Gesù, Tiberio e il senatus consultum del 35 d.C.: una prova giuridica della storicità del Cristo

Gesù, Tiberio e il senatus consultum del 35 d.C.: una prova giuridica della storicità del Cristo

Sommario: 1. Una storia incredibile – 2. Fasi della ricerca storica su Gesù – 3. Indagine sul senatus consultum del 35 d.C.

 

1. Una storia incredibile

Nel I secolo d.C., il senatus consultum, ossia la delibera assunta dal Senato in determinate materie, prende il posto della lex. Sorto in età regia, quale mero parere fornito al sovrano su esplicita richiesta ai senatores, come tale privo di forza giuridica e semmai autorevole opinione fornita dagli anziani, l’efficacia vincolante di tale strumento normativo raggiunge il culmine proprio nell’età imperiale, fino a diventare normale fonte di produzione del jus civile.

Il grande giurista romano Gaio, nelle sue Institutiones (Gai 1.4), afferma “idque legis vicem optinet, quamvis fuerit quaesitum”: consegue forza di legge, benché oggetto di dispute. Tale piena efficacia, diviene poi pacifica tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C.

Nel I secolo d.C., assume, di pari passo, crescente importanza la volontà imperiale nel suo coinvolgimento, diretto o indiretto, nel procedimento di formazione del senatus consultum. L’atto di impulso è spesso la richiesta del princeps, tanto che si definisce oratio principis in senatu habita. L’iniziativa, con la relativa proposta del contenuto che poi verrà formalmente deliberato dall’organo collegiale, può attenere a tutti i settori della vita rilevanti per il diritto, ivi compreso il riconoscimento ufficiale di una religione.

Orbene, nell’anno 35 d.C. – e veniamo così alla storia incredibile – l’imperatore Tiberio, al potere dal 14 d.C., si presenta in Senato per proporre la consecratio, ossia l’assunzione nel Pantheon romano, di una nuova divinità, proveniente dal mondo giudaico, un tale Gesù di Nazareth detto il Cristo.

Lo scopo dell’Imperatore è di conferire liceità al culto di Cristo, e l’organo deputato, nel periodo della dinastia Giulio-Claudia, a deliberare sull’accoglimento della relativa istanza è appunto il Senato.

Il movente di fondo non pare certo un’improbabile conversione al cristianesimo ancora in embrione, da parte di Tiberio, ma un pragmatico atto di politica estera, di cui si dirà meglio dopo.

Di tutta risposta, il Senato, rivendicando il suo diritto a esperire un’autonoma inchiesta sulla vicenda storica, rigetta la proposta relegando la nuova religione allo status di superstitio illicita, ponendo, in tal senso, l’inizio della legislazione anticristiana ed il fondamento giuridico per le successive persecuzioni dei cristiani (Sordi). Solo l’esercizio della facoltà di veto (intercessio) da parte di Tiberio, connaturata alla tribunicia potestas di cui gode quale suprema autorità imperiale, renderà di fatto inoperante il senatus consultum in parola, inibendo le effettive procedure persecutorie. Tale stato rimarrà immutato sino al 62 d.C. quando Nerone revocherà il veto, dando inizio alle effettive persecuzioni dei cristiani.

L’intera vicenda porta a considerare che, incredibilmente, già nei primissimi tempi dalla morte di Gesù – gli anni trenta del primo secolo – Egli viene considerato e adorato, dai suoi contemporanei, come una divinità. Ciò conduce a far ritenere infondata quella larga parte della ricerca storica su Gesù che, a decorrere dalle fasi preliminari dell’Illuminismo, considera la deità di Gesù come l’effetto di un’idealizzazione progressiva, nel corso di decenni e secoli, da parte dei cristiani, Paolo di Tarso in primis.

2. Fasi della ricerca storica su Gesù

Facciamo un salto in avanti: dal 35 d.C. al XVII secolo.

Cosa sappiamo realmente di Gesù? È possibile ricostruire la figura storica? Invero, la questione è stata posta, per la prima volta, in maniera sistematica, proprio nel XVII secolo, quando comincia a svilupparsi la scienza storiografica e il correlativo studio critico delle fonti testuali.

Nel caso di Gesù, iniziano i tentativi di discernere, all’interno dei vangeli, ciò che rappresenta l’effettivo contenuto di resoconti diretti o indiretti di fatti realmente accaduti, da quelli che sono gli aspetti prettamente spirituali ed i messaggi di fede (il kerygma). La tendenza evolve fino al secolo XIX, nel quale molti teologici protestanti tedeschi (la c.d. scuola liberale tedesca), per evitare che il Cristianesimo sfugga al dominio della ragione come misura della verità, prova a ricostruire la vita e la figura storica di Gesù.

Fioriscono infatti molte “vite di Gesù”, le più note, quelle del teologo David Friedrich Strauss (1808-1874) e quella del filosofo e filologo Ernest Renan (1823-1892). Da qui emergono una serie di ritratti attribuiti a Gesù: un maestro di morale, un grande affabulatore, un difensore degli ultimi e degli emarginati, un riformatore sociale, l’espressione più eccelsa dell’umanità, un catalizzatore di folle, un giusto, e così via. Per Renan, “un uomo eccezionale” o anche “l’individuo che ha fatto fare alla sua specie il più grande passo verso il divino”. In tutte, si manifesta l’intento di distinguere tra le verità della ragione e le invenzioni del mito. Ma, in definitiva, il movente comune di fondo appare essere non tanto l’effettivo interesse storico, quanto piuttosto la critica tout court al dogma cristologico.

Strauss in particolare prospetta una radicale distinzione tra i concetti di history (fatto storico, accadimento reale) e story (narrazione, racconto, elaborazione di fatti e ricordi). Esaminando e decontestualizzando i singoli brani evangelici, alla luce di tale metodo bipartito di indagine, fa residuare unicamente un senso mitico, quasi fiabesco, conducendo a sopprimere ogni forma di storicità.

Caratterizzante tale filone, definito Prima Ricerca storica su Gesù (Old Quest), è la tesi assunta dal filosofo illuminista e razionalista Hermann Samuel Reimarus (1694-1768) che introduce, nella scienza critica, il criterio della discontinuità, in virtù del quale è possibile dimostrare, contro il pensiero comune corrente, che non vi è continuità tra il Gesù visto quale Messia politico, ed il Cristo, come predicato dalle prime comunità. Breviter, il Gesù della storia non coincide col Cristo della fede, e la visione dogmatica sarebbe stata introdotta dagli apostoli e dagli evangelisti, i quali avrebbero inventato di sana pianta la resurrezione e predicato “il regno dei cieli” per non dover ritornare alle loro misere vite e poter lucrare onori e utili. La fede cristiana sarebbe, a dire di Reimarus, l’effetto di un inganno perpetrato da un manipolo di uomini, perpetuato nel tempo, sino a perderne memoria.

Non mancano, in seguito, le critiche severe alla Prima Ricerca, soprattutto da parte del teologo Rudolf Bultmann (1884-1976) e del medico e studioso Albert Schweitzer (1875-1965), i quali evidenziano che il metodo adottato non conduce a razionale oggettività, ma semmai tende a non garantire l’elisione di una quota di soggettività, atteso che ciascuno studioso tende a rinvenire nei testi analizzati la figurazione di Gesù che è più aderente ai propri preconcetti di base. In tal senso, la ricerca storica sulla vita di Gesù sembrerebbe non solo impossibile ma anche illegittima per via della natura dogmatica dei racconti evangelici che non sono certo biografie né tanto meno testi storiografici.

Lo scettico Bultmann, nel suo Jesus, non crede a priori al fatto storico della resurrezione che riduce a simbolo teologico, concludendo che non è possibile sapere nulla sulla vita e sulla personalità del Nazareno, in quanto i testi evangelici hanno piuttosto un taglio leggendario. Il “Gesù storico” è fondamentalmente irrilevante per la fede cristiana ed è infinitamente meno importante del “Cristo della fede”. Nel suo Credere e comprendere, afferma altresì che non è Gesù il vero fondatore del cristianesimo, ma Paolo di Tarso: la nuova religione non nascerebbe né dal messaggio né dalla vita di Gesù, ma dalla successiva sua proclamazione quale figlio di Dio e Dio stesso

La fine della Old Quest è delineata da Schweitzer secondo cui il tentativo di risalire al Gesù storico, scevro dalla veste dogmatica della fede, si dimostra di fatto non possibile.

L’iniziatore della New Quest è considerato il teologo e discepolo di Bultmann, Ernst Käseman (1906-1998), che si mostra convinto che, partendo dai vangeli, sia in effetti possibile risalire alla storicità, sebbene non assoluta, dei facta e dei dicta Jesu. Ribadisce che certamente i vangeli non ci restituiscono un accesso diretto alla testimonianza dei contemporanei di Gesù, ma sono il frutto di una ricomposizione letteraria e teologica dei primi cristiani. Pertanto è indispensabile approntare dei criteri finalizzati alla ricerca di una coincidenza, quanto più stretta possibile, con la sostanza e l’intenzionalità delle parole e dei gesti. Quelli suggeriti dallo studioso sono molteplici, si va dall’attestazione multipla di un fatto o di un detto alla dissomiglianza, dalla coerenza all’imbarazzo (più un’affermazione è imbarazzante per chi la scrive, più probabilmente è vera), dall’aramaicità (riconducibilità all’originaria oralità in lingua aramaica) sino a quello reputato più efficace e dirimente: il criterio della dissomiglianza, o della originalità. Più un fatto o un detto è differente da qualcosa di tipicamente giudaico dell’epoca o dalla rilettura cristiana postuma, più è storicamente verosimile.

Tuttavia, la criticità palese della Nuova Ricerca è l’eccessiva tendenza strumentale a contrapporre Gesù al giudaismo, allo scopo di affermarne, in uno, la sua storicità e la sua incredibile singolarità.

Tale linea di ricerca evolve nella cosiddetta Terza Ricerca (Third Quest) che rappresenta l’attuale prospettiva d’indagine. Inaugurata all’incirca negli anni Ottanta del secolo scorso, risulta caratterizzata principalmente da una rinnovata e multifattoriale fiducia nei confronti del metodo della continuità o plausibilità storica, promanante dal massivo ricorso all’ausilio di altre scienze (archeologia, filologia, fisica, etc.), dall’uso di diversi criteri sempre più complessi e sofisticati, dalla consultazione di un accresciuto numero di fonti. L’intento di questa fase della Ricerca è quello di rovesciare il criterio negativo della New Quest nei confronti del giudaismo e di cercare invece le radici del Gesù storico proprio nel giudaismo palestinese del I secolo.

Tre sono gli elementi fondanti tale fase della Ricerca: a) l’utilizzo di nuove fonti giudaiche di comparazione come il Vangelo di Tommaso contenuto nei manoscritti di Nag Hammadi scoperti nel 1945, i rotoli di Qumran rinvenuti nel 1947, la letteratura giudaica antica, gli studi sui samaritani e i sadducei, le scoperte archeologiche più significative avvenute in Galilea e in Giudea; b) la maggiore fiducia nella storicità dei vangeli, recuperandone il loro spessore di memoria comunitaria attinta da pregresse origini di natura orale e dall’ipotetica fonte Q; c) l’importanza del Gesù storico anche sotto il profilo eminentemente teologico.

Dunque, la Terza Ricerca tende a formulare un nuovo paradigma storiografico, metodologico e teologico che connette il Gesù storico ed il kerygma cristologico di fede: finalità precipua è il superamento della frattura tra la fede in Cristo e la storia di Gesù.

Il lungo e travagliato percorso, aperto dalla storia della ricerca su Gesù, sembra essere addivenuto alla conclusione che la formula originaria secondo cui “Gesù è il Cristo” non è affatto un’invenzione dei primi cristiani per architettare la storia di una frode, ma la definizione omnicomprensiva della figura storica di Gesù, una personalità incredibilmente singolare, nel contesto della sua ebraicità.

In sintesi, come autorevolmente indicato dal teologo e biblista Segalla, si sono succedute, nel tempo, tre fasi corrispondenti a “tre paradigmi successivi della ricerca del Gesù storico come: illuministico, kerigmatico e postmoderno”.

Più recentemente, autori come James Dunn (1939-2020) e Joseph Ratzinger (1927-2022) indicano la via per l’inizio di una possibile Quarta Ricerca che non supera ma integra la precedente. La metodologia suggerita dagli studiosi invita a liberarsi dal peso del razionalismo di certe pretese esasperate di scientificità, prospettando di uscire da un’indagine meramente letteraria, per recuperare l’attenzione alla tradizione orale, profilando tecniche funzionali ad esaminare le dinamiche della memoria, traslando l’interesse sul nesso che essa ha con l’oralità e la scrittura. Risulta importante mantenere l’attenzione nei confronti della storia, che garantisce un approccio oggettivo, senza però sottovalutare anche l’aspetto narrativo, descrittivo e soggettivo. Non basta infatti dire che cosa Gesù ha fatto, ma è essenziale conoscere che cosa volesse fare e quali intenzioni fossero sottese alle sue scelte, e come mai i narratori dei vangeli hanno selezionato determinati fatti e determinati detti. Per quanto complessa, questa potrebbe essere la strada per superare un’ingiustificata e inutile contrapposizione fra il Gesù della storia e il Cristo della fede.

Nel solco del recente cammino così tracciato, in via complementare si pongono gli studi di filologia ed esegesi delle fonti extracristiane tesi a individuare conforto ai fatti narrati dagli evangelisti e ai protagonisti della vicenda terrena di Gesù Cristo, con un approccio multidisciplinare che consideri, oltre agli aspetti più eminentemente linguistici, anche la chiave storico-giuridica.

Particolare interesse suscitano, in tal senso, gli studi in ordine al citato senatus consultum del 35 d.C.

3. Indagine sul senatus consultum del 35 d.C.

Mentre il Cristianesimo è agli albori della sua storia millenaria, nella preliminare prospettiva di definire la propria identità rispetto alle radici giudaiche, mentre è ancora vivo l’odore di Gesù sul legno del patibulum, il vecchio imperatore Tiberio, reso edotto della presunta resurrezione di Cristo, lascia la sua villa caprese, presso cui ha trasferito la residenza dal 27 d.C., e si reca a Roma.

Raramente torna nell’Urbe, in genere manda i suoi legati o tratta col Senato le questioni di pubblico interesse mediante corrispondenza epistolare. Stavolta però ha una delicata incombenza da compiere. Deve proporre qualcosa di particolarmente urgente, che riveste importanza di Stato, al vaglio dei senatori. Qualcosa che ha molto a cuore, per la migliore tutela dell’Impero che, sotto la sua reggenza, ha ormai raggiunto la massima espansione di sempre.

Si consideri che, in ordine ai suoi rapporti col Senato, Tiberio segue il modello augusteo (Scullard): cerca sinceramente una cooperazione, ne amplia le funzioni, partecipa spesso alle sedute, lo consulta anche su questioni che è in grado di gestire solo. Prende addirittura parte ai dibattiti come un senatore qualsiasi, rispettando sempre la libertà di parola e di confronto. Le competenze del Senato vengono via via estese in molti campi, raggiungendo il culmine del potere normativo.

Ebbene, l’uomo più potente del pianeta è arrivato a Roma per proporre al Senato l’assunzione, nel Pantheon degli dei, di una nuova divinità, il figlio di un falegname della Galilea, una regione ai confini orientali dell’Impero. Si tratta di un pacifico uomo di circa trent’anni, giustiziato in croce ma poi, a dire delle informazioni acquisite, inspiegabilmente risorto dai morti. Un uomo che, all’indomani della sua morte, viene già adorato come una divinità, e sul conto del quale, di recente, Tiberio ha ricevuto un rapporto dal praefectus Iudaee, Ponzio Pilato.

Deve aver letto di cose straordinarie ed impressionanti, l’Imperatore.

Il Senato, al termine delle procedure deliberative, respinge l’istanza imperiale, rivendicando il suo diritto ad esperire un’indagine propria sulla vicenda. L’organo collegiale è probabilmente geloso delle sue prerogative e nonostante il lungimirante spirito collaborativo di Tiberio, finalizzato al compromesso e alla cooperazione amministrativa, sono ormai secoli che è cresciuto, seppure in maniera velata, il dissidio politico verso chi, nei vari periodi storici, si trovi al governo (re, consoli della Repubblica, Cesare dittatore, imperatori). In pratica, il Senato si è via via conquistato uno spazio di potere sempre più ampio che vuole esercitare in maniera ferma ed inderogabile, prefigurandosi così, in qualche misura, lo scontro tra il Parlamento e la Monarchia che, sedici secoli dopo, in Inghilterra, porterà alla nascita delle moderne monarchie costituzionali.

A dispetto della motivata iniziativa imperiale, iI senatus consultum adottato finisce per designare come superstitio illicita la nuova religione dell’Uomo crocifisso, ponendo la base normativa per le successive persecuzioni dei cristiani (Sordi). Tiberio, pragmaticamente e nell’esercizio della dialettica politica, è quindi costretto ad attivare il potere giuridico, connaturato alla tribunicia potestas, di cui gode quale suprema autorità imperiale: pone il veto (intercessio) all’esecuzione della delibera senatoria. I successivi imperatori, Caligola e Claudio, conserveranno immutato lo status quo ante. Sarà Nerone a revocare il veto nel 62 d.C., inaugurando la lunga e sanguinosa stagione delle persecuzioni dei cristiani.

La proposta di consecratio da parte di Tiberio non è certo mossa da un’improbabile conversione, benché non manchi una certa tradizione in tal senso, fondata su di un singolare episodio di guarigione dell’Imperatore, ottenuta grazie alla Tunica del Signore portatagli da santa Veronica.

Invero, egli ha un movente di natura squisitamente politica, correlato alla situazione della Palestina: la notizia di una nuova setta giudaica, osteggiata dalle autorità ufficiali, ma accolta da una parte del popolo, la cui diffusione elimina dal messianismo la tensione sediziosa, la violenza politica e antiromana, e ne accentua invece il carattere religioso e morale, non può che allettare Tiberio.

Del resto, come ci ricorda Tacito nei suoi Annales (VI, 32), la sua linea politica è da sempre improntata alla soluzione dei conflitti consiliis et astu, con l’astuzia e l’abilità diplomatica, evitando in prima battuta l’utilizzo della forza e della repressione. Legalizzando quella che debba apparirgli un movimento religioso connotato da questo messianismo pacifico, accogliente tra le sue fila numerosi seguaci nelle classi popolari della Giudea, l’Imperatore intende sottrarre al Sinedrio ogni forma di giurisdizione su di essa, come già accaduto nei confronti dei samaritani, ormai fedeli a Roma, e così perseguire la pax di una provincia tumultuosa. Tale scelta può essere funzionale a neutralizzare il nazionalismo ebraico, zelota, che inizia a preoccupare Roma.

Di fatto, Tiberio è poi costretto a intervenire, nel biennio 36-37 d.C., esercitando l’imperium proconsulare maius di cui è supremo titolare, inviando il suo legato plenipotenziario, Lucio Vitellio, per mettere ordine nell’area, tra l’altro deponendo Caifa e rispedendo a Roma Pilato, sostituito da Marcello, secondo quanto riportato dallo storico Flavio Giuseppe nelle sue Antichità Giudaiche (XVIII 4, 2-3).

Quali sono le fonti di questa incredibile storia?

Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (160-240), avvocato di Cartagine convertitosi al Cristianesimo nel 195, nella sua Apologia, con grande acume giuridico ed impostazione forense, esamina accuse e provvedimenti imperiali, iniqui ed irragionevoli, contro i Cristiani. Chiarisce che la formula persecutoria “Non è lecito che voi esistiate” va ricondotta ad un senatus consultum sotto Tiberio.

Tiberio, al cui tempo il nome cristiano apparve nel mondo, ricevute informazioni dalla Siria Palestina che rivelavano colà l’esistenza di questa divinità, portò la cosa al Senato dando per primo il suo voto favorevole. Il Senato, non avendo esso stesso appurato quei fatti, respinse (la richiesta imperiale). Cesare restò del suo parere, minacciando di pena quanti avessero accusato i Cristiani” (Apologeticum, 5, 1-2).

Ma quando viene a conoscenza, Tiberio, dell’esistenza di Gesù?

Tale notizia è restituita da Eusebio di Cesarea (260-339), nella Storia Ecclesiastica, come successivamente riportato da san Girolamo (347-420), nel Chronicon, dove viene indicato che l’arrivo a Roma della relazione di Pilato dovrebbe attestarsi nell’anno 35 d.C.

Inoltre san Giustino di Nablus (100-163/167), filosofo cristiano martirizzato al tempo di Marco Aurelio, che non menziona invero la deliberazione senatoria ma, nella sua Apologia Prima, rivolta ad Antonino Pio e al Senato, invita costoro a trovare conferma di quanto esposto – ossia le notizie relative a Gesù Cristo – negli Atti di Pilato che evidentemente costituiscono un vero e proprio rapporto informativo (menzionato anche da Tertulliano) custodito negli archivi imperiali: egli quindi conferma, rimandando esplicitamente agli archivi imperiali, che Pilato inviò a Tiberio una relazione su Gesù.

Non finisce qui.

Tornando al passo di Tertulliano, la notizia del senatoconsulto tiberiano non risulta essere un’invenzione apologetica ma deriva a lui dagli atti del processo a carico del senatore cristiano Apollonio (183 d.C.) che viene messo a morte per cristianesimo sotto Commodo, “in base ad un senatoconsulto”, in virtù di quanto afferma Eusebio di Cesarera (HE V 21,4).

Tertulliano, da cristiano, non avrebbe interesse a inventare la delibera di condanna del Senato, ossia ad ammettere, con una contra se pronuntiatio, l’esistenza di una base giuridica, per quanto ingiusta o criticabile, a legittimare le persecuzioni. Egli non intende elogiare Tiberio come protettore dei Cristiani, ma stigmatizzare i pagani per i quali un dio è tale solo perché l’autorità lo ha decretato e non per la sua natura ontologica di Dio.

A sostegno della storicità del senatoconsulto del 35 non ci sono solo i passi dei citati apologisti cristiani del II secolo. Vi è anche il frammento del filosofo neoplatonico e teologo anticristiano Porfirio di Tiro (233-305) che, in ordine a Cristo, si riporta a un “senatoconsulto unanime”.

Tale passo si trova inserito nell’Apocritus di Macario di Magnesia (II,14), in cui Porfirio, riferendosi certamente all’età tiberiana, polemizza con gli apologisti cristiani della sua epoca: “Perché Gesù, dopo la passione, secondo il vostro racconto, e la resurrezione, non apparve a Pilato, che lo aveva punito, […] o a Erode […] o al sommo sacerdote […] o a molti uomini contemporanei e degni di fede, e soprattutto al Senato e al popolo di Roma, onde essi, stupiti dei suoi prodigi, non potessero, con un senatoconsulto unanime emettere sentenza di morte, sotto accusa di empietà, contro coloro che erano obbedienti a lui […]”

A citare la proposta di Tiberio ed il conseguente rigetto del Senato, è anche lo storico armeno del V secolo Mosè di Corene (410-490) che attinge la notizia da Tertulliano aggiungendo un elemento non derivato da Tertulliano, ossia l’esistenza di un epistolario intercorso, proprio nell’epoca della missione del legato Lucio Vitellio, in Oriente, fra Tiberio e Abgar “il Nero”, toparca di Edessa.

In tali lettere, Abgar esorta Tiberio a intervenire contro i Giudei, per punire i responsabili della crocifissione di Gesù, e l’Imperatore romano risponde di aver già provveduto alla deposizione di Pilato, riservandosi di intervenire contro i Giudei una volta risolti i problemi con gli Iberi del Caucaso, alleati di Roma contro i Parti negli anni del mandato di Vitellio.

La circostanza che Tiberio e Abgar parlino di Gesù significa come, già alla metà degli anni 30, la fama del Cristo sia sopraggiunta non solo a Roma ma anche a Edessa.

Dunque non sembrano residuare dubbi sulla storicità del senatus consultum in parola e tale storicità non può che suffragare la tesi dell’originaria adorazione di Gesù per la sua riconosciuta deità, confermando che il Cristo della fede non è affatto una rielaborazione tardiva di alcuni cristiani. Sicché la frattura tra il Gesù storico e il Cristo della fede appare ricomponibile.

E la formula delle origini, “Gesù è il Cristo“, permane la migliore definizione, omnicomprensiva della figura storica ed a un tempo incredibilmente singolare, dell’Uomo crocifisso, figlio di un falegname e Figlio di Dio, Egli stesso Dio.

 

 

 

 

 

 


Bibliografia essenziale:
AA.VV., sotto la direzione di Mario Talamanca, Lineamenti di storia del diritto romano, Giuffré Editore, Milano, 1989.
Ramelli Ilaria, Sordi Marta, Il senatoconsulto del 35 contro i cristiani in un frammento porfiriano, Rivista Aevum 1-2004, Vita e Pensiero, Milano, 2004.
Ratzinger Joseph, Gesù di Nazaret, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2011.
Scullard Howard H., Storia del mondo romano, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1992.
Segalla Giuseppe, La ricerca del Gesù storico, Queriniana, Brescia, 2010.

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