Mandato d’arresto europeo (M.A.E.): il problema dei diritti fondamentali

Mandato d’arresto europeo (M.A.E.): il problema dei diritti fondamentali

Il problema del sovraffollamento carcerario, che in Italia è da sempre un problema significativo, ha costituito un aspetto spinoso per il mandato d’arresto europeo. La Corte di giustizia dell’Unione europea per garantire il rispetto del divieto di trattamenti inumani e degradanti ha, infatti, previsto deroghe al principio del mutuo riconoscimento elaborando una nuova procedura di emergenza per evitare che la consegna nello Stato emittente di un mandato d’arresto europeo possa sottoporre il ricercato a condizioni detentive contrarie all’art. 3 del CEDU e all’art. 4 della Carta di diritti fondamentali. La nuova procedura arriva ad imporre obblighi d’informazione al giudice dello Stato richiesto fino a riconosce la facoltà di rifiutare l’esecuzione del mandato europeo, se il rischio di tali trattamenti non possa essere evitato in tempi ragionevoli. La sentenza n. 404 del 2016 della Corte di giustizia europea si occupa di alcuni dei problemi più rilevanti dell’integrazione europea del diritto penale ed ha come sfondo l’emergere con maggior decisione sulla scena europea del problema del sovraffollamento carcerario, un fenomeno certo non nuovo e spesso sistematico, ma che negli ultimi anni, a causa soprattutto della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ha assunto una nuova fisionomia ricollegandolo alle possibili violazioni dell’art. 3 del CEDU che prevede il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti. Questa nuova interpretazione per il problema carcerario ha finito col minare la fiducia reciproca tra le autorità giudiziarie degli Stati membri, fiducia già di per sé fragile, facendo diventare l’accertamento di condizioni detentive al di sotto degli standard convenzionali un motivo usato con sempre maggior frequenza per negare la consegna di persone ricercate.

Queste problematicità si generano anche dal complicato rapporto che esiste nella cooperazione giudiziaria penale fra diritti fondamentali e la reciproca fiducia fra gli Stati membri. Punto cardine nella cooperazione giudiziaria europea è il noto principio del mutuo riconoscimento delle decisioni in materia penale, introdotto per migliorare la rapidità delle procedure di consegna delle persone ricercate e garantire l’efficacia extraterritoriale dei provvedimenti emanati dalle autorità giudiziali dei diversi Stati membri. Il meccanismo delineato dal diritto dell’Unione e che si poggia su tale principio fa sì che l’esecuzione delle decisioni adottate dal giudice penale di uno Stato membro al di fuori dei confini nazionali sia quasi automatica in quanto il giudice dello Stato che esegue la decisione straniera è autorizzato a bloccare la procedura di cooperazione solo se ricorre uno dei motivi di rifiuto obbligatorio o facoltativo elencati in modo tassativo dal legislatore europeo. Questa previsione volta a garantire l’automatismo del mutuo riconoscimento comporta, però, il rischio di una perdita dal punto di vista garantistico quando i diritti fondamentali coinvolti nella procedura di cooperazione non sono riconducibili a una causa che permetta o obbliga l’autorità di esecuzione a rifiutare la richiesta.

Il mandato d’arresto europeo rappresenta probabilmente il miglior esempio delle tensioni e delle difficoltà generate dalla convivenza fra gli obiettivi della cooperazione giudiziaria e le garanzie individuali del ricercato. La Corte di Giustizia è stata naturalmente chiamata a risolvere i problemi emersi dall’applicazione di questo strumento sviluppando una giurisprudenza volta a garantire il corretto funzionamento della procedura di consegna delineata dalla decisione – quadro, puntando sulle finalità di efficacia del mandato europeo e dichiarando la prevalenza di queste su ogni altro interesse che potesse ostacolare la cooperazione. Tale interpretazione è rimasta immutata anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e l’attribuzione alla Carta dei diritti fondamentali di un’efficacia vincolante e di un valore giuridico pari ai trattati. Il fatto che la Carta di diritti fondamentali abbia ottenuto lo stesso valore di un trattato ha indotto i giudici nazionali a rivolgersi più spesso alla Corte di Giustizia europea sulla compatibilità della disciplina del mandato d’arresto europeo con i principi e i diritti affermati dalla stessa Carta e, ciò, ha indotto la Corte di Strasburgo ad escludere che possa esistere una generale causa di rifiuto idonea a bloccare la procedura di consegna in caso di violazione dei diritti fondamentali, al di fuori dei motivi di rifiuto tassativamente indicati nella decisione – quadro.

Questo orientamento della Corte si basa sull’idea, secondo cui, i diritti fondamentali godono di un livello di tutela equivalente ed effettiva nei diversi Stati membri, quindi, dovrebbe esistere una presunzione di fiducia reciproca. Questa presunzione di fiducia reciproca presenta alcune deroghe. Queste deroghe possono infatti avvenire in presenza di circostanze eccezionali in cui i giudici nazionali sarebbero autorizzati a ripristinare un controllo di merito sul rispetto dei diritti fondamentali nell’ordinamento di un altro Stato dell’Unione. Tuttavia, a differenza a quanto, per esempio, previsto dalla disciplina comunitaria in materia di asilo, il sistema predisposto dalla decisione – quadro sull’euromandato non consente un ripristino della discrezionalità del giudice motivata da cortocircuiti sistematici nell’ordinamento dello Stato emittente, poiché in presenza d’infrazioni gravi dei diritti fondamentali la decisione – quadro impegna gli Stati membri a ricorrere ad una soluzione politica prevista dall’art. 7 del TUE, il quale attribuisce al Consiglio europeo la possibilità di sospendere il meccanismo del mutuo riconoscimento su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e con delibera all’unanimità. Il testo della decisione – quadro non lascia, quindi, alcun margine al giudice per dare rilievo a quelle situazioni di emergenza da cui consegua il rischio di violazione dei diritti fondamentali. È qui, però, che la sentenza n. 404 offre il suo contributo tenendo fermi alcuni punti essenziali della procedura di consegna ma dando vita ad un procedimento eccezionale che consente parzialmente al giudice di poter controllare il rispetto dei diritti fondamentali nello Stato di emissione.

Il procedimento delineato dalla Corte si caratterizza per una doppia fase, un doppio accertamento che deve permettere al giudice di valutare il rischio della consegna nello Stato emittente. Nel primo accertamento, l’autorità giudiziaria di esecuzione ha l’obbligo di valutare in modo generale l’esistenza di un rischio di trattamenti inumani o degradanti basandosi su elementi oggettivi, attendibili e aggiornati sulle condizioni di detenzione presenti nello Stato di emissione. Tuttavia, la sola esistenza del rischio di trattamenti inumani o degradanti nello Stato di emissione non basta per rifiutare l’esecuzione del mandato d’arresto, essendo possibile che nel singolo caso il rischio non si concretizzi. Si renderà necessario un secondo accertamento per verificare se vi siano motivi gravi e provati per ritenere che l’interessato a seguito della consegna sarà sottoposto a trattamenti inumani o degradanti. Il giudice dello Stato di esecuzione per svolgere questo accertamento può richiedere alle autorità emittenti ogni informazione per verificare le condizioni carcerarie riservate all’interessato nello Stato emittente, stabilendo se necessario un termine entro il quale le autorità delle Stato emittente devono fornire questi dati. Se la verifica attestasse il concreto rischio per la persona interessata di subire trattamenti inumani o degradanti il giudice dello Stato di emissione non sarà per questo autorizzato a rifiutare il mandato ma potrà solo sospendere la procedura di consegna attendendo che le autorità richiedenti forniscano informazioni utili ad eliminare ogni dubbio sul trattamento riservato all’interessato nelle carceri dello Stato richiedente, di conseguenza, l’autorità di esecuzione potrebbe acquisire le informazioni sulle condizioni detentive anche successivamente e, in caso di nuove informazioni che dimostrino il superamento della situazione di rischio, l’autorità di esecuzione sarebbe tenuta a dare esecuzione al mandato d’arresto. Questa procedura dovrà comunque rispettare i limiti della ragionevolezza visto che la Corte, per evitare una durata eccessiva dei tempi della procedura, prevede che trascorso un lasso di tempo considerevole il giudice possa rifiutarsi di procedere all’esecuzione del mandato d’arresto europeo.

La Corte di Giustizia ha così cercato una soluzione di compromesso che pone a carico delle autorità nazionali di esecuzione e di emissione precisi obblighi di comunicazione, ammettendo la possibilità di rifiutare la consegna solo se questo tentativo di rafforzare la fiducia reciproca fallisse.

 

 

 

 

 


Bibliografia
STROZZI G., Il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali dopo Lisbona: attualità e prospettive, in Dir. Un. eur., 2011, 837 ss., spec. 848 e 850,
TELARO V., Mandato di arresto europeo e rispetto dei diritti fondamentali; Enna, La Moderna, 2015.
MARTUFIA., La Corte di Giustizia al crocevia tra effettività del mandato d’arresto e inviolabilità dei diritti fondamentali, in Diritto Penale e Processo, 2016.

 


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