La droga parlata

La droga parlata

Con l’espressione “droga parlata” si fa riferimento al linguaggio usato dagli spacciatori, spesso in maniera velata o allusiva, nel corso delle conversazioni per gli accordi e le trattative in relazione al commercio degli stupefacenti.

Talvolta tali conversazioni vengono captate attraverso l’uso di intercettazioni telefoniche ma non sempre sono sufficienti come prova.

Ai sensi dell’art. 192 comma 2 c.p.p. per la valutazione della prova è necessario essere in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti ovvero che consentano di ricostruire il fatto, la vicenda storica oggetto delle indagini, in senso univoco senza alcuna ambiguità e comunque da escludere altre ragionevoli ipotesi.

Sul punto si è espressa di recente la Corte di Cassazione secondo la quale l’art. 192 comma 2 c.p.p. è finalizzato a <<circondare di cautele la valutazione di una prova ritenuta infida>> e deve essere letto, necessariamente, in combinato disposto al principio contenuto nell’art. 533, comma 1, c.p.p., secondo cui la colpevolezza dell’imputato deve risultare <<al di là di ogni ragionevole dubbio>>(Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 9710/2022).

Pertanto, perché l’intercettazione possa avere una valenza probatoria deve avere i criteri indicati nell’articolo 192 comma 2 c.p.p.: occorre che le conversazioni parlino, espressamente, di droga, di prezzo per ogni grammo, di viaggi in qualche località per ritirare un pacco, tutte espressioni che non lasciano alcun dubbio circa la responsabilità dell’indagato e/o imputato.

Nell’alveo della droga parlata, vi sono i reati descritti nell’art. 73 D.P.R. n. 309/1990 che hanno ad oggetto il traffico illecito di sostanze stupefacenti compresa quella dell’offerta in vendita e non le millanterie di chi offre stupefacenti senza averne la disponibilità. A tal proposito non si può affermare la responsabilità per il reato di offerta in vendita di sostanze stupefacenti se prima non si è in possesso della prova che queste fossero nella disponibilità del/i soggetto/i sottoposto/i ad intercettazione.

Secondo la Corte di Cassazione in caso di condanna per spaccio di sostanza stupefacente, quando il contenuto delle conversazioni telefoniche poste alla base della condanna non sia sostenuto da elementi obiettivi (sequestri, perquisizioni, dichiarazioni di terzi ecc.) , il giudice sarà tenuto a motivare i motivi dei mancati riscontri (Cass. Pen., sent. N. 50995/13).

Cosa succede quando nelle conversazioni si parla di sostanze stupefacenti, ma queste non vengono rinvenute?

Perché un soggetto possa essere considerato colpevole non occorre che gli sia stata sequestrata un minimo di sostanza stupefacente, ma sono sufficienti le conversazioni captate mediante le intercettazioni purché non lasciano dubbi in relazione al fatto che tale soggetto è uno spacciatore. Infatti l’intercettazione non necessariamente deve trovare delle conferme esterne.


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