Secondo la Corte costituzionale guidare sprovvisti di patente è ancora reato… ma solo per alcuni!

Secondo la Corte costituzionale guidare sprovvisti di patente è ancora reato… ma solo per alcuni!

Sommario: 1. Premessa – 2. Il caso – 3. Il quadro normativo di riferimento – 4. Le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla Cassazione e dal Tribunale di Ravenna: i principi di eguaglianza e di rieducazione della pena – 4.1. Il principio di offensività: i cc.dd. reati d’autore – 5. Le misure di prevenzione: ratio ed effetti – 6. La risposta della Corte: per i preposti guidare senza patente è ancora reato – 7. Conclusioni

1. Premessa

Recentemente, il Giudice delle leggi è stato invitato a esprimersi circa la legittimità costituzionale dell’art. 73 d.lgs. 159/2011  (c.d. Codice antimafia)[1], il quale contempla la sola ipotesi, tutt’ora in vigore, in cui mettersi alla guida sprovvisti di apposita licenza, perché mai conseguita, sospesa o revocata, costituisce ancora reato. Infatti, com’è noto, in via generale tale condotta è stata frutto di depenalizzazione a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 8/2016, che ha trasformato quanto previsto all’art. 116 co. 15 d.lgs. 285/1992 (c.d. C.d.S.) in illecito amministrativo.

Tuttavia, come anticipato, tale rilevante depenalizzazione non ha interessato la fattispecie, analoga, specificamente prevista all’art. 73 del Codice antimafia, secondo cui guidare senza patente costituisce ancora contravvenzione, punita con l’arresto da sei mesi a tre anni, per il soggetto interessato da misura di prevenzione personale (giudiziale o amministrativa), impartitagli con provvedimento definitivo.

A fronte di tale (apparente) disparità di trattamento, previsto nei soli confronti di una specifica categoria di soggetti, alcuni tribunali, di merito e di legittimità, hanno adito la Corte costituzionale affinché si pronunciasse sull’eventuale illegittimità del predetto art. 73.

2. Il caso

L’occasione per valutare l’eventuale profilo d’incostituzionalità dell’art. 73 del Codice antimafia è scaturita dall’ordinanza con cui, il 10 settembre 2021[2], la Corte di Cassazione ha rimesso la questione al Giudice delle leggi.

In particolare, il Supremo Consesso si trovava a valutare il ricorso, perpetrato dalla difesa dell’imputato, con il quale veniva chiesto l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Palermo, risalente al 9 giugno 2020, che, ribaltando l’esito del processo di primo grado, aveva condannato l’accusato, già sottoposto a misura di prevenzione personale con provvedimento definitivo, a mesi sette di arresto per il reato di cui all’art. 73 d.lgs. 159/2011. Infatti, il giudice di secondo grado, aveva ritenuto tale ipotesi contravvenzionale, quale autonomo titolo di reato, ancora in vigore e, quindi, non investita dalla depenalizzazione a seguito del d.lgs. 8/2016, interessante la sola e diversa fattispecie ex art. 116 co. 15 C.d.S.

A ciò si aggiunga un’ulteriore ordinanza di rimessione (datata 14 marzo 2022)[3] con cui un tribunale di merito, in specie quello di Ravenna, ha adito la Corte costituzionale per un caso del tutto simile, riguardante la condanna di un soggetto, sottoposto con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione amministrativa dell’avviso orale, per essere stato trovato alla guida di un’autovettura privo dell’apposita patente, a seguito di un controllo di polizia stradale.

Considerata l’affinità delle circostanze fattuali e delle questioni sollevate, che verranno approfondite nei paragrafi seguenti, la Corte costituzionale ha riunito i ricorsi, vagliando le doglianze in un’unica sentenza.

3. Il quadro normativo di riferimento

Ai fini di una migliore e immediata comprensione di quanto si andrà a esporre e approfondire, occorre anteporre un breve excursus del quadro normativo passato e vigente, da cui è scaturita l’illustrata situazione di disparità per i soggetti sottoposti a misure di prevenzione, trovati alla guida di un veicolo sprovvisti dell’apposita licenza.

Giova, anzitutto, chiarire che, a fronte di una fattispecie generale punente la condotta del conducente rinvenuto privo della patente di guida, applicabile quindi a qualsiasi soggetto che si trovi in tale situazione, il Legislatore ha previsto, e prevede, specifica contravvenzione, riguardante il medesimo fatto, applicabile ai soli individui interessati da misure preventive personali, inflitte con un provvedimento definitivo.

In particolare, tralasciando le innumerevoli modifiche normative risalenti ai passati decenni, fino al 2016 il Codice della Strada, precisamente all’art. 116 co. 15, puniva con l’ammenda (da 2.257 a 9.032 euro) colui che si fosse messo alla guida di un veicolo senza la necessaria licenza, ovvero qualora questa gli fosse stata revocata o non rinnovata. Parallelamente, l’art. 73 d.lgs. 159/2011, recependo la disposizione già contenuta all’art. 6 l. 575/1965, prevede un’ipotesi contravvenzionale, sanzionata con l’arresto da sei mesi a tre anni, allorché i medesimi fatti descritti siano stati realizzati dal prevenuto, successivamente a provvedimento non più impugnabile; tale particolare fattispecie è applicabile a seguito d’inottemperanza di quanto previsto all’art. 120 co. 1 C.d.S., il quale vieta a chi è sottoposto a misura di prevenzione personale di conseguire la patente di guida.

Orbene, se fino al 2016 fra le due norme sopra richiamate intercorreva un rapporto sincronico, con l’entrata in vigore del d.lgs. 8/2016, depenalizzante i reati puniti con la sola pena pecuniaria, e quindi anche quello di cui all’art. 116 co. 15 primo periodo C.d.S., si è venuta a creare una situazione di discrasia all’interno dell’ordinamento giuridico. Infatti, la trasformazione in illecito amministrativo della condotta della guida senza patente non ha interessato anche la disposizione ex art. 73 del Codice antimafia, in quanto fattispecie punita con la sanzione detentiva e non pecuniaria.

Alla luce di tale quadro normativo, quindi, sussiste una difformità di trattamento, per il medesimo fatto, nei confronti di una sola categoria di soggetti, i prevenuti, che, secondo le ordinanze sopracitate, comporterebbe una condizione di illegittimità costituzionale per i motivi che si andranno a esporre e analizzare nei paragrafi seguenti.

4. Le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla Cassazione e dal Tribunale di Ravenna: i principi di eguaglianza e di rieducazione della pena

Con l’intenzione di riservare un paragrafo ad hoc per l’analisi della questione in merito all’asserita violazione del principio di offensività, fulcro centrale delle ordinanze e, conseguentemente,  della sentenza della Corte costituzionale in commento, appare opportuno quantomeno accennare alle altre questioni sollevate dai rimettenti, comunque rigettate dal Giudice delle leggi.

Innanzitutto, secondo i tribunali di merito e di legittimità, l’art. 73 del Codice antimafia si porrebbe in contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza, previsti e tutelati dall’art. 3 Cost. In particolare, nelle ordinanze di rimessione, l’autorità giudiziaria sostiene sia irragionevole, oltreché discriminatorio, prevedere la sanzione penale, anziché amministrativa, per il medesimo fatto solo nei confronti di una categoria di soggetti, ossia i prevenuti, senza che emergano specifiche e pregnanti ragioni di tutela sociale. Tale discrepanza di trattamento sarebbe ancor più evidente, secondo i rimettenti, allorché si consideri che, come emerge dal novellato art. 120 C.d.S., la guida senza apposita licenza non costituisce più reato nemmeno per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e per i soggetti sottoposti a misure di sicurezza, rimanendo in vigore, invece, esclusivamente nei confronti di chi è stato raggiunto, con provvedimento definitivo, da misure preventive personali.

Inoltre, la Corte di Cassazione e il Tribunale di Ravenna, nelle loro doglianze, sostengono che il fatto di non aver depenalizzato, oltre l’art. 116 co. 15 primo periodo C.d.S., anche la disposizione ex art. 73 d.lgs. 159/2011, sarebbe in contrasto con il principio di rieducazione della pena, di cui all’art. 27 co. III Cost., poiché comporterebbe un trattamento punitivo sproporzionato rispetto al fatto contestato, sanzionato quale illecito amministrativo se commesso da qualunque altro soggetto, e quindi percepito dal preposto come ingiusto e, conseguentemente, inidoneo a svolgere la sua funzione rieducativa.

4.1. Il principio di offensività: i cc.dd. reati d’autore

Come anticipato nel paragrafo precedente, fulcro della questione sottoposta all’esame della Corte costituzionale riguarda l’asserita illegittimità dell’art. 73 del Codice antimafia rispetto al parametro di offensività, previsto e tutelato all’art. 25 co. II Cost., il quale si erge a espressione della c.d. concezione realistica, secondo cui “per l’esistenza  del reato è necessaria un’offesa nella forma della lesione o della messa in pericolo ad un bene giuridico tutelato da una norma penale incriminatrice[4].

In particolare, affinché una fattispecie di reato sia conforme al dettame costituzionale, è necessario che la stessa rispetti il principio di offensività, sia in astratto che in concreto. Nello specifico, con riferimento alla concezione astratta, l’offensività opera sul piano della previsione normativa, quale precetto rivolto al Legislatore di prevedere fattispecie che esprimano astrattamente un contenuto lesivo o di messa in pericolo di un bene giuridico penalmente tutelato[5].

Diversamente, il precetto di offensività in concreto rileva quale criterio intepretativo-applicativo diretto al giudice, il quale è tenuto ad accertare che il fatto, nel caso di specie, abbia effettivamente leso o, quantomeno, messo in pericolo l’interesse giuridico garantito dalla norma incriminatrice[6].

Orbene, fatta questa necessaria premessa, la Corte di Cassazione, nell’ordinanza di rimessione sopra citata, ha lamentato violazione, con riferimento all’art. 73 d.lgs. 159/2011, del principio di offensività in astratto poiché, secondo il Supremo Consesso, tale norma, prevedente il reato di guida senza apposita patente per i soli soggetti interessati da misure di prevenzione personali, non sarebbe espressione di alcun fatto maggiormente offensivo, rispetto alla depenalizzata e generale ipotesi di cui all’art. 116 co. 15 primo periodo C.d.S., tale da giustificare l’applicazione di una sanzione penale in luogo di quella amministrativa. In altri termini, la previsione di un diverso regime giuridico non troverebbe alcun fondamento nel fatto che il soggetto destinatario della norma incriminatrice sia sottoposto a misura preventiva, in quanto tale condizione non aggiungerebbe alcun grado di offensività al fatto ex se, rischiando di giustificare una contravvenzione su una mera qualità e condizione personale.

I giudici di legittimità hanno, infatti, sottolineato come tale situazione integrerebbe un’ipotesi di c.d. reato d’autore, ove l’applicazione di una sanzione penale trova causa non in una condotta offensiva ma in una caratteristica soggettiva dell’agente, in aperta violazione dei principi di offensività e di materialità del reato, entrambi tutelati dall’art. 25 co. II Cost.

Peraltro, a sostegno della sua tesi, la Corte rimettente ha sottolineato come, più volte in passato, la Corte costituzionale si fosse già espressa in merito all’illegittimità di alcune norme contemplanti reati o aggravanti d’autore. In particolare, vengono citate due sentenze con le quali è stata dichiarata l’incostituzionalità della contravvenzione di cui all’art. 688 co. II c.p. (c.d. ubriachezza)[7] e dell’aggravante ex art. 61 n. 11 bis (c.d. clandestinità)[8], in quanto entrambe le disposizioni prevedevano sanzioni, o aggravamenti sanzionatori, sulla base di mere condizioni soggettive, non trovando alcuna giustificazione nell’astratta offensività del fatto a un bene giuridico tutelato.

Orbene, portando a corroborazione i citati esempi, la Cassazione ha rimesso la questione di legittimità dell’art. 73 del Codice antimafia alla Corte costituzionale, sostenendo che “la norma incriminatrice finisce, dunque, col punire non tanto la guida senza patente in sé, quanto una qualità personale del soggetto [preposto, n.d.s.] che dovesse incorrervi[9] e, pertanto, verrebbe a integrare un c.d. reato d’autore, in violazione del principio di offensività, il quale, nella sua accezione astratta, si pone a baluardo della discrezionalità legislativa in materia penale.

5. Le misure di prevenzione: ratio ed effetti

Per agevolare la comprensione di quanto sostenuto dalla Corte costituzionale nella sentenza in commento, con la quale, lo anticipiamo, ha rigettato ogni doglianza proposta dalle ordinanze di rimessione, è opportuno brevemente ripercorrere la ratio e gli effetti delle misure di prevenzione.

Tali misure, previste e disciplinate dal d.lgs. 159/2011 (c.d. Codice antimafia), si distinguono in amministrative e giudiziali, a seconda dell’autorità che le applica. Ulteriormente, e sotto differente profilo, esse vengono classificate in personali e reali: mentre le prime sono volte a comprimere la libertà di circolazione dell’individuo (cfr. avviso orale del questore, foglio di via obbligatorio e sorveglianza speciale, con o senza obbligo o divieto di soggiorno), le seconde colpiscono il suo patrimonio limitandone la disponibilità (cfr. sequestro e confisca).

In generale, le misure in analisi hanno una ratio special-preventiva, essendo dirette a evitare,  da parte del preposto, la commissione di reati. Inoltre, va ricordato che, proprio come quelle di sicurezza, anche le misure di prevenzione si fondano su un giudizio di pericolosità sociale della persona, prescindendo da ogni profilo di colpevolezza; tuttavia, a differenza delle prime, queste ultime costituiscono rimedi cc.dd. ante o praeter delictum, essendo applicabili (anche) a soggetti pericolosi prima e a prescindere dall’eventuale commissione di un fatto penalmente illecito[10].

Orbene, ai sensi dell’art. 8 d.lgs. 159/2011, in caso di applicazione di una delle misure di prevenzione personali c.d. giudiziali, l’autorità competente, al fine di garantire effettivamente la funzione deterrente di tali rimedi, ha facoltà di stabilire specifiche prescrizioni che il preposto è tenuto a rispettare, quale parte integrante del trattamento stabilito.

Tuttavia, occorre evidenziare che tale disciplina ha subito la “mannaia” della Corte costituzionale[11], intervenuta dichiarando l’illegittimità parziale della contravvenzione di cui all’art. 75 del Codice antimafia qualora tale reato fosse stato contestato al preposto per aver violato le  prescrizioni del “vivere onestamente” e del “rispettare le leggi”, previste all’art. 8 co. 4 d.lgs. 159/2011. Il Giudice delle leggi ha, infatti, ritenuto le suddette espressioni troppo generiche e vaghe, perciò in contrasto con il principio di legalità, e precisamente con il corollario di tassatività (o determinatezza), tutelato all’art. 25 co. II Cost.

Dunque, riassumendo, ad oggi, sul piano penale, rileva la violazione delle sole prescrizioni a c.d. contenuto specifico, non costituendo, invece, reato l’inottemperanza di obblighi generici e indeterminati, eventualmente impartiti dal giudice nel provvedimento di applicazione di una misura preventiva.

6. La risposta della Corte: per i preposti guidare senza patente è ancora reato

Come già anticipato, la Corte costituzionale, con sentenza n. 211/2022, ha valutato le questioni sollevate dai giudici rimettenti in merito all’asserita illegittimità della fattispecie di cui all’art. 73 del Codice antimafia, rigettando ogni doglianza. In particolare, il citato provvedimento si è concentrato sul profilo attinente l’incostituzionalità della norma per contrasto con il principio di offensività (cfr. par. 4.1), il quale trova riconoscimento e tutela all’art. 25 co. II Cost.

Orbene, pur confermando quanto già da tempo sostenuto circa l’illegittimità dei cc.dd. reati d’autore, violativi del principio di offensività, in astratto e in concreto, in quanto giustificanti il trattamento penale sulla sola base di una determinata condizione soggettiva, a prescindere dalla materialità del fatto e dal nocumento che dallo stesso deriva, il Giudice delle leggi ha ritenuto la contravvenzione ex art. 73 d.lgs. 159/2011 conforme a Costituzione, poiché essa punisce una condotta ben precisa, offensiva di un determinato bene giuridico, e non un mero status personale.

Infatti, a detta della succitata sentenza, la ratio di tale fattispecie criminosa è quella di sanzionare l’inottemperanza di una prescrizione, giudicata conforme alla Carta costituzionale perché avente un contenuto specifico poiché espressamente disposta dall’art. 120 C.d.S., applicata dal giudice, ex art. 8 del Codice antimafia, a completamento della misura preventiva personale. In altri termini, il fatto che il preposto sia stato trovato alla guida in assenza dell’apposita licenza, rileva, non tanto per la condotta ex se, come sostenuto nelle ordinanze di rimessione, ma per il motivo che costituisce violazione di una prescrizione impartita da una pubblica autorità con provvedimento definitivo.

Dunque, il diverso trattamento sanzionatorio riservato all’individuo colpito da misure di prevenzione si giustifica per il fatto che quest’ultimo, a differenza degli altri soggetti per cui vale l’ipotesi depenalizzata di cui all’art. 116 co. 15 C.d.S., non ha rispettato un precetto individualmente impartito. Detto altrimenti, il preposto va punito non tanto e non semplicemente per essersi messo alla guida senza patente, ma perché, così facendo, ha finito per violare una prescrizione stabilita dal giudice avente un contenuto specifico (e perciò costituzionalmente compatibile), in quanto richiamante la disposizione prevista all’art. 120 C.d.S.

Inoltre, secondo la Corte costituzionale, l’art. 73 del Codice antimafia, contemplante un c.d. reato di pericolo presunto[12], sarebbe perfettamente in linea con la finalità ultima delle misure di prevenzione, in quanto “la disposizione censurata… è finalizzata a tutelare l’ordine pubblico, potenzialmente posto in pericolo nelle ipotesi in cui sia violata la disposizione di cui all’art. 120 cod. strada, cui è ricollegata la necessità di porre limitazioni agli spostamenti, di impedire o ostacolare la perpetrazione di attività illecite e di rendere meno agevole il sottrarsi ai controlli dell’autorità nei confronti di soggetti pericolosi”[13].

Per i motivi illustrati, la Corte ha, dunque, ritenuto che il diverso trattamento sanzionatorio, riservato ai soggetti interessati da misure di prevenzione personali per un fatto che, se commesso da altro individuo, integrerebbe mero illecito amministrativo, è conforme a Costituzione in quanto fondato su un quid pluris di offensività, in ragione del motivo che l’agente ha violato una prescrizione impartitagli dall’autorità giudiziaria. Conseguentemente, si legge nella sentenza in commento, anche le altre doglianze, in merito all’asserita violazione dei principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di funzione rieducativa della pena (art. 27 co. III Cost.), devono essere rigettate, sul presupposto che tale differente trattamento giuridico si fonda sul diverso grado di disvalore della (medesima) condotta messa in atto dal preposto.

A chiosa del provvedimento, la Corte costituzionale ha specificato, inoltre, che la previsione di diverse conseguenze giuridiche, qualora il fatto, come nel caso di specie, comporti una diversa intensità dell’offesa ai beni giuridici protetti[14], “risponde ad una non irragionevole scelta del [L]legislatore in materia di politiche sanzionatorie[15].

7. Conclusioni

Alla luce di quanto specificato emerge, dunque, come l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 73 del Codice antimafia si fondi su una diversa ratio rispetto alla depenalizzata fattispecie prevista all’art. 116 co. 15 C.d.S.: infatti, se quest’ultima è finalizzata alla tutela della sola sicurezza stradale, la prima è tesa a garantire un più ampio, e solo parzialmente coincidente, bene giuridico, riconosciuto nell’ordine pubblico, in perfetta linea con la finalità ultima assolta dalle misure di prevenzione.

Per tali motivi, concludendo, è piena facoltà del Legislatore scegliere diverse strategie punitive a seconda dell’intensità del disvalore della condotta e del grado di offesa arrecato, con la medesima azione od omissione, al bene giuridico tutelato, purché tale scelta non sia dettata da mero arbitrio come nel caso dei cc.dd. reati d’autore.

 

 

 

 

 

 


[1] Corte cost., sent. 12 settembre 2022, n. 211.
[2] Corte Cass., ord. 10 settembre 2021, n. 184.
[3] Trib. Ravenna, ord. 14 marzo 2022, n. 45.
[4] A. LAGO, Codice penale commentato. Tomo I, E. DOLCINI – G. MARINUCCI (fondato e diretto da), Wolters-Kluwer, Milanofiori Assago (MI), 2015, ed. IV, p. 763
[5] Cfr. Corte Cost., sent. 23 giugno 2005, n. 265.
[6] Cfr. Corte Cost., sent. 24 luglio 1995, n. 360.
[7] Corte cost., sent. 17 luglio 2002, n. 354.
[8] Corte cost., sent. 8 luglio 2010, n. 249.
[9] Cfr. cit. Corte Cass., ord. 10 settembre 2021, n. 184.
[10] Cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Wolters-Kluwer, Milanofiori Assago (MI), 2017, ed. X, p. 851.
[11] Cfr. Corte cost., sent. 24 gennaio 2019, n. 25.
[12] Cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 205.
[13] Così Corte cost., sent. 12 settembre 2022, n. 211.
[14] Al proposito, occorre puntualizzare che tale scelta legislativa non è nuova all’ordinamento giuridico: infatti, a titolo esemplificativo, si può citare il reato tributario di omesso versamento dell’IVA, di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000, per il quale la condotta assume rilevanza penale solo se la somma non versata superi una c.d. soglia (espressamente prevista dal Legislatore) e, quindi, solo qualora comporti un certo grado di offensività al bene giuridico tutelato.
[15] Così Corte cost., sent. 12 settembre 2022, n. 211.

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