Deindicizzazione: quando il diritto all’oblio incontra un limite territoriale

Deindicizzazione: quando il diritto all’oblio incontra un limite territoriale

Il diritto all’oblio, in una società e in un’epoca in cui ogni individuo può accedere facilmente ad internet, è ormai strettamente connesso al diritto alla deindicizzazione dei dati personali. Quest’ultimo può essere fatto valere  dall’interessato nel caso di trattamento dei dati personali illecito, attraverso la richiesta di cancellazione del proprio nome dai motori di ricerca, in modo da non rendere più visibili in rete i risultati delle ricerche inerenti il proprio nominativo.

Ma si tratta di un diritto privo di limiti?  A questa domanda prova a dare una risposta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza del 24 settembre 2019  Causa C 507/17.

IL CASO 

Con decisione del 21.05.2015 la CNIL (Commission Nationale de l’Informatique et des Libertes), accogliendo la domanda di una persona fisica volta ad ottenere la soppressione di alcuni link dall’elenco dei risultati visualizzati in esito ad una ricerca a partire dal suo nome, ha intimato a GOOGLE di procedere alla cancellazione richiesta su tutte le estensioni del nome di dominio del suo motore di ricerca.

La società però si era limitata a sopprimere detti link dai soli risultati visualizzati in esito a ricerche effettuate sulle versioni del motore di ricerca il cui nome di dominio corrispondeva ad uno Stato membro dell’Unione Europea.

La CNIL, posto che Google non si era conformato alla diffida, lo condannava ad una sanzione di € 100.000,00.

Contro questa decisione Google presentava ricorso al Consiglio di Stato per chiederne l’annullamento, ritenendo che il diritto alla deindicizzazione non poteva essere fatto valere senza limitazioni geografiche.

Il Consiglio di Stato Francese, ritenendo di non facile soluzione la controversia, poneva alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il seguente quesito:

le norme europee in materia di protezione dei dati personali, e quindi di deindicizzazione, devono essere applicate all’interno del solo Stato membro di residenza del richiedente, in tutti gli Stati membri o è possibile farlo a livello mondiale?

IL RAGIONAMENTO DELLA CORTE

La Corte, chiamata a pronunciarsi sul caso, precisa che se da una parte è vero che una deindicizzazione effettuata su tutte le versioni di un motore di ricerca è idonea a soddisfare pienamente l’obiettivo di un elevato livello di protezione dei dati personali in tutta l’Unione Europea, dall’altra si deve sottolineare che molti Stati terzi non riconoscono il diritto alla deindicizzazione o adottano un approccio diverso nei suoi confronti.

Non si tratta quindi di una prerogativa assoluta: il diritto alla protezione dei dati va bilanciato con la libertà di informazione e con altri principi fondamentali, che potrebbero subire delle variazioni di Paese in Paese.

Per tale motivo, allo stato attuale, non sussiste per i gestori di motori di ricerca, che accolgono richieste di deindicizzazione, un obbligo di effettuarla su tutte le versioni dei motori di ricerca stessi, ma solo in relazione alle versioni dei Paesi appartenenti all’UE, come imposto dal diritto dell’Unione Europea.

Tuttavia la Corte di Giustizia riconosce che è compito del gestore del motore di ricerca adottare, se necessario, misure sufficientemente idonee ed efficaci a garantire una tutela effettiva dei diritti fondamentali della persona interessata: il gestore deve quindi impedire agli utenti internet negli Stati membri di avere accesso ai link in questione a partire da una ricerca effettuata sulla base del nome dell’interessato.

Sottolinea infine che un’autorità di controllo o un’autorità giudiziaria di uno Stato membro resta comunque competente ad effettuare un bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e dei suoi dati personali ed il diritto alla libertà di informazione e, al termine di detto bilanciamento, richiedere al gestore del motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le sue versioni.

In tal senso, sarebbe auspicabile adottare procedure che scoraggino gli utenti esterni all’Unione dall’effettuare ricerche sul materiale deindicizzato all’interno dell’Unione stessa.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA.

Alla luce delle considerazioni sopra riportate, la Corte di Giustizia dichiara che

il gestore di un motore di ricerca, quando accoglie una domanda di deindicizzazione, è tenuto ad effettuarla non in tutte le versioni di tale motore, ma solo nelle versioni corrispondenti a tutti gli Stati membri; ciò, se necessario, in combinazione con misure che consentano effettivamente di impedire agli utenti di internet, che effettuano una ricerca sulla base del nome dell’interessato a partire da uno degli Stati membri, di avere accesso al link oggetto della domanda di deindicizzazione.


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Elisa Nardocci

Nata a Viterbo nel 1990, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza nel gennaio 2017 presso l'Università di Roma "La Sapienza", discutendo una tesi in diritto processuale civile dal titolo "La conciliazione stragiudiziale delle controversie di lavoro", relatrice Prof.ssa Roberta Tiscini. Dal febbraio 2017 svolge pratica forense presso uno studio legale che si occupa prevalentemente di diritto civile, di famiglia, del lavoro e previdenziale.

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