Le Sezioni Unite sulla recidiva: è un’aggravante che indice sul regime di procedibilità

Le Sezioni Unite sulla recidiva: è un’aggravante che indice sul regime di procedibilità

1. Con la sentenza n. 3585 del 29 gennaio 2021, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a dirimere la controversia sorta in ordine alla natura giuridica della recidiva qualificata, al fine di stabilire la riconducibilità di tale circostanza alla categoria delle aggravanti ad effetto speciale che, ai sensi dell’art. 649-bis cod. pen., rendono procedibili d’ufficio taluni reati contro il patrimonio.

Come si vedrà, il rapporto tra procedibilità e recidiva già in passato aveva dato luogo a soluzioni divergenti, tanto da rendere necessario nel 1987 l’intervento delle Sezioni Unite[1]. In quell’occasione, i giudici di legittimità valorizzarono i connotati personalistici della recidiva e ritennero come tale circostanza, non incidendo sul fatto-reato, non dovesse essere ricompresa tra le aggravanti che rendono procedibile d’ufficio un delitto che, nella sua forma semplice, è perseguibile a querela.

A ben vedere, gli snodi argomentativi e le conclusioni raggiunte dalla sentenza in commento si sono discostate da tale principio, la cui perdurante validità è risultata discutibile in rapporto al nuovo art. 649-bis cod. pen., introdotto dall’art. 11 del d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36, posto che – dopo la ricca elaborazione di principi enunciati dalla Corte costituzionale e i plurimi interventi delle Sezioni Unite – tra le “circostanze aggravanti ad effetto speciale” richiamate dalla norma citata ben potrebbe essere ricompresa anche la recidiva qualificata.

2. La questione di diritto sottoposta al Supremo Collegio dalla Seconda Sezione, con ordinanza n. 5555 del 14 gennaio 2020, è così riassumibile: «se il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale, contenuto nell’art. 649-bis cod. pen. ai fini della procedibilità d’ufficio per taluni reati contro il patrimonio, vada inteso come riguardante anche la recidiva qualificata di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 99 dello stesso codice».

In altre parole, si richiede alle Sezioni Unite se tra le “circostanze aggravanti ad effetto speciale” richiamate dall’art. 649-bis cod. pen., ai fini della procedibilità d’ufficio dei reati patrimoniali cui la norma fa riferimento, sia ricompresa anche la recidiva qualificata.[2]

Sul punto, si possono distinguere due diversi orientamenti giurisprudenziali.

Secondo un primo indirizzo interpretativo, che potremmo definire “soggettivistico”, la recidiva costituisce una circostanza aggravante sui generis rispetto alle altre aggravanti ad effetto speciale, poiché inerendo alla persona del colpevole (in quanto condizione personale del soggetto derivante dall’esistenza di una precedente condanna per un fatto diverso) non incide sulla gravità del fatto-reato. Sicché non può sortire un effetto tale da influire sul regime di procedibilità, a differenza di quelle circostanze che sono “ordinariamente” chiamate a qualificare la fattispecie di reato in termini di maggiore disvalore[3].

Un secondo orientamento considera, diversamente, la recidiva una circostanza aggravante del reato inerente alla persona del colpevole che non differisce nei suoi meccanismi applicativi dalle ulteriori circostanze del reato e che, nella sua espressione “qualificata”, costituisce una circostanza aggravante ad effetto speciale, tale da determinare la procedibilità d’ufficio per i reati indicati nell’art. 649-bis cod. pen.[4].

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite, chiamate a dirimere la controversia, hanno accolto il secondo orientamento, enunciando il seguente principio di diritto: «il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale contenuto nell’art. 649- bis, cod. pen., ai fini della procedibilità d’ufficio, per i delitti menzionati nello stesso articolo, comprende anche la recidiva qualificata – aggravata, pluriaggravata e reiterata – di cui all’art. 99, secondo, terzo e quarto comma cod. pen.».

3. Ciò premesso, procediamo ripercorrendo brevemente la vicenda processuale e il quadro normativo di riferimento.

Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro proponeva ricorso immediato per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza con cui si dichiarava estinto il delitto di appropriazione indebita, aggravata dall’abuso di prestazione d’opera e da recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, per remissione di querela.

Il ricorrente denunciava la violazione della legge penale e invocava, nello specifico, l’art. 649-bis cod. pen. laddove stabilisce – in deroga al regime di procedibilità a querela – la procedibilità d’ufficio del reato di appropriazione indebita in presenza di un’aggravante ad effetto speciale, quale la recidiva qualificata contestata nel caso di specie.

La norma in questione è stata introdotta dal d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36, il quale ha previsto, per i reati a tutela della persona e del patrimonio di cui al codice penale, il nuovo regime di procedibilità a querela in luogo di quello officioso previgente.

La ratio di tale scelta legislativa è da rinvenirsi nell’esigenza di migliorare l’efficienza del sistema penale, evitando, da un lato, che si determinino meccanismi repressivi automatici in ordine a fatti che non rivestono particolare gravità e consentendo, dall’altro, l’emersione e la valorizzazione dell’interesse privato alla punizione del colpevole nei casi in cui oggetto dell’offesa siano beni strettamente individuali. La logica è, dunque, quella di riduzione dei carichi processuali, affinché sia garantita l’effettiva funzionalità della giustizia penale. Esigenza, quest’ultima, a cui si affianca quella di evitare che l’azione penale venga iniziata o proseguita senza, o addirittura contro, la volontà dei titolari degli interessi meritevoli di protezione[5].

In quest’ottica, il legislatore ha ragionevolmente orientato le proprie scelte su reati che non presentano una rilevante gravità ma che hanno, notoriamente, una peculiare incidenza sul lavoro giudiziario[6]. Talché, ha escluso dalla punibilità d’ufficio taluni delitti patrimoniali – quali la truffa (art. 640 cod. pen.), la frode informatica (640-ter cod. pen.) e l’appropriazione indebita (art. 646 cod. pen.)[7] – rispetto ai quali assumono rilevanza interessi e relazioni di carattere strettamente personale.

Tuttavia, come rilevato dal Procuratore generale ricorrente, il menzionato decreto ha contestualmente introdotto, con l’art. 11, l’art. 649-bis cod. pen., contenente deroghe al regime di procedibilità a querela. Secondo tale disposizione, nei casi in cui la truffa e la frode informatica siano procedibili a querela (artt. 640, terzo comma, e 640-ter, quarto comma, cod. pen.) e l’appropriazione indebita sia aggravata dalla circostanza del fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario (art. 646, secondo comma, cod. pen.) o da una di quelle indicate nell’art. 61, primo comma, n. 11, cod. pen., si procede d’ufficioqualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale” ovvero “se la persona offesa è incapace per età o infermità o se il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità”[8].

4. Ebbene, l’interpretazione letterale del nuovo art. 649-bis cod. pen. non lascerebbe dubbi circa l’inclusione della recidiva qualificata tra le circostanze che, se contestate, incidono sul regime di procedibilità. Nelle ipotesi di cui al secondo, terzo e quarto comma dell’art. 99 cod. pen. la recidiva è, invero, una circostanza aggravante ad effetto speciale, in quanto comporta un aumento della pena superiore ad un terzo (art. 63, terzo comma, cod. pen.)[9]. Inoltre, stando al dato letterale, si potrebbe opinare che, se il legislatore avesse voluto escludere la recidiva qualificata dal novero delle circostanze ad effetto speciale rilevanti ai fini della procedibilità d’ufficio, avrebbe potuto prevederne espressamente l’irrilevanza, ad esempio, tramite la seguente formula: “qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva”.

Questo è l’assunto da cui muove il ricorso, condiviso, come si evince dallo sviluppo argomentativo dell’ordinanza di rimessione, anche dalla Seconda Sezione.

Ciò nonostante – osserva il Collegio rimettente – dal panorama delle pronunce di legittimità si può evincere un contrasto interpretativo sull’art. 649-bis cod. pen., discendente da una diversa concezione sviluppatasi in ordine alla natura giuridica della recidiva e ai peculiari meccanismi accertativi e valutativi ad essa sottesi.

Tale difforme orientamento evidenzia la forte connotazione “soggettivistica” della recidiva, ritenendola una circostanza inerente alla persona del colpevole (al pari di quelle sull’imputabilità di cui all’art. 70, primo comma, n. 2, e secondo comma, cod. pen.), che, in quanto tale, è sui generis rispetto alle altre aggravanti ad effetto speciale. Sicché, essa non potrebbe sortire un effetto tale da influire sul regime di procedibilità.

Rilevata la sussistenza di differenti linee interpretative sulla questione, la Seconda Sezione ha, pertanto, deciso di rimettere il ricorso al Supremo Collegio.

5. Orbene, al fine di comprendere le motivazioni della decisione e il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, appare opportuno ripercorrere brevemente i divergenti approdi giurisprudenziali intervenuti sul quesito in esame.

5.1. Come previamente accennato, il problema del rapporto tra recidiva e procedibilità è già stato affrontato in passato dalle Sezioni Unite che, con la sentenza n. 3152 del 31 gennaio 1987, Paolini, affermarono il principio di diritto secondo cui «la recidiva non è compresa nelle circostanze aggravanti che rendono il reato di truffa perseguibile d’ufficio, in quanto essa, inerendo esclusivamente alla persona del colpevole, non incide sul fatto-reato».

In quell’occasione i giudici di legittimità considerarono la recidiva quale “circostanza aggravante” sui generis, in quanto connotata da caratteristiche che la distinguono dalle altre circostanze sulle quali si radica la logica della procedibilità ex officio. Essa ha, invero, rilevanza solo quando viene presa in considerazione la misura della pena, mentre non produce alcun effetto sulla quantità del fatto-reato, al quale resta estranea.

Siffatte considerazioni sono state in seguito avallate da ulteriori pronunce intervenute sulla questione[10], anche posteriori alle rilevanti modifiche in tema di recidiva apportate dalla legge n. 251 del 5 dicembre 2005, che – secondo tali decisioni – avrebbe peraltro “acuito i connotati personalistici della recidiva, rendendone ancor più peculiare il relativo regime”.[11]

Ad essere evidenziata è, ad ogni modo, sempre la forte connotazione “soggettivistica” della recidiva, ovvero la sua “specialità” rispetto alle circostanze che “ordinariamente” sono chiamate a qualificare in termini di maggior disvalore il fatto-reato. D’altra parte, si aggiunge, il carattere “facoltativo” della recidiva – che impone al giudice di verificare, in concreto, se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore e di escludere l’aumento di pena, con adeguata motivazione sul punto, ove non ritenga che dal nuovo delitto possa desumersi una maggiore capacità delinquenziale – induce a concludere nel senso che una siffatta circostanza mal si presti a giustificare la trasformazione della procedibilità in quella officiosa.

Nel 1999 i giudici di legittimità[12] – dopo aver ribadito l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite Paolini – hanno, altresì, affermato che la recidiva è un’aggravante che inerisce esclusivamente alla persona autrice del fatto, talché non può comunicarsi agli altri compartecipi, non incidendo sul fatto-reato, sulla sua natura e sulla sua gravità oggettiva. Diversamente opinando, il reato sarebbe perseguibile a querela o d’ufficio, a seconda della presenza, o meno, tra i coimputati di un recidivo, mentre la regola dell’estensione della querela (di cui all’art. 123 cod. pen.) è correlata al principio dell’unicità del reato concorsuale e non alle qualità personali (negative) dei concorrenti.

5.2. Quanto alla contrapposta tesi, favorevole alla incidenza della recidiva qualificata sulla procedibilità d’ufficio dei reati interessati dalla riforma introdotta dal d.lgs. n. 36 del 2018, non si rinvengono decisioni che abbiano specificamente sviluppato argomentazioni a suo sostegno. Cionondimeno, la genesi di un diverso orientamento può trarsi da due recenti pronunce che, in presenza della contestazione della recidiva qualificata, ritenuta sussistente dal giudice, hanno sostenuto come tale circostanza aggravante ad effetto speciale determini la procedibilità d’ufficio del reato di appropriazione indebita[13] e di truffa.[14]

Una ricostruzione sensibilmente differente della natura giuridica della recidiva si rinviene, inoltre, in due pronunce delle Sezioni Unite, da cui possono trarsi indicazioni utili in ordine alla rilevanza della recidiva sulla procedibilità del reato.

In particolare, nel 2010 i giudici di legittimità hanno chiarito come la recidiva produca tutti i suoi effetti solo qualora venga apprezzata come indice di maggiore colpevolezza e pericolosità dell’autore del reato. In tali ipotesi, infatti, oltre che “accertata” nei presupposti è anche “ritenuta” dal giudice e, perciò, “applicata[15].

In una successiva decisione, le Sezioni Unite hanno ricondotto la recidiva alla categoria delle circostanze aggravanti ad effetto speciale, atteso che le ipotesi previste al secondo, terzo e quarto comma dell’art. 99 cod. pen. comportano un aumento della pena superiore ad un terzo[16]. Tale sentenza è giunta finanche a confutare la concezione dell’istituto come status soggettivo correlato al solo e semplice dato formale della ricaduta nel reato dopo una previa condanna passata in giudicato che formi oggetto di mero riconoscimento da parte del giudice, chiamato solo a verificare la correttezza della sua contestazione. La recidiva – concepita quale circostanza aggravante produce, invero, effetti unicamente ove il giudice non solo verifichi l’esistenza del presupposto formale desumibile dai precedenti penali, ma proceda anche al riscontro sostanziale della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità” del reo, da accertarsi discrezionalmente, con obbligo specifico di motivazione. Sulla base di tali rilievi, i giudici di legittimità sono giunti alla conclusione per cui la recidiva è una circostanza pertinente al reato che richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto che deve risultare sintomatico (in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione) della colpevolezza e della pericolosità sociale del reo.

Tale approdo esegetico è stato condiviso da una più recente decisione delle Sezioni Unite, la quale ha ribadito che la recidiva costituisce «una circostanza aggravante del reato, inerente alla persona del colpevole, che non differisce nei suoi meccanismi applicativi dalle ulteriori circostanze del reato, se non per quegli aspetti che risultano esplicitamente regolati in modo peculiare dal legislatore»[17].

6. Le considerazioni sinora riportate hanno condotto le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, a superare l’orientamento che aveva qualificato la recidiva come circostanza aggravante sui generis.

Preme alla Corte evidenziare come il dettato normativo dell’art. 649-bis cod. pen. sia inequivoco nell’affermare che in presenza di una “circostanza aggravante ad effetto speciale” i reati menzionati conservino la procedibilità d’ufficio. Altrettanto chiaro è l’art. 12 delle preleggi, il quale, nel dettare le principali regole di interpretazione, dispone che nell’applicare la legge: «non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore».

Pertanto, osserva la Corte – posto che costituisce ormai un vero e proprio diritto vivente l’affermazione per cui la recidiva è una circostanza aggravante del reato, inerente alla persona del colpevole, che non differisce nei suoi meccanismi applicativi dalle ulteriori circostanze del reatoil riconoscimento giudiziale, con specifica motivazione, della sussistenza di tale circostanza determina, senz’altro, la procedibilità d’ufficio per i reati indicati nell’art. 649-bis cod. pen.

Da ciò ne consegue che la recidiva, ove ritenuta sussistente dal giudice, in quanto circostanza aggravanterientra nel giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti previsto dall’art. 69 cod. pen. Si precisa, altresì, in sentenza, che il giudizio di equivalenza o di sub-valenza della recidiva rispetto alle circostanze attenuanti non elide la sua sussistenza e gli effetti da essa prodotti ai fini del regime di procedibilità, né rende il reato perseguibile a querela di parte, ove questa sia prevista per l’ipotesi non circostanziata.

7. Ciò chiarito – osservano in conclusione gli Ermellini – non resta che verificare se la discrezionalità della valutazione giudiziale circa la sussistenza dei presupposti (sostanziali) della recidiva possa determinare ricadute negative sulla individuazione del regime di procedibilità e possa conciliarsi con le esigenze deflattive perseguite dal legislatore.

Parte della dottrina ha, invero, sollevato alcune perplessità evidenziando come l’accoglimento di un’interpretazione letterale dell’art. 649-bis cod. pen., condurrebbe il pubblico ministero, in presenza di recidiva qualificata, ad esercitare l’azione penale anche in assenza di querela. Tuttavia, qualora all’esito del giudizio il giudice di merito, nell’esercizio del suo potere discrezionale, dovesse non riconoscere in concreto la sussistenza di tale circostanza, si dovrà dichiarare “non doversi procedere” per l’eventuale mancanza della querela. La circostanza per cui ciò avverrà solo a processo pressoché ultimato sembrerebbe collidere con le finalità di deflazione dei carichi processuali che hanno ispirato le modifiche apportate dal d.lgs. n. 36 del 2018.

Inoltre, c’è chi ha rilevato che un effetto potenzialmente pregiudizievole per l’autore del reato, qual è la procedibilità d’ufficio rispetto alla perseguibilità a querela, non può farsi dipendere dalla previa contestazione – pur necessaria – del solo presupposto formale dato dalle (o dalla) precedenti condanne; contestazione che, tra l’altro, darebbe luogo ad una procedibilità d’ufficio provvisoria, suscettibile di venire meno in ragione della valutazione del giudice, che a giudizio del tutto (o pressoché) ultimato potrebbe far riemergere la procedibilità a querela.

Ebbene, a quest’ultima obiezione le Sezioni Unite hanno risposto che siffatta questione coinvolge non solo la recidiva, contestata dal pubblico ministero e successivamente ritenuta insussistente dal giudice, ma, allo stesso modo, qualsiasi altra aggravante che abbia incidenza sulla procedibilità[18].

Quanto alla asserita frustrazione delle finalità deflattive, i giudici della nomofilachia hanno richiamato la Relazione illustrativa del d.lgs. n. 36 del 2018, in cui viene affermato che l’articolo 11 prevede la conservazione della procedibilità d’ufficio per i reati contro il patrimonio oggetto dell’intervento normativo nei casi in cui ricorrano “circostanze aggravanti ad effetto speciale”, categoria che ricomprende indubbiamente la recidiva qualificata.

Da ultimo, le Sezioni Unite si sono espresse anche in ordine all’eventuale incidenza, ai fini della procedibilità, della contestazione della recidiva qualificata rispetto alle posizioni dei coimputati. Per i giudici di legittimità, la riformulazione dell’art. 118 cod. pen. impedirebbe di applicare a questi ultimi un diverso regime di procedibilità per un fatto a loro totalmente estraneo. Invero, secondo tale norma, le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono, talché la perseguibilità d’ufficio può operare solo nei confronti dei coimputati recidivi, considerato che essa è una circostanza aggravante attinente alle condizioni e qualità personali del colpevole.

8. Ricapitolando, con tale pronuncia i giudici di legittimità, valorizzando un’interpretazione letterale delle disposizioni del decreto, si sono espressi a favore della riconducibilità della recidiva qualificata nel novero delle ipotesi di cui all’art. 649-bis cod. pen.

Tuttavia, seppur formalmente non sussistono ragioni ostative a tale soluzione[19], permangono numerose perplessità applicative, poiché l’esercizio dell’azione penale sembra essere affidato a criteri incerti e di natura sostanzialmente valutativo-prognostica; nonché dubbi di carattere sistematico, laddove l’assimilazione della recidiva alle altre circostanze aggravanti ad effetto speciale appare contraddittoria rispetto alle peculiarità che da sempre si riconoscono a tale istituto.

D’altro canto, non sembrerebbe pienamente condivisibile l’asserzione secondo cui il problema consistente nel dare luogo ad una “procedibilità d’ufficio provvisoria” sia proprio di qualsiasi aggravante che abbia incidenza sulla procedibilità e non solo della recidiva contestata dal pubblico ministero e poi ritenuta insussistente dal giudice. Invero, nel caso di recidiva qualificata, la valutazione è sempre rimessa alla discrezionalità dell’organo giudicante, il quale si pronuncia in ordine alle singolarità del caso concreto; tale situazione diverge, evidentemente, da quella in cui viene oggettivamente esclusa, perché ab origine insussistente, una circostanza aggravante di diversa natura.

In conclusione, l’autorevole principio affermato dalle Sezioni Unite costituisce senz’altro, una guida indispensabile per i pubblici ministeri nella scelta relativa all’esercizio dell’azione penale, in presenza di reati divenuti procedibili a querela, qualora siano, però, commessi da soggetti con una recidiva qualificata. Ad ogni buon conto, il rischio che si cela dietro tale pronuncia è quello di determinare un aumento dei carichi processuali, atteso che i tribunali verrebbero investiti di processi rispetto ai quali è assente l’interesse privato alla punizione del colpevole; processi che, tra l’altro, potrebbero essere vanificati nell’ipotesi in cui all’esito degli stessi la valutazione giudiziale circa la sussistenza della recidiva abbia esito negativo.

 

 

 

 


[1] Cass. pen., Sez. U, n. 3152 del 31/01/1987, Paolini.
[2] I medesimi interrogativi, peraltro, si pongono anche in merito ad un’altra norma introdotta dal medesimo decreto, ovvero l’art. 623-ter cod. pen., che, per altri fatti di reato che il decreto ha reso procedibili a querela, dispone parimenti la procedibilità d’ufficio “qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale”.
[3] Ex multis: Cass. pen., Sez. U, n. 3152 del 31/01/1987, Paolini; Cass. pen., Sez. 2, n. 47068 del 21/09/2017, Mininni; Cass. pen., Sez. 5, n. 30453 del 01/04/2019, Cabello; Cass. pen., Sez. 6, n. 35880 dell’11/07/2019, Della Rocca.
[4] Cass. pen., Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè; Cass. pen., Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato; Cass. pen., Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino.
[5] Sul punto, si veda la Relazione di accompagnamento alla legge n. 689 del 24 novembre 1981.
[6] Corte Cost., n. 294 del 28/07/1987.
[7] In proposito, si rimanda agli artt. 8, 9 e 10 del d.lgs. n. 36/2018. Per quello che più interessa in questa sede, rispetto all’appropriazione indebita, l’art. 10 ha disposto la procedibilità a querela anche in quelle situazioni che, in passato, determinavano la procedibilità d’ufficio, quali la realizzazione del delitto su cose possedute a titolo di deposito necessario (art. 646, secondo comma, cod. pen.) ovvero con abuso di autorità o di relazioni domestiche o, ancora, con abuso di relazioni di ufficio, di prestazioni d’opera, di coabitazione o di ospitalità (art. 61, primo comma, n. 11, cod. pen.).
[8] Ipotesi aggiunte dalla legge 9 gennaio 2019 n. 3 (c.d. legge “Spazzacorrotti”).
[9] Cass. pen., Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato.
[10] Tra le più recenti, Cass. pen., Sez. 2, n. 1907 del 20/12/2016, dep. 2017, Camozzi; Cass. pen., Sez. 2, n. 47068 del 21/09/2017, Mininni; Cass. pen., Sez. 5, n. 30453 del 01/04/2019, Cabello, n.m. e Cass. pen., Sez. 6, n. 35880 dell’11/07/2019, Della Rocca, n.m. (le ultime due pronunciate in tema di minaccia grave).
[11] Cass. pen., Sez. 2, n. 26029 del 10/06/2014, Folgori.
[12] Cass. pen., Sez. 2, n. 1876 del 19/11/1999, dep. 2000, Aliberto.
[13] Cass. pen., Sez. 7, ord. n. 11440 del 24/09/2019, dep. 2020, Grillo.
[14] Cass. pen., Sez. 2, n. 17281 del 08/01/2019, Delle Cave.
[15] Cass. pen., Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè.
[16] Cass. pen., Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato.
[17] Cass. pen., Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino.
[18] Inoltre, tali situazioni trovano, secondo le Sezioni Unite, una risposta fisiologica in sede processuale, ove l’art. 129 cod. proc. pen., impone, in ogni stato e grado del procedimento, l’obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, fra le quali rientra anche la mancanza di una condizione di procedibilità.
[19] La giurisprudenza di legittimità, sia pure con riguardo all’istituto della prescrizione, ha avuto modo di escludere potenziali aspetti di frizione fra la previsione di un regime differenziato per il soggetto recidivo ed i principi desumibili dalla Costituzione, in considerazione del maggior allarme sociale provocato dal comportamento di chi, rendendosi autore di reiterate condotte criminose, mette maggiormente a rischio la sicurezza pubblica (da ultimo, Cass. pen., Sez. 5, n. 57694 del 05/07/2017, Panza; Cass. pen., Sez. F, n. 38806 del 27/07/2017, Mari).

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Articoli inerenti