Arricchimento senza giusta causa: elementi costitutivi, principio di sussidiarietà e indennizzo

Arricchimento senza giusta causa: elementi costitutivi, principio di sussidiarietà e indennizzo

L’ istituto dell’arricchimento senza giusta causa è disciplinato dall’art. 2041 del nostro codice civile secondo il quale chi si è arricchito senza una giustificata ragione, a danno di altri, è tenuto nei limiti dell’incremento patrimoniale, a indennizzare l’impoverito.

Il fondamento della suddetta norma risiede nel c.d. principio causale secondo il quale, almeno di regola, ogni spostamento patrimoniale deve essere giustificato.

Di conseguenza, se un soggetto si arricchisce a spese di un altro (o si impoverisce a discapito di un altro), senza che sussista un’adeguata giustificazione, l’ordinamento può apprestare un’azione al fine di ripristinare l’originale equilibrio patrimoniale.

Gli elementi costitutivi sono, pertanto, l’arricchimento di un soggetto e il corrispondente impoverimento di un altro, oltre l’assenza di una giusta causa.

Ad oggi, è pacifica, sia in dottrina che in giurisprudenza, la definizione di “arricchimento”.

Con il suddetto termine, infatti, deve intendersi qualsiasi vantaggio conseguito dall’accipiens che abbia natura patrimoniale e sia suscettibile di valutazione economica concreta  ed effettiva. L’arricchimento, pertanto, può avere origine sia dall’iniziativa dell’impoverito, che con la sua azione determina l’incremento del patrimonio di un terzo; sia dall’azione dell’arricchito, che invece agisce utilizzando risolse altrui. Nel primo caso, sono comprese tutte le ipotesi in cui il vantaggio derivi da un’attività volontaria del soggetto il cui patrimonio è stato depauperato. Nel secondo caso, invece, lo squilibrio patrimoniale è mera conseguenza dell’iniziativa dell’arricchito, che in mancanza di autorizzazione, si insinua nella sfera patrimoniale altrui.

Analogamente, la dottrina e la giurisprudenza concordano anche sulla definizione di “impoverimento” individuandola come differenza tra il valore che il patrimonio dell’impoverito avrebbe avuto se il fatto determinante l’arricchimento altrui non si fosse verificato e quello sussistente ad azione verificatasi tenuto conto sia dei fattori che incidono in senso positivo sia di quelli che incidono in senso negativo.

Non sono mancati orientamenti giurisprudenziali che hanno tentato di dare concretezza anche alla generica formula legislativa “senza giusta causa”, ma la dottrina e la giurisprudenza più moderne sembrano orientate nel voler vagliare i singoli casi evitando, così, di tipizzare delle fattispecie. Non si ha, dunque, una definizione unitaria ma, di volta in volta, il giudice dovrà procedere alla valutazione del caso concreto. Nei casi in cui invece l’azione di ingiustificato arricchimento coinvolga una pubblica amministrazione, la Suprema Corte usualmente ha sempre ritenuto necessari per l’esperibilità dell’azione, oltre alla sussistenza degli elementi di cui all’art. 2041 c.c., anche il riconoscimento dell’utilitas della prestazione o dell’opera eseguita poiché, in questi casi, le stesse erano finalizzate al perseguimento di interessi superiori quali, appunto, quelli pubblici. Le Sezioni Unite, con la sentenza del 26 maggio 2015 n. 10798,  arrivano a una soluzione di rottura rispetto l’orientamento tradizionale ed, infatti, sostengono che, a prescindere dalla veste pubblica o privata del soggetto che ha conseguito l’arricchimento, i requisiti indispensabili per l’espletamento dell’azione in questione sono esclusivamente quelli previsti dal codice civile e, pertanto, il “riconoscimento dell’utilitas” non rientrerebbe tra questi.

L’art. 2042 c.c., a tal proposito, specifica altresì che l’azione di ingiustificato arricchimento è esperibile esclusivamente quando lo squilibrio patrimoniale non può essere regolato con altro mezzo di tutela. Siamo, pertanto, in presenza di una clausola di sussidiarietà. Tale previsione normativa ha fatto discutere notevolmente la dottrina recente. Secondo un primo orientamento, infatti, si tratterebbe di un istituto residuale e, dunque, l’azione non potrebbe essere esperita in presenza di altri rimedi anche se astratti. Secondo una diversa tesi, invece, non sarebbe ammissibile solo se il danneggiato concretamente ha a disposizione un’altra azione per far valere le proprie ragioni.

La Suprema Corte ha cercato, infine, di porre dei limiti alla determinazione del  quantum indennizzabile a seguito di azione ex art. 2041 c.c.. A tal fine, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 23385 del 11 settembre 2008, hanno chiarito che l’azione è ammissibile nei limiti dell’ arricchimento conseguito e, per determinare l’esatto ammontare dello stesso, si dovrà tener conto del pregiudizio arrecato e subito dall’impoverito e non del complessivo accrescimento patrimoniale dell’arricchito.


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Marta De Leucio

Laureata con lode presso l'Università degli Studi di Siena. Ha conseguito l'abilitazione alla professione di Avvocato presso la Corte di Appello di Firenze nel 2014. Diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università degli Studi di Siena. Autrice di vari contributi su riviste giuridiche on line. Ha conseguito, rispettivamente, nel 2011 e nel 2016 il Master in Comunicazione Istituzionale presso l'Università "Tor Vergata" nonchè, quello in Amministrazione e Governo del Territorio presso l'Università" Luiss" di Roma . Nel 2011 ha frequentato il corso di perfezionamento e specializzazione per Mediatore civile e Commerciale organizzato dall'Università degli Studi di Siena. Vanta numerosi incarichi professionali presso Pubbliche Amministrazioni, Enti locali e Società di servizi. Ad oggi è, altresì, responsabile della sede Confconsumatori di Avellino.

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