Azione revocatoria e trust: presupposti e limiti

Azione revocatoria e trust: presupposti e limiti

Azione revocatoria, trust e litisconsorzio necessario: quali presupposti e quali limiti

Nota a Cass., 29 maggio 2018, n. 13388

Sommario: 1. Introduzione – 2. Il trust interno: ammissibilità, limiti e presupposti – 3. Tipologie di trust: casistica – 4. Trust opaco e trust trasparente – 5. Trust e azione revocatoria – 6. Conclusioni

1. Introduzione

Con sentenza del 29 maggio 2018, n. 13388 la Cassazione è tornata ad occuparsi dell’istituto del trust, oggetto, invero, di scarsa attenzione da parte della giurisprudenza di legittimità, anche se proprio negli ultimi anni si registra un trend positivo che vede il giudice della nomofilachia esprimere fondamentali principi in materia.

In particolare, la Corte si è occupata di un profilo specifico del trust, inerente alla eventuale legittimazione processuale, alla stregua di litisconsorte necessario, del beneficiario di un trust nell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. proposta da un terzo contro un atto dispositivo di un bene in trust.

2. Il trust interno: ammissibilità, limiti e presupposti

Prima di esaminare la questione specifica posta all’attenzione della Corte, occorre effettuare una breve premessa in ordine all’istituto del trust nel nostro ordinamento giuridico.

Il trust, istituto di matrice anglosassone cui hanno dato vita, presumibilmente, i tribunali di equità – propri degli ordinamenti di common law -sulla base dell’antica fiducia di stampo romanistico, è un fenomeno gestorio che può essere assimilato alla proprietà conformata, volta al perseguimento di determinate finalità. Per mezzo del trust, infatti, un soggetto (cd. settlor) trasferisce uno o più beni al gestore (cd. trustee) imponendogli determinati obblighi gestori e soprattutto il dovere di ritrasferire tali beni alla scadenza ad un beneficiario (c.d. beneficiary) indicato dal disponente o dal trustee o, infine, da terzi.

Pertanto, il trust dà luogo ad un fenomeno di segregazione e destinazione patrimoniale in forza del quale i beni oggetto del trust entrano nel patrimonio del trustee non confondendosi però con gli altri beni di quest’ultimo ma andando a costituire una massa separata; dunque, per effetto del trust, il settlor si spoglia della proprietà dei beni che viene trasferita al trustee con il compito di amministrarli secondo le modalità individuate nell’atto programmatico del trust medesimo.

Poiché i beni oggetto del trust costituiscono una massa autonoma e separata, essi, com’è noto, non possono essere aggrediti né dai creditori del trustee né dai creditori del settlor, ma solo dai creditori della massa separata e, in caso di fallimento del trustee, non possono essere, evidentemente, ricompresi nella massa attiva. In ciò risiede, allora, il vantaggio primario di tale istituto che fa sì che esso si presti particolarmente ad essere usato nell’ambito della famiglia, anche della famiglia di fatto. E, invero, è frequente la costituzione di un trust tra conviventi, non potendo gli stessi accedere all’istituto, strettamente riservato ai coniugi, della convenzione matrimoniale (art. 162 c.c.).

Dei due effetti che connotano il trust rispetto ai beni che ne sono l’oggetto e cioè a dirsi quello di destinazione e quello segregativo è il primo il principale, essendo l’effetto segregativo – da cui la sottrazione all’aggressione da parte dei creditori personali del trustee ex art. 11 comma 1 lett. a) legge n. 369/1989 (di ratifica della Conv. dell’Aja) – strumentale alla realizzazione dell’interesse cui mira la destinazione del bene e cioè all’interesse del beneficiario che integra, quindi, la ragione costitutiva del trust.

L’effetto dell’atto di disposizione patrimoniale è rappresentato dalla dissociazione tra intestazione dei beni a nome del trustee e titolarità degli stessi che è, invece, propria del beneficiario. Tale dissociazione permette di comprendere a chi spetta propriamente la legittimazione passiva nel giudizio di revocazione degli atti di disposizione compiuti sui beni in trust (Cass. 19376/2017).

Il trust è stato disciplinato dalla Convenzione dell’Aja del 1985, recepita nel nostro ordinamento con l. 364/1989; la Convenzione detta disposizioni comuni relative alla legge applicabile dal giudice italiano chiamato a risolvere conflitti nel caso in cui i beni del trust creato da uno straniero siano situati in Italia (trust internazionale). Discussa è, pertanto, l’ammissibilità del trust interno cioè creato da cittadini italiani e con beni situati in Italia.

La giurisprudenza più recente sembra, tuttavia, pienamente orientata nel senso della sua ammissibilità, sebbene non siano intervenute in materia sentenze rese a Sezioni Unite e sebbene l’istituto si presti, in astratto, a configgere con alcuni fondamentali principi del nostro ordinamento, come il divieto di patti successori (art. 458 c.c.), il principio di tipicità e numero chiuso dei diritti reali e il principio della responsabilità patrimoniale generica del debitore di cui all’art. 2740 c.c. (Cass., 10105/2014; Cass. 25478/2015).

Peraltro, di recente, con la cosiddetta “legge sul dopo di noi” (l. n. 112/2016) che consente la creazione di un fondo per l’assistenza e il sostegno ai disabili privi dell’aiuto della famiglia e agevolazioni per privati, enti e associazioni che decidono di stanziare risorse a loro tutela (art. 7), si è ormai ritenuto, da parte di alcuni, e certamente in senso autorevole che l’istituto del trust interno sia stato pienamente riconosciuto nel nostro ordinamento da parte del legislatore.

3. Tipologie di trust: casistica

Se questa è la struttura essenziale dell’istituto, è anche vero che il trust può assumere nella realtà le forme più disparate: in particolare, è possibile che il disponente assegni a se stesso il compito di gestire i beni (trust autodichiarato), assumendo così sia il ruolo di settlor che di trustee, ovvero che non vi sia alcun beneficiario (trust di scopo); è altresì possibile, secondo quanto di recente riconosciuto anche dalla giurisprudenza, il trust liquidatorio, cioè quello che in concreto serve alle parti per disciplinare in anticipo i profili inerenti al fallimento di una azienda.

E, invero, la giurisprudenza più recente, nell’esaminare l’ampia casistica in materia di trust, appare orientata ad un esame della meritevolezza in concreto che con tale istituto le parti intendono perseguire nell’ambito dell’autonomia privata loro riconosciuta dall’art. 1322 c.c. e che oggi – si ritiene – trova implicita copertura costituzionale negli artt. 2, 3 e 42 Cost.

Dunque, per valutare caso per caso l’astratta ammissibilità del trust, la giurisprudenza esamina la causa in concreto del negozio.

Al di là delle varie sfumature che può assumere il trust, è indubbio che esso presenti notevoli affinità con il negozio fiduciario; a differenza, di quest’ultimo, però, nasce per assicurare la totale estraneità del disponente alle successive vicende relative ai beni. Allo stesso modo, il trust presenta notevoli affinità anche con il patto di famiglia, ma mentre quest’ultimo può essere creato per soddisfare bisogni attinenti esclusivamente alla famiglia, il trust, invece, è caratterizzato da una maggiore libertà di scopo.

4. Trust opaco e trust trasparente

La circolare n. 61/2010 conferma la differenza tra trust opaco – quello in cui i beneficiari non sono individuati- e trust trasparente con beneficiari, invece, individuati.

Pertanto, il trust si definisce opaco quando i suoi beneficiari non sono concretamente individuati né facilmente individuabili in base all’atto programmatico; ciò comporta, da un punto di vista fiscale, che la tassazione rimane in capo al trust, mentre ai beneficiari, solo al momento della loro individuazione, proverrà il risultato della gestione al netto delle imposte già versate. Quanto detto aiuta allora a comprendere quali possono essere i vantaggi di un trust opaco per i suoi beneficiari; questi ultimi, in quanto non individuati, fino al momento della completa determinazione, non percepiscono i proventi del trust medesimo e, di conseguenza, non pagano le tasse, cosa che avviene solo al momento della loro individuazione.

5. Trust e azione revocatoria

Nella sentenza del 29 maggio 2018, n. 13388 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della legittimazione passiva, alla stregua di litisconsorti necessari, dei beneficiari di un trust istituito per la famiglia.

E, invero, della questione già la Cassazione era stata investita nel 2015 (sentenza n. 25478/2015) nonché nel 2017 (sentenza n. 2043/2017 e sentenza n. 19376/2017). In particolare, con la sentenza n. 19376/2017, i giudici di legittimità avevano affermato che i beneficiari del trust non sono legittimati passivi dell’azione revocatoria avente ad oggetto i beni del trust, quando non sono titolari di diritti attuali su questi beni. Oltre al debitore, unico legittimato passivo è il trustee, in quanto «unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non quale legale rappresentante, ma come colui che dispone del diritto», nonché soggetto capace di agire ed essere citato in giudizio ai sensi dell’art. 11 della Convenzione adottata a L’Aja il 10 luglio 1985 ratificata con legge 16 ottobre 1989, n. 364.

Ponendosi sulla scorta di tali coordinate ermeneutiche, con la sentenza n. 13388/2018 la Corte ha chiaramente affermato che “nell’azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto bene in trust lo stato soggettivo del terzo rilevante nel caso di atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso è quello del beneficiario e non quello del trustee” e che “nell’azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto bene in trust il beneficiario è litisconsorte necessario esclusivamente nel caso di atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso”.

Preliminarmente, la Corte chiarisce che l’indagine relativa ai presupposti per esperire l’azione revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901 c.c., se posta in relazione all’istituto del trust, risente delle peculiarità di quest’ultimo, quale figura giuridica proveniente da una tradizione, quale quella di common law, estranea al nostro ordinamento, per cui le nozioni di atto di disposizione patrimoniale e di terzo cui fa riferimento l’art. 2901 c.c. vanno adeguatamente parametrate alle peculiarità del trust.

Sotto tale profilo, va considerato, allora, che, siccome l’effetto dell’atto di disposizione patrimoniale è rappresentato dalla dissociazione tra intestazione dei beni a nome del trustee e titolarità degli stessi che è, invece, quello del beneficiario, è solo tale dissociazione che permette di comprendere fino in fondo a chi spetti la legittimazione passiva nel giudizio di revocazione degli atti di disposizione compiuti sui beni in trust. E, invero, come già affermato da Cass. 19376/2017, ai fini dell’azione revocatoria il profilo della intestazione del bene comporta la legittimazione passiva del trustee in quanto titolare del diritto ceduto in base all’atto dispositivo e di cui si domanda l’inefficacia relativa intesa, invero, come inopponibilità dell’atto dispositivo nei suoi riguardi. Dunque, come riconosciuto anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, la legittimazione in giudizio nei confronti dei terzi proponenti l’actio pauliana ex art. 2901 c.c. spetta al trustee che dispone in via esclusiva dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato[1].

Il profilo della titolarità dell’interesse al bene condiziona invece l’estensione del campo del litisconsorzio necessario. E, invero, secondo la Cassazione, “l’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall’atto istitutivo soltanto facoltà, non connotate da realità, assoggettate a valutazioni discrezionali del trustee; conseguentemente, deve escludersi che i beneficiari non titolari di diritti attuali sui beni siano legittimati passivi e litisconsorti necessari nell’azione revocatoria avente ad oggetto i beni in trust, spettando invece la legittimazione, oltre al debitore, al trustee, in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi”.

Quanto detto comporta che il profilo soggettivo dell’azione revocatoria rilevante al fine di stabilire se l’atto sia a titolo oneroso o gratuito dovrà essere valutato in relazione al beneficiario in quanto, come detto, quest’ultimo è titolare dell’interesse rispetto al quale emerge la natura (onerosa o gratuita) dell’atto; viene così in primo piano il rapporto tra disponente e beneficiario che potrà in concreto assumere le caratteristiche di un rapporto di garanzia, solutorio o (gratuito) di soddisfazione dei beni della famiglia. Pertanto, il problema del litisconsorzio necessario nell’azione revocatoria relativa a disposizione patrimoniale in trust va risolto sulla base del criterio della natura dell’atto e della rilevanza dell’elemento psicologico dal punto di vista del terzo: se, avuto riguardo all’interesse del beneficiario, l’atto dispositivo è a titolo oneroso, lo stato soggettivo del terzo è elemento costitutivo della fattispecie e dunque il terzo, beneficiario dell’atto, è da qualificare alla stregua di litisconsorte necessario; all’opposto, se l’atto è a titolo gratuito, lo stato soggettivo del beneficiario non rileva quale elemento costitutivo della fattispecie sicché questi non è litisconsorte necessario nell’azione revocatoria avente ad oggetto i beni in trust.

6. Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha risolto il problema della legittimazione passiva nell’azione revocatoria avente ad oggetto beni in trust facendo riferimento allo stato soggettivo del beneficiario che, in quanto titolare dell’interesse, permette di stabilire se l’atto compiuto sia a titolo oneroso o gratuito con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di revocatoria ex art. 2901 c.c. rispetto ad eventuali terzi.

Analizzando questa sentenza in rapporto alle precedenti emerge, dunque, che la legittimazione passiva spetta, in primo luogo, al trustee che è il formale titolare del diritto (ceduto) in base all’atto dispositivo e di cui si domanda, ex art. 2901 c.c., l’inefficacia relativa; a questi si aggiunge, alla stregua di litisconsorte necessario in giudizio, anche il beneficiario in quanto effettivo titolare dell’interesse sotteso all’atto di disposizione e, anzi, la sua posizione è rilevante per valutare quello stato soggettivo che l’art. 2901 c.c. considera come presupposto imprescindibile per individuare anche l’atteggiamento di eventuali terzi rispetto all’atto.

La Corte, allora, pregevolmente distingue tra titolarità formale ed esclusiva dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato che spetta al trustee, unico perciò legittimato passivo in giudizio nei confronti dei terzi, e titolarità, invece, dell’interesse al bene la quale condiziona invece solo il campo di estensione del litisconsorzio necessario.

Questo dato è importante per comprendere in cosa si sostanzi concretamente il vantaggio della istituzione di un trust per il beneficiario fino a quando a quest’ultimo non siano trasferiti o ceduti i diritti sui beni in trust; e, invero, i beneficiari rispetto a tali beni sono titolari di mere facoltà, non connotate da realità, e assoggettate a mere valutazioni discrezionali del trustee, come chiaramente afferma la Corte.


[1] Cass., 22 dicembre 2015 n. 25800 e Cass., 27 gennaio 2017, n. 2043.


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Dottoressa in giurisprudenza con lode presso l'università degli studi di Napoli Federico II con tesi di laurea in storia del diritto romano dal titolo: "La Constitutio Antoniniana". Ha svolto con esito incondizionatamente positivo il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso gli Uffici Giudiziari di Napoli ed è iscritta al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Napoli come praticante, svolgendo la pratica forense principalmente nel settore del diritto civile. Attualmente svolge uno stage all'interno della Segreteria Tecnica dell'Arbitro Bancario e Finanziario - Collegio Territoriale di Napoli.

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