Diritto di morire: in Svizzera si può,  l’Italia rinvia la decisione al 2019

Diritto di morire: in Svizzera si può, l’Italia rinvia la decisione al 2019

Ogni giorno un uomo, in mezzo a mille indifferenti, si batte per vedersi riconosciuto il diritto ad una morte dignitosa in luogo di una vita di intollerabili sofferenze fisiche e psichiche dovute ad una malattia incurabile.

Alcuni di loro decidono, rendendosi punto di riferimento per altri, di rendere pubblica la propria tragedia; non per celebrità, non per eroismo, ma per lanciare un appello a chi non vuol sentire: alle istituzioni, ai cittadini inermi poiché si affronti, in maniera compiuta ed esaustiva, la questione di una nuova legislazione sul fine vita.

Perché in Svizzera si può?

In Europa il suicidio assistito è legale anche in molti Paesi ma solo le cliniche Svizzere offrono il servizio anche ai cittadini stranieri.

Per chi vive in balia della disperazione, la soluzione alla sofferenza patita ha un costo: circa diecimila euro comprensivi di pernottamento, colazione e pulizie da versarsi sul conto della clinica della struttura (pre)scelta.

La “degenza” di questi uomini è accompagnata dal supporto offerto dalle molteplici associazioni no-profit.

Non si parla però di eutanasia attiva, che in greco antico significa letteralmente buona morte, indicante l’intervento medico volto ad abbreviare l’agonia di un malato terminale, ma di suicidio assistito, caratterizzato dall’attività e della compartecipazione del malato il quale compie, esso stesso, l’ultimo estremo gesto atto ad assumere i farmaci che gli allevieranno, per sempre, le sofferenze patite.

Necessaria è la stesura prodromica un testamento biologico, da inviare con le cartelle cliniche alla struttura scelta; ivi, dinnanzi a tre testimoni, il malato nelle sue piene facoltà di intendere e di volere nomina un fiduciario e rilascia le proprie volontà sulla fine della sua esistenza.

Una apposita commissione medica si riunisce, valuterà la documentazione e pondererà la scelta del paziente.

Requisito imprescindibile per ottenere il via libera è l’irreversibilità della malattia, che deve essere clinicamente accertata e senza possibilità di guarigione.

Il malato, sino alla fine. può decidere di tornare indietro in qualsiasi momento o di posticipare l’evento: è una scelta revocabile, è una scelta di vita.

Terminato il procedimento formale, si passa alla fase materiale ove il medico fornisce al paziente un medicinale volto a diminuire il disagio di nausea e vomito.

Il medicinale che porterà all’arresto cardiaco è il Pentobarbital, usato, come se fosse un gioco del destino, sia per l’eutanasia sia per la pena di morte.

La dose fornita al paziente è quattro volte più alta di quella letale, 15 grammi quella assunta da Dj Fabo.

In via autonoma spetterà al paziente berla e, se tetraplegico, rilasciarla mediante l’utilizzo di un pulsante.

In Italia tutto questo è inimmaginabile.

In Italia la sentenza della Corte costituzionale sulla questione che riguarda l’aiuto al suicidio legata al caso di Marco Cappato e Dj Fabo è slittata al 2019.

Il nostro attuale sistema ordinamentale sul fine vita lascia prive di adeguate tutele situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione, situazioni da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti.

Di fatto, al fine di permettere al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina, la Corte Costituzionale ha deciso di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale, sull’aiuto al suicidio, all’udienza del 24 settembre 2019.

L’articolo 580 c.p. punisce <<Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni>>.

La Corte Costituzionale, ha chiesto un intervento del parlamento per colmare un “vuoto legislativo”, dopo che, lo scorso maggio, i PM di Milano hanno inteso chiedere a gran voce l’archiviazione della posizione di Cappato affermando che <<Le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile o indegna dal malato stesso>>. Qualche giorno dopo il GIP ha respinto la suddetta richiesta e, il 10 luglio 2017, dopo che la richiesta d’archiviazione è stata di nuovo respinta, ha disposto l’imputazione coatta per lo stesso  Cappato.

Occorre che il riconoscimento delle disposizioni anticipate di trattamento, c. d. testamento biologico, regolamentate dall’articolo 4 della Legge 219 del 22 dicembre 2017, entrata in vigore il 31 gennaio 2018, siano un punto di partenza e non di arrivo.


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