Lesione dell’affidamento del privato e riparto di giurisdizione

Lesione dell’affidamento del privato e riparto di giurisdizione

Cassazione civile sez. un., 28/04/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 28/04/2020), n. 8236

La pronuncia in commento rappresenta una importante affermazione in materia di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, in una particolare ipotesi, costituita dal danno subito dal privato per l’affidamento riposto nella condotta dell’amministrazione (la quale si sia in seguito determinata in senso a lui sfavorevole), indipendentemente da ogni connessione con un provvedimento amministrativo o con l’esercizio del potere pubblico.

In particolare, con tale pronuncia, le Sezioni Unite ponendosi in un’ottica di continuità con l’orientamento consacrato nelle tre ordinanze gemelle del 2011 (n. 6594, 6595 e 6596), e confermato da Sezioni Unite n. 17586/2015, che devolve le controversie relative al risarcimento dei danni da lesione del legittimo affidamento – seppur in tema di provvedimento amministrativo favorevole, ritirato successivamente in autotutela o annullato dal g.a. in via giurisdizionale – alla giurisdizione del giudice ordinario, estendendone la portata anche all’ipotesi in cui manchi un provvedimento amministrativo.

Peraltro, l’ordinanza n. 8236/2020 rileva non solo in punto di riparto di giurisdizione, ma rappresenta un’importante affermazione di principi di diritto sostanziale.

La vicenda, sottoposta all’esame delle Sezioni Unite, trae origine dalla richiesta di risarcimento dei danni avanzata da una società di costruzioni per l’affidamento ingenerato dal Comune nei propri confronti, rispetto all’ottenimento di un provvedimento favorevole.

In particolare, la società lamentava che l’amministrazione comunale,  a fronte della richiesta di concessione del permesso di costruire, con un comportamento “ondivago” e protratto nel tempo (consistito in rassicurazioni, pareri positivi, consigli sulla documentazione da presentare, ecc…), oltre a violare i termini di conclusione del procedimento, avesse leso le proprie aspettative favorevoli in ordine al rilascio del permesso, di fatto mai concesso, con conseguente dispendio di tempo e di denaro per la società.

L’amministrazione convenuta, costituitasi in giudizio, ritenendo la fattispecie qualificabile o come danno da ritardo per violazione dei termini procedimentali (rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. a) n. 1 cod proc. amm); ovvero come danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa in materia edilizia ed urbanistica

(rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm), riteneva che la controversia appartenesse alla cognizione del giudice amministrativo.

A seguito della proposizione di regolamento preventivo di giurisdizione, le Sezioni Unite chiamate ad affrontare la questione in tema di riparto di giurisdizione, ritengono infondate entrambe le prospettazioni avanzate dalla amministrazione convenuta, in punto di giurisdizione, alla luce del petitum della richiesta di risarcimento danni avanzata dal privato.

Su un primo versante, la Corteritiene infondata la devoluzione della controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, lett. a), n.1, c.p.a, che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del g.a. tutte le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto derivante da lesione dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo di cui all’art. 2 bis, co. 1, L. n. 241/1990.

Il privato, invero, non lamenta un danno subito per l’effetto della violazione dei termini procedimentali da parte della amministrazione.

Al contrario, la pretesa risarcitoria avanzata dalla società si fondava sulla circostanza che l’amministrazione, dopo aver a lungo tenuto condotte idonee a ingenerare un incolpevole affidamento nei confronti del destinatario, spinto a sperare in un esito positivo della richiesta di permesso di costruire, abbia provveduto negativamente sul punto.

In altri termini, l’oggetto della domanda non atteneva in alcun modo al mancato rispetto dei termini procedimentali, concernendo piuttosto la violazione dell’affidamento ingenerato dal Comune in un determinato esito, favorevole per la società, del procedimento finalizzato alla concessione del permesso di costruire.

Su un secondo versante, le Sezioni Unite ritengono, parimenti, non sussistente la cognizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, lett. f) che attribuisce alla giurisdizione esclusiva di tale giudice le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti elle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio.

Invero, pur essendo innegabile che una controversia avente ad oggetto il mancato rilascio del permesso di costruire da parte di una amministrazione comunale rientri nella materia urbanistico – edilizia, occorre anche in questo caso – a parere delle Sezioni Unite – soffermarsi sull’oggetto della richiesta risarcitoria avanzata dalla società.

Quest’ultima, invero, si duole del comportamento della pubblica amministrazione il quale avrebbe determinato una lesione del proprio affidamento.

Il danno non sarebbe, pertanto, stato causato da atti o provvedimenti della amministrazione municipale bensì da comportamenti tenuti nella gestione dei rapporti tra i propri uffici e la stessa società, idonei a ingenerare in questa ultima un incolpevole affidamento nel rilascio del permesso di costruire, poi frustrato.

In altri termini, l’affidamento del privato all’ottenimento del provvedimento favorevole, ingenerato dai comportamenti scorretti della p.a. ha minato la libertà di autodeterminazione del privato.

Acclarato che si tratta di un danno da comportamento della pubblica amministrazione, è opportuno ribadire la distinzione, esistente all’interno della categoria dei comportamenti amministrativi, tra comportamenti c.d. amministrativi e comportamenti meri, a seconda del loro collegamento diretto o mediato col potere amministrativo o della mancanza di detta connessione.

Per quanto concerne ai primi, essi sono quelli che danno diretta esecuzione ai provvedimenti amministrativi, senza i quali non sarebbe possibile sprigionare la forza autoritativa della p.a.

Quanto ai comportamenti mediatamente collegati all’esercizio del potere, si tratta di tutti quei casi in cui gli stessi non sono diretta esecuzione di un provvedimento amministrativo, ma presentano con questo un collegamento “mediato” col potere (art. 7, comma 1, c.p.a.).

Infine, quanto ai comportamenti meri, essi stante, l’assenza di qualsivoglia legame col potere amministrativo, sono devoluti alla giurisdizione del g.o.

Delineati attraverso coordinate di carattere generale i comportamenti amministrativi, è opportuno  soffermarsi sui comportamenti della pubblica amministrazione in materia di edilizia ed urbanistica.

Da un’analisi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a. si nota come la disposizione, nel ritenere sussistente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed edilizia, non includa nella stessa anche i comportamenti dell’amministrazione.

Invero, la giurisdizione esclusiva è affermata con riferimento alle “controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia”.

Tuttavia, questo vuoto normativo, è stato colmato dalla prevalente giurisprudenza facendo rientrare anche i comportamenti in materia di urbanistica ed edilizia nell’ampia accezione del termine “atto” di cui all’art. 7, comma 1, c.p.a.

Pertanto, è possibile sostenere che tramite il combinato disposto degli artt. 7, comma 1, e 133, comma 1, lett. F), c.p.a., il giudice amministrativo è competente a conoscere anche dei comportamenti amministrativi in materia di urbanistica ed edilizia.

Il caso sottoposto all’esame della Corte, tuttavia, solo “apparentemente”, si colloca nell’ambito dei comportamenti amministrativi , tale per cui, dovrebbe derivarne la giurisdizione del g.a. ai sensi degli artt. 7 co.1 e 133 lett.f), poiché, ritengono le Sezioni Unite, da un più approfondito esame della richiesta risarcitoria avanzata dalla società per lesione del proprio affidamento, emerge che il comportamento sia stato tenuto dalla p.a., solo “in occasione” dell’esercizio di un potere.

Il comportamento della pubblica amministrazione ha leso l’affidamento del privato, perché non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, non sussistendo pertanto nessun collegamento, neppure mediato, tra il comportamento della amministrazione comunale e l’esercizio del potere.

Il supremo Consesso precisa poi che nel caso di specie, l’affidamento che il privato assume esser stato leso, riposa in un mero comportamento dell’amministrazione, non essendo mai stato emanato alcun provvedimento amministrativo.

Sgombrato il campo dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, richiamando le ordinanze 6594, 6595 e 6596 del 2011, occorre valutare se la giurisdizione del giudice ordinario ritenuta in tali pronunce sussistente in relazione a domande di risarcimento del danno da lesione dello affidamento derivante dalla emanazione e successivo annullamento di un atto amministrativo, possa affermarsi anche in ipotesi – come quella del caso di specie-  di affidamento incolpevole connesso a un mero comportamento.

Nelle ordinanze del 2011, era infatti stato stabilito che il privato, che vanta una posizione di legittimo affidamento in relazione ad un provvedimento amministrativo favorevole poi annullato dalla p.a. ovvero annullato in sede giurisdizione, non è titolare di un interesse legittimo, ma di un diritto soggettivo, nuovo ed autonomo, del tutto scollegato dall’esercizio del potere della p.a., con conseguente giurisdizione del giudice ordinario, anche nelle materie esclusive.

Ciò premesso, a seguito di tale orientamento inaugurato dalle Sentenze Gemelle, si erano radicate tuttavia, all’interno della giurisprudenza, due divergenti linee interpretative.

Un primo orientamento,confermativo di quello inaugurato dalle ordinanze gemelle, affermava la giurisdizione del giudice ordinario a fronte di controversie relative al risarcimento del danno derivante dalla lesione dell’affidamento riposto dal privato in un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, (illegittimo) in seguito legittimamente annullato.

Il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario derivava dall’applicazione dell’ordinario criterio di riparto fondato sulla natura della posizione giuridica sussistente in capo al privato, la quale, nel caso di specie, avrebbe consistenza non di interesse legittimo bensì di diritto soggettivo, e più precisamente di diritto alla conservazione dell’integrità del patrimonio, leso dalle scelte operate confidando nella legittimità del provvedimento amministrativo successivamente eliminato.

Secondo un diverso orientamento, le controversie relative al risarcimento del danno derivante dalla lesione dell’affidamento riposto su un atto amministrativo ampliativo in seguito legittimamente annullato sarebbero devolute alla giurisdizione del g.a.

A radicare la giurisdizione del giudice amministrativo sarebbe la circostanza che la lesione dell’affidamento del privato si realizzerebbe in contesto di stampo pubblicistico nel quale si colloca l’intera condotta dell’amministrazione.

Ciò comporterebbe, quale immediata conseguenza, che pur non configurandosi esercizio diretto del potere pubblicistico, si realizzerebbe ugualmente quella compenetrazione tra diritti soggettivi e interessi legittimi idonea a radicare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Alla luce di tutto ciò, nel caso di specie, le Sezioni Unite hanno ritenuto di poter dare continuità ai principi espressi nelle ordinanze gemelle del 2011 e, anzi, ritenendo gli stessi applicabili “con maggior forza” sulla base della circostanza che nessun provvedimento amministrativo sia mai stato emanato nei confronti della società.

Ne discende che spetta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede.

Risolta la questione attinente alla giurisdizione, le Sezioni Unite forniscono alcuni rilevanti chiarimenti sia in ordine alla nozione di “affidamento” sussistente in capo al privato sia in ordine alla natura giuridica della responsabilità ascrivibile alla amministrazione in ipotesi di lesione di tale affidamento.

Con riferimento alla nozione di affidamento, ovvero la situazione giuridica soggettiva del privato lesa per effetto del comportamento dell’amministrazione, la Corte precisa che il concetto di affidamento non possa ritenersi sovrapponibile al “diritto soggettivo alla conservazione della integrità del patrimonio”: il patrimonio in sé ricomprende l’insieme dei diritti e delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo a un individuo.

Ne discende pertanto che tale locuzione configura una mera formula descrittiva che unifica, sul piano verbale, tali suddette situazioni giuridiche soggettive.

Infine le Sezioni Unite si occupano di delineare la natura giuridica della responsabilità della pubblica amministrazione derivante dalla lesione dell’affidamento ingenerato nel privato a seguito di un contatto procedimentale, qualificandola come una ipotesi di responsabilità da contatto sociale qualificato.

Ormai pacificamente si ritiene che la pubblica amministrazione, nello svolgimento della propria attività di pubblico interesse, sia tenuta al rispetto, oltre delle norme di diritto pubblico, anche delle norme privatistiche.

All’interno di tale seconda categoria possono indubbiamente ricondursi i doversi di buona fede, lealtà e correttezza al cui rispetto l’amministrazione è tenuta : essi rappresentano una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale che trova il proprio fondamento nell’art. 2 Cost. e grava su tutti i membri della collettività.

Il rispetto di tali obblighi comportamentali, gravante in generale sulla pubblica amministrazione, si intensifica particolarmente laddove tra il soggetto pubblico e i privati si instauri una relazione di particolare intensità idonea a produrre obbligazione in conformità dello ordinamento giuridico.

Da tale situazione infatti derivano a carico delle parti, non obblighi di prestazione bensì obblighi reciproci di buona fede, protezione e informazione.

In altri termini, dal particolare rapporto che lega la pubblica amministrazione e il privato, caratterizzato dalla presenza di doveri di protezione incombenti in capo alla pubblica amministrazione e dalla presenza di un quid pluris rispetto al generale precetto del neminem laedere, deriverebbe la peculiare natura della responsabilità dell’amministrazione.

Si tratta, ritengono le Sezioni Unite, di una responsabilità deriva dalla violazione degli obblighi derivanti da detto rapporto e che, pertanto, va ricondotta allo schema della responsabilità relazionale, o da contatto sociale qualificato, da inquadrare nell’ambito della responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c..

Tale inquadramento, non riferendosi al contratto come atto ma al rapporto obbligatorio sussistente tra le parti pur in mancanza di una fonte contrattuale, giustifica la natura giuridica della responsabilità amministrativa come “ da contatto sociale qualificato”.


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Silvia Salamina

Dottoranda di ricerca in diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Bari "Aldo Moro". Abilitata all’esercizio della professione forense da Novembre 2017

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