, alla luce di una interpretazione della disciplina dell’obbligazione in un’ottica di funzione sociale. Questa chiave di lettura, in potenza, rende più attraente l’approccio a un argomento, il quale, se trattato a livelli più elevati, rispetto a quelli meramente istituzionali, può apparire ostico e fa comprendere come l’esatta intelligenza delle questioni giuridiche non si risolva in una mera memorizzazione delle norme contenute nelle disposizioni legislative. Occorre essere consapevoli della necessità di una lettura in profondità di istituti giuridici così importanti. Questo appare essenziale anche per creare un reticolato cognitivo, che consenta di comprendere come le manifestazioni del sapere non possano essere concepite in compartimenti stagni. Occorre, invece, con la consapevolezza dei limiti dell’uomo che cerca attraverso il metodo socratico-maieutico, far collegamenti tra i vari rami del sapere, ai fini, per quello che in questa sede interessa, di penetrare appieno l’essenza dell’istituto dell’obbligazione. Si tenterà di attuare questo progetto.

Un primo approccio alla tematica dell’obbligazione porta a considerare la linea di demarcazione che si tenta di porre fra debito e rispondenza. Si esemplificano ipotesi di debito senza responsabilità (obbligazioni naturali) e di responsabilità senza debito (fideiussione, pegno e ipoteca a garanzia di un debito soggetto a condizione sospensiva o futuro ,con la presenza di una responsabilità attuale per un debito ancora non giuridicamente pienamente configurabile) o di diversa imputazione, configurandosi ipotesi di debito responsabilità o di responsabilità debito (fideiussione, pegno e ipoteca di cosa altrui a garanzia di obbligazione naturale; pegno e ipoteca a garanzia di debito altrui) o, ancora, di responsabilità limitata in rapporto al debito o di differenza di tempo in cui si manifestano responsabilità e debito. Porre il “focus” sulla posizione creditoria riguarda, la questione del diritto soggettivo e il ricomprendere all’interno di una figura unitaria una figura unitaria credito e diritti reali: per un verso si tendeva ad attrarre il primo nell’àmbito dei secondi, così da ricomporre l’unità del concetto di diritto

Si afferma la non scindibilità della relazione obbligatoria in debito e responsabilità, pervenendo a una concezione non separata della medesima, collocando prima del possibile eventuale inadempimento il ruolo dei rimedi coercitivi utilizzabili a seguito del medesimo, ma già rilevanti, nel momento della nascita dell’obbligazione, per la presenza della garanzia del patrimonio del debitore.

Il rapporto obbligatorio è “giuridico” fin dalla sua costituzione, e il credito può qualificarsi come diritto soggettivo senza che occorra conferire al medesimo natura reale. Permane chiara sul piano legislativo l’intenzione di distinguere fra diritti di credito e diritti reali. Peraltro, forse è da rivedere l’idea di una corrispondenza “geometrica” tra obbligazione e credito. Determinate cause di estinzione dell’obbligazione e di liberazione del debitore non corrispondono al soddisfacimento dell’interesse di questo, come il pagamento al creditore apparente. La prestazione del debitore, ricostruibile pure dal lato del creditore,  può concepirsi come “atto dovuto”. L’obbligazione va incorporata nel traffico economico perché ingloba un flusso di valore e utilità. In questa sede si ritiene che l’utilità non sia solo quella monetizzabile, ma anche quella sociale. Non appare condivisibile estendere il portato della disposizione costituzionale solo alla proprietà, anche in un’ottica di interpretazione evolutiva, in rapporto all’evoluzione dell’economia. Si ritiene di collegare la problematica allo sviluppo e all’evoluzione del c.d. “uso alternativo del diritto”

L’obbligazione ha l’essenza di “dovere giuridico”, ma un problema che si pone, non sempre di agevole soluzione, è distinguere le obbligazioni come doveri giuridici da doveri di natura non giuridica, in quanto rientranti nella sfera etica o di cortesia. Tale questione si complica ulteriormente quando, quanto meno a un primo esame superficiale, sia obbligazioni, sia obblighi-doveri di natura etica o di cortesia presentino forti affinità strutturali. In astratto, si può utilizzare come parametro la qualificazione che i soggetti coinvolti diano al rapporto giuridico in cui si inserisce il dovere o la natura oggettiva del medesimo. Si sono elaborati ulteriori indici di riconoscimento, ossia, per esempio, la presenza di un rapporto a prestazioni corrispettive, la previsione di una clausola penale.

In ogni caso, l’obbligazione va tenuta distinta, ad esempio dai doveri di solidarietà politica, economica e sociale, di cui all’art. 2 Cost., non aventi un destinatario determinato, quando, invece, l’obbligazione ha come soggetti passivi uno o più destinatari determinati. Taluni utilizzano l’espressione “obbligo” per comportamenti dovuti che non hanno ad oggetto un dare, ma un fare o di non fare o il dovere di fornire una garanzia. Si suole distinguere il carattere relativo del rapporto obbligatorio, rispetto alla assolutezza dei diritti reali, in cui elementi necessari sono l’oggetto e il soggetto.  Nell’obbligazione occorre individuare un soggetto attivo (creditore), un soggetto passivo (debitore) e un oggetto[1]. Si può affermare che non si possa configurare la nascita di un rapporto obbligatorio unisoggettivo, ove un consociato possa conseguire in modo indipendente da altri un interesse giuridicamente rilevante[2]. L’esame dell’aspetto soggettivo del rapporto obbligatorio richiede anche una riflessione sui criteri di individuazione dei soggetti del medesimo, i quali possono essere determinati, ma anche determinabili attraverso un criterio sufficientemente chiaro e in modo agevole, Si potrà avere una determinabilità immediata per relationem o una determinabilità in un momento cronologicamente successivo. Una ipotesi di determinabilità del soggetto dell’obbligazione per relationem si ha, per una interpretazione, nelle cc.dd. obbligazione propter rem.

L’obbligazione si sostanzia e contestualmente costituisce l’essenza in un rapporto giuridico, ossia una relazione intersoggettiva disciplinata da regole giuridiche, in virtù del quale un debitore deve adottare per un creditore un determinato comportamento (prestazione), che può identificarsi in un fare, in un non fare ovvero in un dare. Il diritto di credito è la pretesa tutelata all’esecuzione della prestazione a suo beneficio, e, specularmente, impone al debitore l’obbligo di porre in essere quella medesima prestazione.  La nomenclatura “obbligazione” è esito di una impostazione teorica che ritiene il dovere un prius logico e cronologico rispetto al diritto, considerando il secondo una conseguenza del primo. Siffatta prevalenza del rapporto debitorio su quello creditorio attualmente si considera superata a favore di una visione maggiormente equilibrata, dato che attualmente si ritiene che diritto del creditore e obbligo del debitore nascano nello stesso tempo, in applicazione della norma ricavabile da una determinata statuizione legislativa quale effetto congiunto della norma da cui scaturisce una fonte di obbligazione. Detto altrimenti, credito e debito appaiono come complementari. La priorità della posizione creditoria rispetto a quella debitoria si collega al diritto romano antico in base a cui il debitore, a seguito dell’inadempimento dell’obbligazione (ob-ligatus), ricade sotto la signoria del creditore e  può essere sottoposto a reclusione. Il Savigny permette una decisiva rielaborazione dell’obbligazione moderna attraverso un’emancipazione dalla precedente costruzione, che si sostanzia nell’idea dell’assoggettamento al dominium del creditore non più della persona del debitore, bensì del suo patrimonio, [3]

Il nostro Codice Civile del 1942 contiene una disciplina sull’obbligazione in generale, non scindendo fra le varie possibili fonti da cui la stessa può provenire. Può reputarsi che questa impostazione derivi dal fine di evitare una frammentazione di un istituto fondamentale per l’impalcatura del diritto civile. Si tratta di un criterio di redazione della disciplina ben diverso, rispetto a quello utilizzato nel codice civile tedesco, criterio che risulta più intenso dalla unificazione fra il codice del commercio e  del codice civile. Nel contesto dei sistemi di common law, si applica il criterio della suddivisione della disciplina, in base alla fonte da cui promana l’obbligazione (contratto o fatto illecito, secondo l’impostazione prevalente).

Va, peraltro, rilevato come la scelta di una disciplina generale, che sembra dare spazio al riconoscimento di una pari importanza di tutte le fonti di obbligazioni, è , a un esame attento, modellata sul presupposto del contratto come fonte di obbligazione, al punto che sono veramente tante le intersezioni fra disciplina delle obbligazioni e disciplina del contratto, che vanno integrate e interagiscono. Pertanto, il criterio, tendenzialmente scelto dal legislatore del 1942, è unificare la normativa sull’obbligazione e, contestualmente, creare una gerarchia, desumibile in via interpretativa, fra le stesse, ponendo il “contratto” come sorgente di obbligazione in una misura prioritaria riguardo all’individuazione dei criteri ermeneutici da creare, per risolvere i diversi nodi interpretativi della disciplina in oggetto.

Può ritenersi, pertanto, che l’impostazione sottesa a tale normativa sia il paradigma contrattuale, anche se in modo contestuale sembra emergere il tentativo di emancipare l’obbligazione dal contratto, attraverso la sopra menzionata unificazione della disciplina, anche per l’identità o l’affinità di contenuto fra svariati profili della disciplina dell’obbligazione a prescindere dalla fonte di creazione della stessa. Pertanto, l’unificazione della normativa è anche giustificabile come pragmatica esigenza di accorpare plessi normativi di contenuto sostanzialmente coincidente e s’identifica in ragioni di economia di creazione delle norme, ma ciò può anche, da altra angolazione, creare un assetto, il quale può essere foriero di problematiche d’interpretazione del dato normativo ricavabile dalla legislazione.

Va precisato che il concetto di obbligazione non ha solo un rilievo giuridico, ma anche economico e, principalmente proprio per tale ragione, crediti e debiti, nonché le loro interrelazioni, non possono essere concepiti come totalmente indipendenti dalle fonti, da cui gli stessi traggono origine. Pertanto, le norme sulle obbligazioni sono generali e astratte, ma non bisogna arrivare a dilatare questa nozione di “astrattezza”, fino al punto da prescindere dalle sorgenti dell’obbligazione. Le disposizioni sull’obbligazione, in particolare quelle indicante le fonti della medesima, costituiscono il prius logico e cronologico, perché si possa effettuare una indagine scientifica sull’obbligazione come categoria normativa.

All’interno dell’obbligazione vi è un soggetto attivo, un creditore, un soggetto passivo, il debitore, e un oggetto, ossia la prestazione dovuta.

Uno degli aspetti su cui occorre focalizzarsi, ove s’intenda analizzare l’istituto dell’obbligazione in termini di teoria generale, è il progressivo passaggio alla sottolineatura dell’importanza del ruolo del creditore e della tutela posta a suo favore, per concretizzare effettivamente il suo interesse, rispetto alla posizione del debitore, su cui si sono in precedenza prevalentemente costruite le nozioni e la terminologia in materia di obbligazioni. Progressivamente, e in coerenza con quanto testé affermato, si ridimensionano la rilevanza del soggetto-debitore e la correlativa ricostruzione della fisionomia della prestazione e della condotta del debitore.

Una visione completa della tematica dell’obbligazione richiede, in ogni modo, di esaminare partitamente e congiuntamente la posizione nel sistema sia della parte creditrice, sia di quella debitrice. Si contrappongono due orientamenti, non riducibili alla schematica dicotomia fra teorie patrimoniali e personali: quello che li concepisce come due distinti rapporti, che normalmente si congiungono nell’obbligazione civile, ma che possono anche manifestarsi disgiuntamente e quello che li considera due aspetti complementari del rapporto obbligatorio, inteso come unitario e non scindibile o scomponibile. L’orientamento che scinde il rapporto debitorio e quello creditorio, al fine di argomentare la distinzione, ricerca conferme di tale impostazione nella disciplina codicistica, configurando casi di debito senza responsabilità (obbligazioni naturali) e di responsabilità senza debito (fideiussione, pegno e ipoteca a garanzia di un debito soggetto a condizione sospensiva, con la configurazione di una responsabilità attuale per un debito non attuale) o configurando vicende di debito senza propria responsabilità o di responsabilità senza proprio debito (fideiussione, pegno e ipoteca di cosa altrui a garanzia di obbligazione naturale; pegno e ipoteca a garanzia di debito altrui). Si prendono, inoltre, in considerazione casi di  responsabilità limitata rispetto al debito o di discrasia temporale tra responsabilità e debito. In queste configurazioni in alcuni casi si rilevano forzature.

L’obbligazione, sotto l’aspetto soggettivo, richiede la presenza di due soggetti, ossia creditore e debitore. Tali soggetti, al momento del sorgere del rapporto obbligatorio, devono essere quantomeno individuabili. La legge dispone che l’oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica (ai sensi dell’art. 1174 c. civ.). La patrimonialità può identificarsi nella consegna di una somma di denaro, ma anche in una diversa condotta del debitore, con la contestuale esistenza di un criterio efficace e idoneo a “monetizzare” tale condotta. Peraltro, si può andare ancor più in profondità e ritenere che la valutazione economica abbia il carattere della patrimonialità non solo ove questo sia individuabile direttamente da essa, ma quando tale natura sia individuabile anche in base alla fisionomia della controprestazione. Si può ritenere presente il requisito della patrimonialità anche ove esso sia attribuito a una certa prestazione, la quale, sul piano dei parametri oggettivi, appaia non monetizzabile dalle parti come manifestazione di autonomia privata all’interno della stipula di un contratto sinallagmatico. Emerge, pertanto, una patrimonialità in senso oggettivo, quando esso carattere sia intrinseco alla prestazione dedotta in contratto, e una patrimonialità in senso soggettivo, quando tale connotato sia plasmato dalle parti in sede di autonomia privata. Entrambe le ipotesi sono sussumibili dell’art. 1174.

La scelta di tale caratteristica consente di discriminare l’obbligazione da altri obblighi giuridici di natura diversa, [4] come quelli familiari di natura non patrimoniale, quali l’obbligo di fedeltà. Ove la prestazione da effettuare sia a titolo gratuito (per es. mandato gratuito), in ogni caso occorre tener conto del costo che l’esecuzione della prestazione comporta a carico di chi la compie e, in tal senso, va percepita la “patrimonialità” della medesima, anche in termini di assunzione di spese e rinuncia all’effettuazione di attività, che avrebbero potuto comportare un vantaggio economico.

Si può abbozzare una classificazione delle prestazioni, a partire dalle obbligazioni di dare o consegnare, come nell’ipotesi del pagamento di una somma di denaro, il quale può derivare da contratto (pagamento del prezzo nel contratto di vendita) o da fatto illecito (obbligo di risarcire il danno per una violazione del principio del neminem laedere), o la consegna di un bene. Nell’ambito delle prestazioni di dare o di consegnare si possono inserire anche gli obblighi restitutori, i quali possono anch’essi essere di matrice aquiliana o contrattuale. Chi riceve un bene in locazione o in comodato deve restituire il medesimo, nel momento in cui vi sia la conclusione del contratto, così come chi riceve una somma senza averne titolo deve restituire quanto gli è stato consegnato (ripetizione dell’indebito, da considerarsi fonte di obbligazione di matrice extracontrattuale). Nell’ambito delle obbligazioni di consegna, l’oggetto può essere un bene non identificato specificamente (una certa quantità di denaro) o ben determinato (quello specifico terreno, con l’indicazione dei confini e dei dati catastali). Allorché si ha l’obbligo di dare una cosa determinata si ha quello contestuale di custodire fino alla consegna (art. 1177). Tale obbligo è inquadrabile nell’ambito delle obbligazioni di fare (cfr. infra nel testo). Questa adesso menzionata è una ipotesi diversa rispetto a quella della contrattualizzazione di un obbligo di custodia, ad esempio attraverso la stipula di un contratto di deposito o l’inserimento all’interno di un altro contratto di una clausola racchiudente un obbligo di custodire. In queste ipotesi la disciplina da applicare va identificata in quella del contratto stipulato (per esempio contratto di deposito o contratto cui accede la clausola racchiudente l’obbligo di custodire), eventualmente integrata da quella del contratto in generale e da quella dell’obbligazione in generale. Qualora l’obbligo di custodire acceda all’obbligo di consegnare un bene, senza la presenta di uno specifica contrattualizzazione dell’obbligo di custodia, si applica da disciplina generale dell’obbligazione. Quando venga in considerazione un obbligo di dare una cosa specifica solo nel genere, è necessario che il debitore consegni cose di qualità non inferiore alla media (art. 1178). Può definirsi approssimativamente la qualità media come  l’insieme di elementi che caratterizzano un bene individuato solo nel genere, la disposizione si collega concettualmente ai beni mobili, ma può anche accadere che, in concreto, si ponga la questione della sua applicazione all’alienazione di beni immobili come quando si alieni una porzione non identificata di un terreno più ampio (c.d. genus limitatum).

Si enuclea, altresì, come ulteriore ipotesi di oggetto di obbligazione,la prestazione di fare. E’ nota la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato; nella prima ipotesi, il debitore si obbliga a svolgere con diligenza una certa attività, senza garantire l’ottenimento di un risultato predefinito (si pensi al ruolo del medico). Si ha obbligazione del risultato quando l’oggetto ricomprende anche il risultato (si pensi al ruolo dell’appaltatore). Nella prima ipotesi, occorrerà fornire la prova dell’utilizzo della dovuta diligenza e, pertanto, il paradigma normativo sarà l’art. 1176. Nella seconda ipotesi, per andare esente da responsabilità, occorrerà provare la sopravvenuta impossibilità di conseguimento del risultato, ai sensi dell’art. 1218. Il mancato raggiungimento del risultato rileva talvolta anche nelle obbligazioni di mezzi, in rapporto alla dimostrazione della diligenza prestata dal debitore, introducendo una presunzione relativa di inadempimento, che può riguardare direttamente il Decidente, ad esempio quanto all’esecuzione di prestazione mediche di “ordinaria amministrazione”, in cui può presumersi che l’utilizzo da parte del Medico dell’ordinaria diligenza garantisca l’esito positivo dell’attività sanitaria, con la conseguenza che si inverte l’onere probatorio ed è il Medico a dover dimostrare di essere esente da responsabilità. In altre ipotesi, può trattarsi di una presunzione contrattuale, derivante da clausole che contengano la previsione di un “rendimento minimo” da parte del debitore, come nell’ipotesi dell’agente di commercio, considerato inadempiente se non concluda un certo numero di contratti all’interno di una certa area. Si configura la prestazione di contrattare, per esempio, nella promessa dell’obbligazione o del fatto di un terzo (art. 1381)[5]  la sentenza riportata in nota in materia di responsabilità medica è assai  importante a proposito dell’evoluzione giurisprudenziale relativa alla dicotomia obbligazioni di mezzi – obbligazioni di risultato. Il paziente, per dimostrare la responsabilità del sanitario per l’aggravamento di una patologia. Detto altrimenti, il creditore-danneggiato deve dimostrare la causalità materiale, ossia il nesso naturalistico fra gli accadimenti. Secondo il Giudice nomofilattico non si può scindere la causalità materiale dall’inadempimento, da identificarsi con la lesione dell’interesse protetto. La causalità giuridica regola il rapporto fra evento di danno e interessi risarcibili. allegare l’inadempimento significa anche allegare nesso di causalità materiale e danno evento. Peraltro, ciò vale per le obbligazioni di dare e fare, ma quando venga in considerazione una prestazione professionale, quale quella medica, la relazione fra condotta ed evento va analizzata anche sotto il prisma della causalità materiale. Nella prestazione di “facere” professionale si riscontra un interesse preesistente rispetto a quello contrattualizzato. Nelle professioni si riscontra un interesse primario accanto a un interesse strumentale; il medico non può garantire con certezza la guarigione del paziente, così come l’avvocato non può garantire la vittoria della lite; ma guarigione e vittoria della lite non, sono tipicamente connesse con l’interesse regolato.

L’interesse primario (alla salute, alla vittoria della lite), si collega alla programmazione negoziale, rilevante sul piano della causa del contratto.

In questo tipo di obbligazione il danno evento s’identifica con la lesione dell’interesse presupposto e non dell’interesse in cui si sostanzia la prestazione. Allegare l’inadempimento del debitore non implica la dimostrazione  della presenza del danno-evento, che oltrepassa la dimensione della prestazione. Sarà, di conseguenza, necessario per il creditore, ai fini di ottenere tutela, dimostrare il nesso eziologico fra la condotta e la lesione dell’interesse giuridicamente anteriore a quello collegato alla prestazione e presupposto, il che, nell’ipotesi della responsabilità medica, consisterà nell’intensificazione dello stato patologico o nella genesi di nuove patologie. In questa fase il danneggiante, per andare esente da responsabilità, dovrà dimostrare l’adempimento, il quale presuppone l’adozione di un’adeguata diligenza, scandita nelle consolidate dimensioni della prudenza, perizia, prudenza e/o l’accadimento di una causa di forza maggiore o di un caso fortuito, tali da determinare la sopravvenuta impossibilità della prestazione. La causalità afferisce al danno-evento e alla impossibilità di adempiere.

Può enuclearsi la categoria più ampia dell’obbligazione negativa, la quale può consistere in un “non fare” o in un “non dare”. Il comportamento omissivo del debitore, oltre a portare un vantaggio obiettivo alla sfera giuridica del creditore, deve essere compatibile con la dignità del debitore. Le obbligazioni in parola mirano al mantenimento della situazione esistente, con una contestuale restrizione alla libertà dell’obbligato, come nella clausola contrattuale di non concorrenza in cui il debitore si impegna a evitare d’intraprendere un’attività, la quale possa comportare uno sviamento di clientela, per un altro imprenditore. Pertanto, talvolta si stabilisce espressamente che esse obbligazioni debbano avere una durata limitata nel tempo. Le obbligazioni negative s’identificano in un comportamento negativo, ossia in un non facere o in un pati. Oggetto della prestazione è il non verificarsi di un determinato atto o fatto (ad es., prestazione di non edificare, di non alienare). Permanendo l’inattività del debitore, l’obbligazione non si esteriorizza. L’inadempimento si realizza allorché il debitore si attivi in quella condotta al medesimo preclusa, in ragione dell’obbligazione negativa, costringendo il creditore ad agire giudiziariamente, per ottenere la rimessione in pristino, quando la medesima sia giuridicamente conseguibile. L’obbligazione in parola è esclusa dall’applicazione dell’istituto della mora del debitore, derivante dal ritardo nell’adempimento, poiché ogni violazione dell’obbligo di non fare o non dare costituisce inadempimento definitivo e, pertanto, [6] (art.1222). Andando maggiormente in profondità, è ammissibile l’ipotesi in cui il singolo atto posto in violazione dell’obbligazione negativa non pregiudichi la possibilità di un inadempimento successivo, in quanto vi può, successivamente, essere la rimozione della violazione, la sospensione dell’attività e un risarcimento del danno. In materia di onere probatorio, secondo che l’obbligazione sia positiva o negativa, le SS.UU della Cassazione affermano che In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento. (Nell’affermare il principio di diritto che precede, le SS. UU. della Corte hanno ulteriormente precisato che esso trova un limite nell’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell’inadempimento stesso è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l’adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento)[7].

Oggetto dell’obbligazione può essere anche una prestazione di non fare, come nell’ipotesi dell’imprenditore che si obblighi contrattualmente, verso un altro imprenditore, di non fargli concorrenza. L’art. 2931 stabilisce: “Se non è adempiuto un obbligo di fare, l’avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell’obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile”. E’ noto, e si desume esplicitamente da questa norma,  come sia previsto un sistema forma di esecuzione forzata “in forma specifica” per tutelare un diritto coattivamente. Peraltro, la disposizione può riguardare solo gli obblighi di fare fungibili, ossia in cui non abbia un rilievo decisivo l’elemento soggettivo, in rapporto all’esecuzione della prestazione. Si prescinde dalla essenza del diritto da cui scaturisce l’obbligo di fare o di non fare non attuato, centrando l’attenzione sulla prestazione dovuta, realizzabile in via coattiva dal soggetto obbligato o da un terzo, che si sostituisce al primo, . Questo modello è incompatibile con l’ipotesi in cui la prestazione sia infungibile, ossia non eseguibile da un terzo, o corrispondente ad un obbligo in cui abbia un elemento decisivo l’intuitus personae come pure la prestazione consistente in un’attività negoziale fiduciaria.. L’art.2933 Cod. Civ. dispone ancora che “Se non è adempiuto un obbligo di non fare, l’avente diritto può ottenere che sia distrutto, a spese dell’obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell’obbligo. Non può essere ordinata la distruzione della cosa e l’avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale”. Diversamente dalle obbligazioni di facere di cui sopra, qui non si pongono problemi di fungibilità, perché la distruzione di quanto fatto come diretta violazione di un obbligo di non fare, non adempiendo correttamente all’obbligo, viene senza dubbio posta in essere da protegge quanto agli obblighi (positivi) di non facere, suscettibili di esecuzione in forma specifica a condizione che la loro violazione consista nella creazione di un “elemento nuovo” (come la costruzione di un cancello), che possa essere eliminato senza la collaborazione dell’obbligato. Talvolta, quanto è stato compiuto contro un obbligo, può nuocere alle ragioni del privato, ma recare contestualmente utilità all’economia nazionale. In tali casi il diritto del singolo — del resto tutelato attraverso il risarcimento del danno — deve cedere all’interesse della collettività: infatti l’art. 2933, secondo comma prevede che, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale, la distruzione non può essere ordinata. La disposizione s’informa al principio fondamentale della codificazione fascista che la tutela dei diritti subiettivi privati deve trovare il suo limite nella necessità di tutela delle esigenze della collettività e degli interessi generali”.

Si sono elaborate delle penetranti critiche alla distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, sulla base del ragionamento secondo cui l’attuazione di un comportamento diligente senza che si ottenga il risultato implica la mancata conseguibilità dello stesso. Ne consegue che il debitore risponde per la sua condotta colposa e si supera l’utilizzo di due differenti paradigmi normativi (rispettivamente artt. 1176 e 1218). Si aggiunga che, talora, appare complesso distinguere tra obbligazioni di mezzi e di risultato, come  accade per le obbligazioni del mandatario e del depositario, che vengono inquadrate in modo non univoco fra le obbligazioni di mezzi o quelle di risultato. Seguendo questi argomenti la sopraccitata distinzione sfuma e il debitore risponde per la sua condotta colposa.

L’attitudine della prestazione, oggetto di obbligazione, a essere monetizzata non implica necessariamente il collegamento con un interesse patrimoniale del creditore. L’art. 1174 contempla in modo esplicito l’ipotesi che l’interesse in esame sia di natura non patrimoniale e ciò può creare una prima difficoltà nell’interpretazione della disposizione, nella quale può cogliersi un’apparente contraddizione. Più esattamente, si tratta di un’asimmetria, non di una contraddizione, perché è intuibile che chi paga un biglietto per assistere a una rappresentazione teatrale esegue una prestazione suscettibile di valutazione economica, per soddisfare un proprio interesse culturale. Si ritiene che la presenza di un interesse del creditore sia componente necessario della struttura dell’obbligazione, con la conseguenza che il rapporto obbligatorio si costituisce solo se vi è questo presupposto[8]. Il rapporto, altresì, permane, a condizione che l’interesse del creditore persista. Secondo una diversa esegesi, i requisiti di esistenza dell’obbligazione possono essere ricercati solo nell’art.1173 del cod. civile, il quale si riferisce ad atti o fatti idonei a produrre obbligazione, mentre l’art. 1174 incorpora sul terreno delle obbligazione un requisito di pertinenza della normativa sul contratto in generale, in quanto l’interesse del creditore ex art. 1174 s’identifica, secondo un’opinione, con l’interesse meritevole di tutela che, in base all’art. 1322, 2° c., consente la conclusione di contratti atipici o di inserimento di clausole atipiche all’interno di un contratto tipico. il venir meno dell’interesse del creditore estingue l’obbligazione solo ove si converta in inefficacia della fonte di obbligazione.. L’art. 1174 sintetizza la trasposizione di un requisito delle obbligazioni da contratto alle ulteriori fonti di obbligazioni[9].

E’ legittima la domanda sulla ragion d’essere della previsione della patrimonialità della prestazione e si opina che attraverso questa previsione si possa parametrare l’eventuale obbligo risarcitorio[10]. In tal modo si crea una frattura rispetto alla necessità, potrebbe affermarsi di matrice costituzionale, di ristorare il creditore per il pregiudizio effettivamente subìto, il quale può anche essere economicamente più o meno intenso rispetto al valore patrimoniale della prestazione eseguita dal debitore. A una valutazione in termini oggettivi del requisito della patrimonialità andrà anteposta una valutazione in termini soggettivi, o una sapiente integrazione dei due approcci, tenendo conto del corrispettivo monetario che le parti hanno fissato nel rapporto obbligatorio, il quale può diversificarsi anche da un  valore di mercato oggettivamente percepibile. L’art. 1174 ha la funzione di delimitare l’ambito di applicazione dell’obbligazione a quei rapporti che s’inquadrano nella sfera patrimonialistica, con particolare riferimento alle fonti di obbligazione di matrice non contrattuale, in quanto pre-esiste nel Legislatore una consapevolezza del ruolo del contratto nel settore patrimonialistico.

Si è rilevato come il codice civile del 1942, pur tenendo presente per la disciplina generale dell’obbligazione la normativa sul contratto, abbia creato un unico modello di riferimento, quale che sia l’origine dell’obbligazione stessa. L’art. 1173 cod. civ. indica le fonti di obbligazione. Va osservato come il contratto non sia solo fonte di obbligazione, ma anche modo di acquisto della proprietà, ad esempio, nella vendita vi è il trasferimento della proprietà dal venditore al compratore e, contestualmente, la stessa fa nascere l’obbligazione del venditore di consegnare la cosa, sinallagmatica rispetto a quella del compratore di pagare il prezzo. Si può estendere il ragionamento, distinguendo fra contratti con effetti reali e contestualmente traslativi (vendita, permuta) e  contratti con effetti solamente obbligatori (per esempio, comodato). Questa distinzione appare maggiormente conforme al diritto positivo, rispetto a quella talora proposta fra contratti con effetti reali e contratti con effetti obbligatori.

L’art. 1173 indica come ulteriore fonte di obbligazione tipica il “fatto illecito”, così come delineato dall’art. 2043 cod. civ., ossia il fatto che cagiona a terzi un danno ingiusto, che, a seguito di un percorso evolutivo, dalle “mobili frontiere”, si è progressivamente esteso anche alla lesione dei diritti relativi e degli interessi legittimi (dopo la nota pronunzia della cassazione a SS. UU. n.500 del 1999). Il fatto illecito differisce dal contratto, perché non è una fonte volontaria di obbligazione. Non sempre è l’Autore del fatto a rispondere per l’obbligazione, allorché venga in considerazione la sua capacità d’intendere e volere, la minore età o la sottoposizione a  tutela. Sussiste anche una responsabilità per “culpa in vigilando”, a carico dei precettori per il fatto illecito di allievi e apprendisti (art. 2048). l’art. 2049 delinea la responsabilità di padroni (termine un poco da superare) e committenti per i danni causati dal fatto illecito di domestici e commessi, nell’esercizio delle attività per le quali sono stati incaricati. Si dibatte se le sopra menzionate responsabilità da obbligazione siano di natura oggettiva, ossia tali da prescindere da un coefficiente soggettivo, o se introducano una presunzione di colpa, da vincere, attraverso uno spostamento dell’onere probatorio.

Ai sensi dell’art. 1173 cod. civ., un’obbligazione può nascere da ogni altro atto o fatto, idoneo a produrla, secondo l’ordinamento giuridico. Si riprende la classificazione accolta dal giurista romano Gaio (fr.1, pr. D,44,7), in cui emerge la distinzione fra obbligazioni da contratto, da delitto e da varie causarum figurae. Si rifiuta il modello giustinianeo, presente all’interno del Corpus iuris civilis, in cui si distingue fra obbligazione, da “contratto”, da “quasi contratto”, da “delitto”, da”quasi delitto”. Può rilevarsi una differenza di previsione rispetto a quella contemplata nel codice civile del 1865, in cui, ai sensi dell’art. 1097, riprendeva proprio la quadripartizione presente nel “Corpus iuris civilis” giustinianeo, nella quale viene inserito un elenco tassativo[11]. Dall’art. 1173 dell’attuale codice del 1942 sembra potersi desumere la presenza di una elencazione di carattere non tassativo, ma elastico, con l’introduzione di clausole generali (atti o fatti idonei a produrre obbligazioni), da cui è possibile trarre un paradigma, per la costruzione di fonti di obbligazione ulteriori, rispetto a quelle dettagliatamente codificate, anche in rapporto al paradigma costituzionale dell’utilità sociale,[12] da considerarsi non solo afferente all’esercizio del diritto di proprietà, ma anche ai diritti di credito, in considerazione della circostanza che la nostra Carta costituzionale pone la persona al centro del suo tessuto normativo. La conclusione cui si perviene, pertanto, è nel senso che l’art. 1173 cod. civ. legittimi le fonti di obbligazione atipiche o innominate, ossia non espressamente oggetto di una compiuta disciplina del codice civile o di altra legge. E’ coerente con questa affermazione che a tali obbligazioni nascenti da fonti atipiche vada applicata la disciplina dell’obbligazione in generale. L’espressione ogni atto a fatto giuridico, contenuta nell’art. 1173 c. civ. è una disposizione di chiusura che dà spazio sia alle fonti nominate sia a quelle innominate di obbligazioni. Ai fini della nascita di un’obbligazione, non inquadrabile in una delle fonti tipizzate, sarà necessario il contributo di una “atto o fatto” dell’obbligato, concretamente attuato. Appare di importanza notevole il riferimento al parametro dell’ordinamento giuridico, contemplato nell’art. 1173, che dà spazio anche, oltre agli usi normativi e i regolamenti, alle disposizioni rinvenibili nella Costituzione[13] e, può aggiungersi, nel diritto sovranazionale.

Tra le fonti di obbligazione diverse da contratto e fatto illecito “tipiche” possono ricomprendersi: le promesse unilaterali (art. 1987), la gestione di affari altrui (art. 2028), il pagamento dell’indebito (art. 2033), l’arricchimento senza causa (art. 2041), la promessa al pubblico (art. 1989), l’obbligo di prestare gli alimenti (art. 433), l’obbligo del possessore di mala fede di restituire i frutti (art. 1148) o del proprietario di rimborsare il possessore per le spese affrontate. Va osservato che, spesso, più fonti possono concorrere nella produzione di un’obbligazione. Un esempio chiaro della frequente possibilità di questo concorso è quello in cui la responsabilità per inadempimento nasce congiuntamente dal contratto stipulato e dal fatto giuridico dell’inadempimento. Il concorso fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, e il conseguente possibile esercizio congiunto delle pertinenti azioni, si è concentrato in modo prevalente nel trasporto e nel contratto del professionista intellettuale. Si rifletta sulla circostanza che il vettore può rispondere  per danni a cose o persone trasportate sia per inadempimento contrattuale, in rapporto agli obblighi nascenti dal contratto di trasporto, sia per fatto illecito, in rapporto alla violazione del principio del neminem laedere. L’ammissibilità del suddetto concorso di azioni assume importanza, in particolare, in punto di prescrizione, in quanto, ove si prescriva l’azione fondata sulla responsabilità extracontrattuale, con prescrizione quinquennale, permane la possibilità di proseguire giudiziariamente con l’altra azione di matrice contrattualistica (con prescrizione decennale).

Nelle codificazioni ottocentesche viene configurata una “obbligazione ex lege”, ma tale nozione è scomparsa nella vigente legislazione. E’ rimasto il riferimento all’ordinamento giuridico nel testo dell’art. 1174, e questo, per produrre obbligazione, necessita dell’interposizione di un atto o di un fatto idonei. Secondo alcuni Studiosi[14], la categoria dell’obbligazione ex lege è da considerarsi ancora vigente. In particolare, si fa ricorso a tale figura quando emerge un’obbligazione non inquadrabile nella quadripartizione di matrice romanistica, ricomprendente le obbligazioni da contratto, da delitto (fatto illecito), quasi-contratto, quasi-delitto. Si tratta di un’obbligazione, non rinvenente una base nella tradizione, quando una determinato presupposto fattuale sia considerato fonte di obbligazione in base a una contingente scelta del legislatore anche di natura politica. Un’altra opinione[15] ritiene di negare l’attuale configurabilità autonoma della categoria del’obbligazione ex lege, in quanto è pur sempre necessario che alla legge si interponga un fatto o un atto giuridico, perché sorga l’obbligazione Può aggiungersi che l’espressione “ordinamento giuridico” presente nel testo dell’art. 1173, è più ampia di quella di legge, e ricomprende anche gli usi e i regolamenti (cfr. art. 1 preleggi)[16]: infatti, per esempio, i contratti di borsa sono fonti di obbligazioni regolati in gran parte da usi normativi. Si potrebbe giungere a una conclusione diversa, interpretando in senso estensivo l’espressione “legge”, presente all’interno della locuzione “obbligazione ex lege”, ricomprendendovi non solo la legge, ma anche fonti del diritto ulteriori, quali i regolamenti e gli usi. In tal modo, questa controversa categoria si potrebbe considerare coerente con il disposto dell’art. 1173 cod. civ. e, tendenzialmente, reputarsi incorporabile nell’espressione “ordinamento giuridico” nel medesimo utilizzata. La fonte di obbligazione innominata produce effetti sulla base della considerazione complessiva dell’ordinamento, anche in chiave evolutiva (cfr. Cass. 28233/2017). Fonti di obbligazione innominate possono essere certe disposizioni testamentarie, gli “atti leciti dannosi”, come quando si viola la disposizione sulle immissioni ex art. 844 superando la normale tollerabilità per esigenze della produzione, ipotesi in cui si configura l’obbligazione di indennizzare chi subisce le immissioni. Un’ipotesi di obbligazione innominata particolarmente pregnante è quella derivante dal c.d.”contatto sociale qualificato”, categoria in base a cui, pur non instaurandosi fra due soggetti un vincolo contrattuale, si crea un assetto che giustifica che un soggetto possa far”affidamento” in senso giuridico su un altro soggetto.

In ipotesi diverse da quelle esaminate fino ad adesso può riscontrarsi il cumulo di responsabilità, quando, ad esempio, lo stesso fatto giuridicamente rilevante si traduce in un  inadempimento, fonte di una responsabilità contrattuale (art. 1218) e in una condotta illecita, fonte di responsabilità aquiliana (art. 2043), in quanto lesiva del principio del neminem laedere. Vi sarà una possibilità di scelta per il creditore, in relazione alla questione se agire a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, così come è ammesso il concorso fra azione per responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Il cumulo garantisce una maggior possibilità di protezione per il creditore-danneggiato, ove, per esempio, si consideri che il termine di prescrizione della responsabilità contrattuale è quinquennale, ma, ove vi sia concorso di azioni, residua per il danneggiato la possibilità di avvalersi della azione per responsabilità aquiliana, che si prescrive in dieci anni. Potrà essere anche conveniente l’ipotesi opposta, secondo il caso concreto, di utilizzo del termine di prescrizione ordinaria attinente alla responsabilità contrattuale.[17] In giurisprudenza si è valutata l’ipotesi di azione congiunta a titolo contrattuale e aquiliano, in particolare quanto ai contratti di trasporto.[18]

L’art. 1175 cod. civ. si occupa di una prestazione accessoria, riguardante sia creditore, sia debitore, con riferimento all’esigenza di un comportamento reciproco di correttezza, la cui fisionomia concreta andrà modulata, tenendo conto del rapporto giuridico che viene in considerazione. Emerge ancora una volta il legame tra disciplina dell’obbligazione e disciplina del contratto anche quanto a quest’aspetto, perché l’obbligo di correttezza può considerarsi un’espansione del principio di buona fede nelle trattative pre-contrattuali (art. 1337), nell’interpretazione ed esecuzione del contratto (artt. 1366 e 1375), nella pendenza della condizione e nell’eccezione di adempimento (artt. 1358, art. 1460 , 2° c.). Buona fede e correttezza sono complementari (forse anche sinonimi) e sono paradigmi applicabili a tutte le fonti di obbligazione, in virtù della previsione dell’art. 1175 c. civ.. Una delle possibili applicazioni del dovere di correttezza si concretizza nell’esigenza che ciascun protagonista del rapporto obbligatorio informi l’altro riguardo alla sopravvenienza di circostanze, che possono rendere più agevole l’esecuzione della prestazione. Pertanto, la correttezza si converte anche in collaborazione. Può ritenersi che la buona fede –correttezza sia strumento di integrazione del contenuto dell’obbligazione, implicando la medesima ulteriori obblighi accessori da porre accanto all’obbligo principale, come il sopra citato dovere di informazione, il dovere di custodia, di sicurezza, di avviso e comunicazioni. [19]

 

 

 

 

 


[1] Cfr. CANNATA, Le obbligazioni in generale, in Trattato Rescigno, 1984, 16 e passim
[2] Cfr. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli 2021, pagg. 559 e ss., il quale asserisce che quanto esposto nel testo sia confermato dall’art. 1253, il quale configura la “confusione” come causa di estinzione dell’obbligazione, quando  la qualità di debitore e creditore si riuniscono nella stessa persona. L’Autore rileva come si siano riscontrate talune ipotesi normative eccezionali, in cui non è operativo il principio della confusione come causa estintiva dell’obbligazione (cfr. PUGLIATTI, Diritto civile, 1951, pag. 425), come nell’ipotesi di accettazione con beneficio d’inventario dell’eredità del de cuius o quando l’esito della circolazione della cambiale, sulla base delle successive girate, sia il ritorno presso l’emittente, la quale potrà ritrasferire la medesima cambiale mediante girata. In ogni modo le singole fattispecie presentano una fisionomia specifica e possono inquadrarsi senza ricorrere alla ricostruzione del rapporto giuridico unisoggettivo. L’accettazione con beneficio d’inventario crea uno schermo giuridico tra patrimonio dell’erede e patrimonio dell’eredità. Il fenomeno descritto riguardo alla cambiale può spiegarsi alla luce della circolazione dei titoli di credito mediante una serie continua di girate.
[3] sulle obbligazioni in diritto romano v. M. TALAMANCA, Obbligazioni (diritto romano), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 1 ss.); in generale sull’evoluzione storica del concetto di obligatio v. U. BRECCIA, Le obbligazioni, in Tratt. di dir. priv., G. Iudica, P. Zatti (a cura di), Milano, 1991, 16 ss.).
[4] Cfr. RESCIGNO, Obbligazioni, (nozioni), in ED, XXIX, Milano, 1979, 138;  BRECCIA, Le obbligazioni in Trattato Iudica -Zatti
[5] Sulla distinzione fra obbligazione di mezzi e di risultato cfr. Cassazione Civile Sez III, 11 novembre 2019, nn. 28991 e 28992 – Pres. Travaglino, Est. Scoditti “Ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione.
Motivi della decisione – 1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1218,2043,2697 e 1123 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che il creditore deve provare solo la sussistenza del contratto ed allegare l’inadempimento del medico e che, sulla base della regola del “più probabile che non”, doveva ritenersi che lo stafilococco era stato necessariamente trasmesso con uno strumento chirurgico non adeguatamente sterilizzato e/o causa di una o più delle numerose atrocentesi.
1.1. Il motivo è infondato. La questione posta dal motivo di censura attiene al rapporto fra responsabilità contrattuale nel campo medico e causalità materiale. Negare che incomba sul paziente creditore di provare l’esistenza del nesso di causalità fra l’inadempimento ed il pregiudizio alla salute, come si assume nel motivo, significa espungere dalla fattispecie costitutiva del diritto l’elemento della causalità materiale. Di contro va osservato che la causalità relativa tanto all’evento pregiudizievole, quanto al danno conseguenziale, è comune ad ogni fattispecie di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, quale portato della distinzione fra causalità ed imputazione.
La causalità attiene al collegamento naturalistico fra fatti accertato sulla base delle cognizioni scientifiche del tempo ovvero su basi logico-inferenziali. Essa attiene alla relazione probabilistica (svincolata da ogni riferimento alla prevedibilità soggettiva) tra condotta ed evento di danno (e fra quest’ultimo e le conseguenze risarcibili), da ricostruirsi secondo un criterio di regolarità causale, integrato, se del caso, da quelli dello scopo della norma violata e dell’aumento del rischio tipico, previa analitica descrizione dell’evento (cfr. Cass. sez. U. 11 gennaio 2008, n. 576 pag. 13 e Cass. 11 luglio 2017, n. 17084), mentre su un piano diverso si colloca la dimensione soggettiva dell’imputazione. Quest’ultima corrisponde all’effetto giuridico che la norma collega ad un determinato comportamento sulla base di un criterio di valore, che è rappresentato dall’inadempienza nella responsabilità contrattuale e dalla colpa o il dolo in quell’aquiliana (salvo i casi di imputazione oggettiva dell’evento nell’illecito aquiliano – artt. 2049,2050,2051 e 2053 c.c.).
Che la causalità materiale si iscriva a pieno titolo anche nella dimensione della responsabilità contrattuale trova una testuale conferma nell’art. 1227 c.c., comma 1, che disciplina proprio il fenomeno della causalità materiale rispetto al danno evento sotto il profilo del concorso del fatto colposo del creditore (Cass. 19 luglio 2018, n. 19218; 21 luglio 2011, n. 15991), mentre il comma 2 attiene, come è noto, alle conseguenze pregiudizievoli del danno evento (c.d. causalità giuridica). Ogni forma di responsabilità è dunque connotata dalla congiunzione di causalità ed imputazione. Su questo tronco comune intervengono le peculiarità della responsabilità contrattuale.
1.1.1. Il tratto distintivo della responsabilità contrattuale risiede nella premessa della relazionalità, da cui la responsabilità conseguente alla violazione di un rapporto obbligatorio. Il danno derivante dall’inadempimento dell’obbligazione non richiede la qualifica dell’ingiustizia, che si rinviene nella responsabilità extracontrattuale, perché la rilevanza dell’interesse leso dall’inadempimento non è affidata alla natura di interesse meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico, come avviene per il danno ingiusto di cui all’art. 2043 c.c. (cfr. Cass. Sez. U. 22 luglio 1999, n. 500), ma alla corrispondenza dell’interesse alla prestazione dedotta in obbligazione (arg. ex art. 1174 c.c.). E’ la fonte contrattuale dell’obbligazione che conferisce rilevanza giuridica all’interesse regolato.
Se la soddisfazione dell’interesse è affidata alla prestazione che forma oggetto dell’obbligazione vuol dire che la lesione dell’interesse, in cui si concretizza il danno evento, è cagionata dall’inadempimento.
La causalità materiale, pur teoricamente distinguibile dall’inadempimento per la differenza fra eziologia ed imputazione, non è praticamente separabile dall’inadempimento, perché quest’ultimo corrisponde alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto e dunque al danno evento. La causalità acquista qui autonomia di valutazione solo quale causalità giuridica, e dunque quale delimitazione del danno risarcibile attraverso l’identificazione del nesso eziologico fra evento di danno e danno conseguenza (art. 1223 c.c.). L’assorbimento pratico della causalità materiale nell’inadempimento fa si che tema di prova del creditore resti solo quello della causalità giuridica (oltre che della fonte del diritto di credito), perchè, come affermato da Cass. Sez. U. 30 ottobre 2001 n. 13533 del 2001, è onere del debitore provare l’adempimento o la causa non imputabile che ha reso impossibile la prestazione (art. 1218 c.c.), mentre l’inadempimento, nel quale è assorbita la causalità materiale, deve essere solo allegato dal creditore. Non c’è quindi un onere di specifica allegazione (e tanto meno di prova) della causalità materiale perché allegare l’inadempimento significa allegare anche nesso di causalità e danno evento.
Tale forma del rapporto fra causalità materiale e responsabilità contrattuale attiene tuttavia allo schema classico dell’obbligazione di dare o di fare contenuto nel codice civile. Nel diverso territorio del facere professionale la causalità materiale torna a confluire nella dimensione del necessario accertamento della riconducibilità dell’evento alla condotta secondo le regole generali sopra richiamate. Sul punto valgono le seguenti considerazioni.
1.1.2. Se l’interesse corrispondente alla prestazione è solo strumentale all’interesse primario del creditore, causalità ed imputazione per inadempimento tornano a distinguersi anche sul piano funzionale (e non solo su quello strutturale) perchè il danno evento consta non della lesione dell’interesse alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, ma della lesione dell’interesse presupposto a quello contrattualmente regolato. La distinzione fra interesse strumentale, affidato alla cura della prestazione oggetto di obbligazione, ed interesse primario emerge nel campo delle obbligazioni di diligenza professionale. La prestazione oggetto dell’obbligazione non è la guarigione dalla malattia o la vittoria della causa, ma il perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore. Il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie attinge non l’interesse affidato all’adempimento della prestazione professionale, ma quello presupposto corrispondente al diritto alla salute.
Benché guarigione dalla malattia o vittoria della causa non siano dedotte in obbligazione, esse non costituiscono un motivo soggettivo che resti estrinseco rispetto al contratto d’opera professionale, ma sono tipicamente connesse all’interesse regolato perché la possibilità del loro soddisfacimento è condizionata dai mutamenti intermedi nello stato di fatto determinati dalla prestazione professionale. L’interesse corrispondente alla prestazione oggetto di obbligazione ha natura strumentale rispetto ad un interesse primario o presupposto, il quale non ricade nel motivo irrilevante dal punto di vista contrattuale perché non attiene alla soddisfazione del contingente ed occasionale bisogno soggettivo ma è connesso all’interesse regolato già sul piano della programmazione negoziale e dunque del motivo comune rilevante al livello della causa del contratto. Non c’è obbligazione di diligenza professionale del medico o dell’avvocato se non in vista, per entrambe le parti, del risultato della guarigione dalla malattia o della vittoria della causa.
Dato che il danno evento nelle obbligazioni di diligenza professionale riguarda, come si è detto, non l’interesse corrispondente alla prestazione ma l’interesse presupposto, la causalità materiale non è praticamente assorbita dall’inadempimento. Quest’ultimo coincide con la lesione dell’interesse strumentale, ma non significa necessariamente lesione dell’interesse presupposto, e dunque allegare l’inadempimento non significa allegare anche il danno evento il quale, per riguardare un interesse ulteriore rispetto a quello perseguito dalla prestazione, non è necessariamente collegabile al mancato rispetto delle leges artis ma potrebbe essere riconducibile ad una causa diversa dall’inadempimento.
La violazione delle regole della diligenza professionale non ha dunque un’intrinseca attitudine causale alla produzione del danno evento. Aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie non sono immanenti alla violazione delle leges artis e potrebbero avere una diversa eziologia. Si riespande così, anche sul piano funzionale, la distinzione fra causalità ed imputazione soggettiva sopra delineata. Persiste, nonostante l’inadempienza, la questione pratica del nesso eziologico fra il danno evento (lesione dell’interesse primario) e la condotta materiale suscettibile di qualificazione in termini  di inadempimento. Il creditore ha l’onere di allegare la connessione puramente naturalistica fra la lesione della salute, in termini di aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie, e la condotta del medico e, posto che il danno evento non è immanente all’inadempimento, ha anche l’onere di provare quella connessione, e lo deve fare sul piano meramente naturalistico sia perchè la qualifica di inadempienza deve essere da lui solo allegata, ma non provata (appartenendo gli oneri probatori sul punto al debitore), sia perché si tratta del solo profilo della causalità materiale, il quale è indifferente alla qualifica in termini di valore rappresentata dall’inadempimento dell’obbligazione ed attiene esclusivamente al fatto materiale che soggiace a quella qualifica. La prova della causalità materiale da parte del creditore può naturalmente essere raggiunta anche mediante presunzione.
Argomentare diversamente, e cioè sostenere che anche nell’inadempimento dell’obbligazione di diligenza professionale non emerga un problema pratico di causalità materiale e danno evento, vorrebbe dire implicitamente riconoscere che oggetto della prestazione è lo stato di salute in termini di guarigione o impedimento della sopravvenienza dell’aggravamento o di nuove patologie, ma ciò non è perché il parametro per valutare se c’è stato inadempimento dell’obbligazione professionale è fornito dall’art. 1176 c.c., comma 2, il quale determina il contenuto della prestazione in termini di comportamento idoneo per il conseguimento del risultato utile. Per riprendere le parole di un’autorevole dottrina della metà del secolo scorso, la guarigione o l’impedimento della sopravvenienza dell’aggravamento o di nuove patologie dipendono troppo poco dalla volontà del medico e dalla collaborazione del malato perché possano essere dedotte in obbligazione. Lo stato di salute, come si è detto, integra la causa del contratto, ma l’obbligazione resta di diligenza professionale.
La causalità materiale nella disciplina delle obbligazioni non è così soltanto causa di esonero da responsabilità per il debitore (art. 1218 c.c.), e perciò materia dell’onere probatorio di quest’ultimo, ma è nelle obbligazioni di diligenza professionale anche elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio ove risulti allegato il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie. Il creditore di prestazione professionale che alleghi un evento di danno alla salute, non solo deve provare quest’ultimo e le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (c.d. causalità giuridica), ma deve provare anche, avvalendosi eventualmente pure di presunzioni, il nesso di causalità fra quell’evento e la condotta del professionista nella sua materialità, impregiudicata la natura di inadempienza di quella condotta, inadempienza che al creditore spetta solo di allegare.
1.1.3. Una volta che il creditore abbia provato, anche mediante presunzioni, il nesso eziologico fra la condotta del debitore, nella sua materialità, e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie, sorgono gli oneri probatori del debitore, il quale deve provare o l’adempimento o che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile. Emerge così un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il nesso di causalità materiale che il creditore della prestazione professionale deve provare è quello fra intervento del sanitario e danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie; il nesso eziologico che invece spetta al debitore di provare, dopo che il creditore abbia assolto il suo onere probatorio, è quello fra causa esterna, imprevedibile ed inevitabile alla stregua dell’ordinaria diligenza di cui all’art. 1176, comma 1, ed impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale (art. 1218). Se la prova della causa di esonero è stata raggiunta vuol dire che l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di una nuova patologia è si eziologicamente riconducibile all’intervento sanitario, ma il rispetto delle leges artis è nella specie mancato per causa non imputabile al medico. Ne discende che, se resta ignota anche mediante l’utilizzo di presunzioni la causa dell’evento di danno, le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale, se invece resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale, ovvero resta indimostrata l’imprevedibilità ed inevitabilità di tale causa, le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore.
E’ bene rammentare che tali principi si collocano nell’ambito delle regole sull’onere della prova, le quali assumono rilievo solo nel caso di causa rimasta ignota. Si tratta quindi della regola residuale di giudizio grazie alla quale la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento, anche in via presuntiva, della sussistenza o insussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione rispettivamente dei relativi fatti costitutivi o di quelli modificativi o estintivi (Cass. 16 giugno 1998, n. 5980; 16 giugno 2000, n. 8195; 7 agosto 2002, n. 11911; 21 marzo 2003, n. 4126).
1.1.4. Va data così continuità all’orientamento di questa Corte che nel tempo si è consolidato e secondo cui incombe sul creditore l’onere di provare il nesso di causalità fra la condotta del sanitario e l’evento di danno quale fatto costitutivo della domanda risarcitoria, non solo nel caso di responsabilità da fatto illecito ma anche nel caso di responsabilità contrattuale (Cass. 26 luglio 2017, n. 18392, cui sono conformi: Cass. 26 febbraio 2019, n. 5487; 17 gennaio 2019, n. 1045; 20 novembre 2018, n. 29853; 30 ottobre 2018, nn. 27455, 27449, 27447, 27446; 23 ottobre 2018, n. 26700; 20 agosto 2018, n. 20812; 13 settembre 2018, n. 22278; 22 agosto 2018, n. 20905; 19 luglio 2018, n. 19204; 19 luglio 2018, n. 19199; 13 luglio 2018, n. 18549; 13 luglio 2018, n. 18540; 9 marzo 2018, n. 5641; 15 febbraio 2018, nn. 3704 e 3698; 7 dicembre 2017, n. 29315; 14 novembre 2017, n. 26824; si vedano tuttavia già prima Cass. 24 maggio 2006, n. 12362; 17 gennaio 2008, n. 867; 16 gennaio 2009, n. 975; 9 ottobre 2012, n. 17143; 26 febbraio 2013, n. 4792; 31 luglio 2013, n. 18341; 12 settembre 2013, n. 20904; 20 ottobre 2015, n. 21177; 9 giugno 2016, n. 11789).
1.1.5. In conclusione va affermato ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto: “ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione”.
A tale principio di diritto si è attenuta la corte territoriale. Quanto al resto la censura attiene al giudizio di fatto in ordine all’assolvimento dell’onere probatorio che è giudizio non sindacabile in quanto tale nella presente sede di legittimità.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che non è controversa la circostanza della pluralità di artrocentesi eseguite e che alla luce delle numerosissime artrocentesi non era comprensibile come la Corte d’appello avesse potuto sostenere che era stata riscontrata l’assenza di complicanze infettive dal primo intervento fino al 2007.
2.1. Il motivo è inammissibile. La censura attiene al giudizio di fatto il quale in quanto tale non è sindacabile nella presente sede di legittimità. Peraltro il giudizio di fatto svolto dalla corte territoriale contempla la circostanza che il ricorrente definisce come incontroversa.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 61,196 e 359 c.p.c., art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che il CTU era un medico specializzato in ortopedia e che sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno disatteso l’istanza di nuova consulenza a mezzo di un medico infettivologo. Aggiunge che il CTU non ha in alcun modo indagato sulle origini dell’insorgere dell’infezione, nè ha svolto accertamenti sulle numerose artrocentesi, essendosi limitato a parlare di corretta applicazione dei protocolli di profilassi infettiva in ambito ortopedico.
3.1. Il motivo è inammissibile. Il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito (Cass. 24 gennaio 2019, n. 2103; 29 settembre 2017, n. 22799). Le circostanze relative alla consulenza tecnica possono rilevare sul piano motivazionale, quale omesso esame di fatto controverso e decisivo o di assenza del requisito motivazionale dell’atto giurisdizionale, ma non quale sindacato sull’esercizio del potere di disporre la consulenza.
4. Con il quarto motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che la corte territoriale ha omesso di esaminare le seguenti circostanze: mancanza di competenze infettivologhe da parte del consulente; la CTU non fornisce spiegazioni circa le differenze fra stafilococco non aureo e stafilococco epidermidis; non è stato esaminato se un processo infettivo vi fosse già a partire dal 2003; il ricovero nel 2009 per sepsi setticemica e la rimozione della protesi smentiscono le conclusioni del consulente; mancato esame del fatto che il 5 maggio 2009, in pieno corso della gravissima infezione, al C. fosse stato prescritto l’uso di farmaci omeopatici; era stata disattesa l’istanza di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c. di tutte le cartelle cliniche e schede ambulatoriali.
4.1 Il motivo è inammissibile. La denuncia di vizio motivazionale non attiene a fatti storici, di cui sarebbe stato omesso l’esame, ma a valutazioni e rilievi in ordine alla CTU svolta, oltre che al mancato accoglimento di istanza istruttoria. L’unica circostanza di fatto denunciata è quella della prescrizione di farmaci omeopatici, ma rispetto a tale circostanza non si indicano le specifiche ragioni di decisività nel quadro dei fatti costitutivi della domanda.
5. L’assestamento della giurisprudenza in ordine alla questione del nesso causale costituisce ragione di compensazione delle spese processuali.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
[6] Cfr. VISINTINI Inadempimento e mora del debitore, COMMilano, 1987, 472; GIORGIANNI, voce Obbligazioni, NNDI , XI, 601
[7] https://www.studiomariconda.com/upload/file/papers/files/empimento_e_onere_della_prova_-_le_sezioni_unite_compongono_un_contrasto_e_ne_aprono_un_altrodf.pdf
[8] Cfr. BETTI Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953, 54 e ss, , il quale si ricollega alla relazione al Re sul codice civile, la quale connette l’interesse alla prestazione in un fine utile, in base ai parametri della coscienza sociale.
[9]  Secondo GIORGIANNI., L’obbligazione, Milano, 1951, pag. 23 l’estinzione dell’obbligazione consegue al sopravvenuto venir meno dell’interesse del creditore alla medesima, inizialmente presente, nel momento in cui sorge l’obbligazione. In senso conforme BIANCA, Diritto civile IV, Milano, 1990. Secondo il GALGANO  cit. , pag 9 l’interesse ex art. 1174 cod. civ. è coerente e s’identifica con la meritevolezza dell’interesse, di cui all’art. 1322, 2° c., cod. civ., quanto alla possibilità di creare contratti atipici o di incorporare  clausole atipiche in contratti tipici. Secondo CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione e DI MAJO  Delle obbligazioni in generale cit. l’interesse del creditore è irrilevante. Esiste anche una ulteriore esegesi della disposizione, secondo cui il permanere del rapporto obbligatorio si identifica nello scopo, cui tende ordinariamente quella certa tipologia di obbligazione; cfr. CIAN cit. , pag. 202 e ss., DI MAJO cit. 264-274.
[10] Cfr. L. BARASSI, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1948, III, 69 ss.; M. GIORGIANNI, L’obbligazione, Milano, 1951, 213
[11] Cfr. Cfr. TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, aggiornato da GRANELLI e ANELLI, 2021, pagg.385 e ss.. RESCIGNO, Obbligazioni, nozioni, in ED, XXIX, Milano, 1979, 150
[12] Cfr. BRECCIA, Le obbligazioni, in Trattato Iudica – Zatti, Milano, 1991, 113, il quale argomenta nel senso che da un contratto può sorgere una rapporto di matrice non contrattuale, anche se l’inadempimento che nasca eventualmente sia qualificabile come implicante una ipotesi di “responsabilità contrattuale”. Il medesimo Autore, altresì, fa riferimento all’art. 2932 cod. civ., che delinea la normativa sulla pronuncia costitutiva del Giudice che sostituisce un contratto definitivo non concluso, nonostante la presenza di un obbligo di contrarre . Lo Studioso osserva come da un provvedimento giurisdizionale (la sentenza) nasca un rapporto contrattuale.
[13] Cfr. RESCIGNO , op cit., 151, DI MAJO, Obbligazione 1) Teoria generale in EG, XXI, Roma 1990, 13-14.
[14] Cfr. DI MAJO. Delle obbligazioni in generale, in Commentario del codice civile, Bologna- Roma, pagg.18 e ss, spec. 225 e passim
[15] Cfr. GALGANO,  Diritto civile e commerciale, Le obbligazioni e  i contratti, vol II , Tomo I Padova, 1993, pag. 32 e sgg e  successive edizioni
[16] Cfr, GALGANO, Diritto civile e commerciale,vol II, Tomo I, Obbligazioni e  contratti, Padova, 1993, 33 e successive edizioni
[17] Cfr. BRECCIA, op cit., 106
[18] “Si è affermato che “è ammissibile il concorso tra la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale di fronte ad un medesimo fatto che violi contemporaneamente non soltanto diritti derivanti dal contratto, ma anche i diritti spettanti alla persona offesa indipendentemente dal contratto stesso. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata la quale aveva affermato il concorso della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale nei confronti del destinatario della merce trasportata, rispettivamente, del vettore e del custode, al quale il primo aveva consegnato la merce che poi era stata smarrita)” (Cass. Civ. n. 418/1996). Cfr. DI MAJO, Il cumulo fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, al link-l link https://www.personaedanno.it/articolo/il-cumulo-tra-responsabilita-contrattuale-ed-extracontrattuale-adolfo-di-majo
[19] Cfr, METRA, Il dovere di buona fede nell’obbligazione, in relazione alla mora, considerato l’interesse all’esecuzione nelle obbligazioni corrispettive,25 aprile 2020, in www.salvisjuribus.it

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