Il finanziamento pubblico ai partiti politici

Il finanziamento pubblico ai partiti politici

Il 20 febbraio 2014 è stata approvata la legge 21 febbraio 2014, n. 13, di conversione del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, recante “Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore”[1]. Si è giunti, quindi, all’epilogo di un percorso iniziato con la legge 6 luglio 2012, n. 96, mediante la quale si è cercato di pervenire ad una progressiva riduzione dei contributi pubblici a favore dei partiti politici. Questi ultimi sono stati oggetto di critiche da parte dell’opinione pubblica per via dell’enorme ammontare di somme ricevute a titolo di rimborso delle spese elettorali[2] e per la scarsa trasparenza nella gestione delle stesse. L’opinione pubblica chiedeva a gran voce, quindi, la riduzione (o abolizione) e la razionalizzazione del finanziamento pubblico ai partiti politici, nella convinzione che «il finanziamento diviene intrinsecamente il mezzo, il trait d’union indispensabile per garantire, in un contesto liberal-democratico, non soltanto un pluralismo che consenta a tutti i cittadini di poter partecipare al governo della comunità ma anche la possibilità che la naturale competizione politica possa essere regolata secondo i principi e standards normativamente uguali e certi; dunque trasparenti, misurabili, giustiziabili», come dimostra l’esperienza di tutti gli altri paesi dell’Europa[3].

La legge n. 96/2012[4] aveva già introdotto novità rilevanti in questo senso: dimezzamento dei contributi a carico dello Stato in favore dei partiti politici per l’esercizio finanziario 2012-2013; ancoraggio del 30% dei contributi pubblici alle capacità di autofinanziamento dei partiti; accesso al cofinanziamento strettamente collegato all’effettivo livello di rappresentatività del partito (presenza di almeno un candidato eletto); obbligo di sottoporre i bilanci dei partiti al giudizio di società di revisione iscritte della Consob; controllo dei bilanci revisionati affidato ad una apposita Commissione composta da cinque magistrati; articolato sistema di sanzioni in caso di inadempimento e finanche restituzione integrale dei contributi pubblici percepiti in caso di mancata presentazione del bilancio; obbligo per i partiti di produrre documenti che possano giustificare le spese sostenute in modo che la Commissione possa rilevarne la congruenza, la congruità e l’adeguatezza; pubblicità dei documenti di bilancio tramite il sito internet del Parlamento o dei partiti stessi; riduzione del 5% dei contributi pubblici nel caso in cui non si fosse osservata la parità di genere nella composizione delle liste dei candidati; pubblicità delle erogazioni liberali di entità superiore a cinquemila euro in favore dei partiti; obbligo, per i partiti che volessero avvalersi dei contributi previsti dalla legge, di dotarsi di uno statuto e di un atto costitutivo, da trasmettere ai Presidenti dei due rami del Parlamento; detrazioni fiscali (26% dell’imposta lorda) per le erogazioni liberali in favore dei partiti e movimenti politici di entità compresa tra i diecimila ai cinquantamila euro[5]; obbligo di pubblicità della situazione patrimoniale e reddituale dei soggetti con funzioni di tesoriere di partiti e movimenti politici; introduzione di limiti alle spese sostenute da candidati e partiti per le elezioni comunali ed europee.

Con la novella del 2012 l’Italia ha provato ad adeguarsi alle raccomandazioni, adottate nel marzo 2012[6], provenienti dal Groupe d’Etats contre la corruption (GRECO) istituito nell’ambito del Consiglio d’Europa. In particolare, a quelle riguardanti la necessità di garantire la pubblicità delle erogazioni liberali percepite da partiti e movimenti politici, la trasparenza nella gestione delle risorse economiche pubbliche e private, la revisione dei bilanci, l’istituzione di un’autorità indipendente di vigilanza, la previsione di un adeguato impianto sanzionatorio. Altre indicazioni del GRECO, però, non sono state recepite dal nostro Paese in quella occasione: quella concernente la definizione dello status giuridico dei partiti politici e quella relativa alla redazione del bilancio in forma consolidata.

La legge n. 96/2012 ha sicuramente il merito di aver inaugurato un nuovo percorso, seppur rivelatosi incompleto, ma non è riuscita a ripristinare lo scollamento tra cittadini e partiti politici, che si è altresì accentuato a causa degli scandali assurti all’onore delle cronache: in particolare il caso Lusi e il caso Belsito[7]. L’opinione pubblica reclamava da tempo una riduzione dei costi della politica alla luce della crisi finanziaria ed economica che da anni aggredisce il nostro Paese, e più in generale la maggior parte dei Paesi europei. La riduzione dei costi della politica e dei privilegi legati a specifiche cariche pubbliche, seppur non rappresenti l’antidoto per guarire dalla crisi economica, risulta determinante ai fini della ricostruzione del rapporto di fiducia tra operatori della politica e cittadini. L’abolizione del finanziamento pubblico rappresenta un unicum nel quadro europeo, dove, ad eccezione del Regno Unito, tutti i Paesi hanno previsto in varie forme il finanziamento pubblico ai partiti e movimenti. Per queste ragioni, è confermata la tesi secondo la quale il nuovo percorso tracciato dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, deve essere interpretato come un’opportunità (forse l’ultima) per la ricostruzione di un consenso dei cittadini in vista delle prossime scadenze elettorali.

Anche il gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali istituito dal Presidente emerito Giorgio Napolitano[8], nella sua Relazione finale del 12 aprile 2013, si è mostrato sensibile verso tali istanze: «Le questioni relative alla nuova domanda di etica pubblica si concentrano in particolare sui vantaggi impropri dei partiti, delle istituzioni politiche e di chi lavora negli uni e nelle altre. Alla base c’è la profonda insoddisfazione per i servizi resi ai cittadini dalla politica. Il problema dei costi delle attività politiche va perciò affrontato guardando alla domanda di forte cambiamento espressa dalla società nei confronti della politica. Una seconda esigenza deriva dalla necessità, avvertita in termini sempre più pressanti dai cittadini, di contenere i costi di funzionamento del sistema politico e istituzionale. Tali costi sono ritenuti non più sostenibili nell’attuale fase di contrazione della spesa pubblica e di concentrazione della medesima sulle priorità ritenute essenziali per la comunità nazionale. Gli obiettivi sono essenzialmente i seguenti: a) sobrietà; b) piena giustificazione rispetto alle finalità perseguite; c) assoluta trasparenza; d) la revisione dei costi della politica come parte di un essenziale programma di revisione della spesa pubblica; e) “irreprensibilità” delle istituzioni politiche e della P.A. anche dal punto di vista dei loro costi».

Tuttavia, il gruppo di lavoro rimase nella convinzione che «il finanziamento pubblico delle attività politiche, in forma adeguata e con verificabilità delle singole spese, costituisce un fattore ineliminabile per la correttezza della competizione democratica e per evitare che le ricchezze private possano condizionare impropriamente l’attività politica», e per queste ragioni suggerì non l’abolizione del finanziamento ma dei correttivi alla normativa previgente: prevedere norme minime per far si che gli statuti dei partiti e dei movimenti politici siano improntati ad effettivi criteri di democrazia interna; uniformare le disposizioni sul controllo dei costi della politica[9]; prevenire con norme adeguate il conflitto tra interessi privati e interesse pubblico; costituire comitati etici presso i due rami del Parlamento.

Sebbene gli stessi saggi propendessero per una rimodulazione del finanziamento pubblico ai partiti e movimenti politici, il Governo presieduto da Enrico Letta ritenne di voler dare un segnale più forte assecondando le istanze della società civile, dapprima con la presentazione di un disegno di legge e poi, dieci giorni dopo, con l’emanazione del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149. La Commissione affari costituzionali del Senato avviò l’esame del disegno di legge di conversione il 7 gennaio 2014, approvandola con qualche modifica rispetto al testo originario. Il disegno è stato poi trasmesso alla Camera e approvato definitivamente il 20 febbraio 2014[10].

La relazione che accompagna il disegno di legge di conversione ci aiuta a comprendere quale sia stata la ratio ispiratrice dell’intervento normativo. In primo luogo, esso muove dall’esigenza di «legare in modo strutturale il nuovo modello di finanziamento della politica ad un sistema di regole che garantisca la democrazia interna dei partiti politici e la trasparenza del proprio funzionamento dei propri bilanci, individuando un punto di equilibrio fra il principio di libertà e di associazione politica (che costituisce un fondamento di ogni democrazia) e le altrettanto rilevanti esigenze di legalità che devono assistere ogni intervento pubblico di sostegno». Si è configurata, quindi, una prima attuazione dell’art. 49 Cost., seppure i partiti continuino a conservare il loro status di associazioni prive di personalità giuridica, ai quali si applica il regime del codice civile riferito alle associazioni non riconosciute. In secondo luogo, la nuova disciplina vuole affermare la volontà popolare espressa nel referendum del 1993, contraria all’erogazione di contributi pubblici in favore delle forze politiche. «In questa prospettiva il decreto-legge non persegue unicamente l’obiettivo di contenere i costi dell’attività politica, ma anche quello di contribuire a ricondurre i partiti alla loro ragion d’essere: un veicolo di articolazione, aggregazione e rappresentanza di interessi e non un mezzo di occupazione, talvolta irresponsabile, di spazi pubblici e privati»[11].

L’art. 18[12] della legge in commento stabilisce che la nuova disciplina si applichi ai partiti, movimenti e gruppi politici organizzati che abbiano presentato candidati sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo del Senato, della Camera dei deputati, dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, dei consiglieri regionali o dei consigli delle province autonome di Trento e Bolzano. Tuttavia, essa non si riferisce ai partiti e movimenti politici di nuova formazione, ovvero a quelli non ancora coinvolti in un competizione elettorale. L’art. 18, inoltre, estende l’applicazione della disciplina ai partiti e movimenti politici che dichiarino di far riferimento ad un gruppo parlamentare costituito in entrambi i rami del Parlamento, ovvero che abbiano partecipato a una competizione elettorale in forma aggregata con altri partiti mediante la presentazione di una lista comune di candidati, riportando almeno un candidato eletto. L’obiettivo, quindi, è quello di creare un forte nesso tra diritti e obblighi sottesi alla nuova disciplina e il requisito della rappresentatività effettiva dei partiti o movimenti politici. Inoltre, si è voluto evitare che un partito o un movimento politico inesistente possa beneficiare del contributo pubblico[13].

L’art. 3[14] impone ai partiti e movimenti politici, che intendano avvalersi dei benefici economici previsti dal decreto-legge, di predisporre uno statuto redatto in forma di atto pubblico. Ciò vuol dire che la maggior parte dei partiti e movimenti politici, seppur restii a conformarsi ai principi di democrazia interna, saranno costretti ad adeguarsi alla disciplina in commento. In particolare, si chiede ai partiti di dotarsi di uno statuto che indichi il soggetto fornito di rappresentanza legale e di contenere disposizioni relative agli organi interni del partito (nomina, composizione, attribuzioni, modalità di elezione, durata degli incarichi), alla cadenza periodica delle assemblee, alle procedure di approvazione degli atti, ai diritti e doveri degli iscritti e ai relativi organi di garanzia, alle modalità di partecipazione degli iscritti alle attività del partito, ai diritti delle minoranze, alla promozione della parità di genere, alle articolazioni territoriali del partito, alle misure disciplinari da adottare nei confronti degli iscritti e alle procedure per la loro applicazione, alle procedure per modificare lo statuto, al simbolo, alla denominazione del partito, all’indirizzo della sede legale nel territorio dello Stato, all’organo responsabile della gestione economico-finanziaria e patrimoniale, all’organo competente ad approvare il rendiconto di esercizio, a regole per assicurare la trasparenza. Infine l’art. 3 del decreto-legge[15] prevedeva in origine che lo statuto dovesse essere improntato ai principi fondamentali di democrazia, di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dello Stato di diritto. In sede di conversione, quest’ultima formulazione è stata sostituita da un mero richiamo al rispetto della Costituzione e dell’ordinamento dell’Unione europea. A parere di chi scrive la suddetta sostituzione è soltanto formale, poiché sostanzialmente i principi di democrazia, di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sono affermati all’interno della Costituzione e del Trattato istitutivo dell’Unione europea.

Come già poc’anzi accennato, la normativa in commento non muta la natura dei partiti politici[16], i quali conservano il loro status giuridico di associazioni prive di personalità giuridica. Secondo la dottrina prevalente, il diritto dei consociati di associarsi in partiti e movimenti politici rappresenta un’espressione particolare del più generale diritto dei cittadini di associarsi liberamente ex art. 18 Cost. La legge ordinaria, quindi, non può prevedere ulteriori limitazioni rispetto a quelle già indicate dall’ art. 18 Cost., né può introdurre alcuna forma di autorizzazione, poiché se questo avvenisse si configurerebbe una violazione dell’art. 18 Cost., che riconosce il diritto di associarsi «liberamente» senza alcun riferimento ad eventuali autorizzazioni[17]. L’art. 4 del decreto-legge, infatti, si limita a prevedere una forma di registrazione dei partiti politici facoltativa e unicamente legata all’accesso ai benefici legislativamente previsti[18].

Il decreto-legge vincola i partiti politici non solo sul versante della democraticità interna ma altresì sul versante della trasparenza. L’art. 5[19], il quale è stato oggetto di modifica in sede di conversione, stabilisce che i partiti politici devono realizzare siti internet improntati a «principi di elevata accessibilità, anche da parte delle persone disabili, di completezza di informazione, di chiarezza di linguaggio, di affidabilità, di semplicità di consultazione, di qualità, di omogeneità e di interoperabilità». Questa disposizione sembra applicarsi a tutti i partiti politici, a prescindere dalla registrazione, purché abbiano i requisiti indicati all’art. 18. E’ opportuno aggiungere che si tratta di una disposizione la cui inosservanza non determina alcuna sanzione.

L’art. 6 obbliga i partiti a redigere un bilancio consolidato di gruppo: «A decorrere dall’esercizio 2014, al bilancio dei partiti e movimenti politici sono allegati i bilanci delle loro sedi regionali, o di quelle corrispondenti a più regioni, nonché quelli delle fondazioni e associazioni la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni dei medesimi partiti o movimenti politici»[20].

Per quanto concerne la garanzia della trasparenza e della correttezza nella gestione contabile e finanziaria dei partiti, l’art. 7[21] fa un esplicito richiamo alla legge n. 96/2012, relativamente all’obbligo di avvalersi di una società di revisione iscritta nell’albo speciale tenuto dalla Consob.

Le operazioni di controllo sull’osservanza degli obblighi di trasparenza e pubblicità, come pure sulla regolarità e sulla conformità alla legge dei rendiconti vengono svolte dalla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti. Nel caso in cui essa rilevasse alcune irregolarità contabili, invita i partiti interessati a sanarle; entro il 30 aprile dello stesso anno approva una relazione nella quale esprime il proprio giudizio, trasmessa ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati; essa trasmette inoltre a questi ultimi, entro il 15 luglio di ogni anno, l’elenco dei partiti ottemperanti e inottemperanti.

A seconda del tipo di irregolarità si applicano diverse sanzioni. L’art. 8[22] del decreto legge prevede che in caso di inadempienze relative alla redazione del rendiconto, vengano colpiti direttamente coloro che assolvono alla funzione di tesoriere del partito; essi perdono la legittimazione a sottoscrivere i rendiconti relativi agli esercizi dei cinque anni successivi (art. 8 comma 11). Tuttavia, queste sanzioni agiscono pro futuro, quindi, non colpiscono eventuali contributi illegittimamente percepiti nel passato dai partiti politici.

La sanzione più onerosa si applica nel caso in cui i partiti non si avvalgano della società di revisione esterna ovvero non presentino il rendiconto e i documenti ad esso correlati (art. 8 comma 2). In questi casi il partito politico viene cancellato dalla seconda sezione Registro per il periodo successivo a quello di imposta, con conseguente impossibilità di accedere in quel periodo alla ripartizione del due per mille dell’Irpef. Anch’essa è una sanzione che agisce pro futuro, quindi, senza intaccare i contributi in precedenza percepiti. Deve desumersi quindi che soltanto i partiti e movimenti politici iscritti al Registro possono essere colpiti da queste sanzioni, lasciando ingiustamente impuniti i partiti che non hanno effettuato la registrazione e quindi hanno scelto di non avvalersi dei benefici economici previsti dalla nuova legge.

Per quanto riguarda il controllo pubblico sui contributi privati percepiti dai partiti, l’art. 5 comma 3[23] prescrive ai soli partiti iscritti al Registro di trasmettere alla Presidenza della Camera dei Deputati l’elenco dei soggetti erogatori, purché si tratti di finanziamenti o contributi di importo superiore a cinquemila euro annui. Si determina, dunque, un problema di trasparenza: non si capisce per quale ragione si sia indicato quell’importo e non un altro; e non è chiaro il motivo per cui l’identità dei finanziatori può essere resa pubblica soltanto se essi hanno accordato il consenso.

Vi sono poi informazioni che devono essere rese pubbliche esclusivamente attraverso il sito del Parlamento italiano e non anche mediante quelli dei singoli partiti (comma 2 e 2 bis): trattasi dei dati relativi alla situazione patrimoniale e di reddito dei titolari di cariche di Governo e dei membri del Parlamento, corredata dall’indicazione delle erogazioni a titolo gratuito ricevute di entità superiore a cinquemila euro annui. Anche in questo caso, non è facile comprendere le ragioni che hanno spinto il legislatore a determinare quel quantum e non un altro. Inoltre, nel caso di non ottemperanza, la sanzione irrogata è rappresentata da una mera diffida ad adempiere, che può dar luogo soltanto a sanzioni disciplinari. Per queste ragioni sarebbe più agevole e conveniente finanziare singoli membri del Parlamento o del Governo piuttosto che il partito nella sua interezza.

A partire dal 2014, i partiti iscritti al Registro, ad eccezione di quelli che non hanno più una rappresentanza in Parlamento, possono essere ammessi a due sole forme di finanziamento diretto (art.10): a) il finanziamento privato in regime fiscale agevolato; b) la ripartizione annuale delle risorse derivanti dalla destinazione del due per mille dell’Irpef[24]. Tuttavia, pur trattandosi di una forma volontaria di finanziamento ai partiti e movimenti politici “registrati”, è ravvisabile un’incidenza sulle risorse pubbliche: il regime fiscale agevolato comporta minori entrate per lo Stato; la destinazione del due per mille dell’Irpef sottrae parte del gettito derivante dall’imposizione fiscale ad altri tipi di utilizzazione[25].

Per accedere alle due forme di finanziamento diretto, è necessario che il partito abbia ottenuto nell’ultima consultazione elettorale almeno un candidato eletto sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo dei due rami del Parlamento, o dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, anche qualora abbia depositato congiuntamente ad altri partiti il contrassegno elettorale e partecipato in forma aggregata a una competizione elettorale mediante la presentazione di una lista comune di candidati o di candidati comuni, ovvero che sia un partito cui dichiari di fare riferimento un gruppo parlamentare costituito in almeno una delle Camere o una singola componente del gruppo misto (art. 10 commi 1 e 2).

Il succitato articolo disciplina altresì le modalità attraverso le quali presentare l’istanza di ammissione ad una delle due (o ambedue) di contribuzione diretta; questa deve essere presentata alla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti, che dovrà vagliarne la legittimità.

In conclusione, ad avviso di chi scrive, la disciplina esaminata presenta alcuni elementi positivi: aver accresciuto il livello di democrazia, controllo, trasparenza nei partiti e movimenti politici. Tuttavia, fino al 2017 i partiti politici continueranno a beneficiare contemporaneamente sia dei fondi pubblici percepiti a titolo di rimborso delle spese elettorali ai sensi della legge n. 96/2012 e della legge n. 157/1999, sia dei fondi provenienti dalla destinazione del due per mille dell’Irpef. E non solo, i partiti continueranno a beneficiare di finanziamenti pubblici destinati ai giornali e alle emittenti radiofoniche e televisive di partito, dell’accesso gratuito ai mezzi di comunicazione, della possibilità di utilizzare gratuitamente spazi per l’affissione di manifesti politici e sale per riunioni pubbliche, di agevolazioni postali per le spese sostenute durante le campagne elettorali e di agevolazioni fiscali per il materiale tipografico utilizzato in tale contesto, e di contributi finanziari concessi ai gruppi parlamentari di ciascuna Camera per il loro funzionamento[26]. Alla luce di quanto suesposto, l’abolizione del finanziamento pubblico non suonerebbe come una presa in giro ai cittadini? Non sarebbe stato più onesto conservare parte del finanziamento pubblico e allo stesso tempo rafforzare i controlli sui partiti?


[1] G.U. n. 303 del 28 dicembre 2013.

[2] Legge 3 giugno 1999, n. 157, Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici.

[3] G. Amato, Nota sul finanziamento della politica, luglio 2012, in “Rassegna parlamentare”, n. 4/2012.

[4] Legge consultata in: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2012/07/09/012G0120/sg.

[5] L’innalzamento dell’aliquota al 26% è stata altresì estesa alle donazioni a favore delle ONLUS.

[6] GRECO, Rapporto di valutazione dell’Italia sulla trasparenza del finanziamento dei partiti politici, Strasburgo, 20-23 marzo 2012, Greco Eval III (2011) 7F, Theme II.

[7] Il riferimento è al c.d. “caso Lusi”, dal nome dell’ex tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, indagato per il reato di associazione a delinquere, che avrebbe sottratto soldi dei rimborsi elettorali, creando bilanci paralleli. Secondo quanto emerso dalle indagini giudiziarie, Lusi, dopo aver trasferito i soldi in Canada, li avrebbe fatti rientrare in Italia attraverso lo scudo fiscale e li avrebbe investiti in immobili nella Capitale e dintorni, depositando il resto sul proprio contro corrente. L’altro caso ha visto come protagonista l’ex tesoriere della Lega Nord, Francesco Belsito. Quest’ultimo sotto indagine per il reato di appropriazione indebita e truffa aggravata ai danni dello Stato, proprio in relazione ai finanziamenti pubblici che Lega percepì a titolo di rimborsi elettorali e che sarebbero stati utilizzati per la famiglia Bossi.

[8] Il gruppo di lavoro è stato istituito il 30 marzo 2013, composto da Mario Mauro, Valerio Onida, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante.

[9] La legge n. 515/1993 affida ad uno specifico collegio della Corte dei Conti il controllo sui finanziamenti ricevuti e sulle spese sostenute dai partiti e movimenti politici in campagna elettorale. La legge n. 96/2012 affida ad una specifica commissione composta da cinque magistrati delle tre diverse giurisdizioni il controllo sui bilanci dei partiti e dei movimenti politici. Il decreto-legge n. 174/2012 convertito con legge n. 213/2012 affida alle singole sezioni regionali della Corte dei Conti il controllo sui rendiconti dei Gruppi Consiliari presenti nei Consigli Regionali.

[10] Legge 21 febbraio 2014, n. 13, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, recante abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore, pubblicata in G.U. n. 47 del 26 febbraio 2014.

[11] Sul punto, v. M.R. Allegri, Prime note sulle nuove norme in materia di democraticità, trasparenza e finanziamento dei partiti politici, «AIC», marzo 2014.

[12] Art. consultato in: http://www.lexitalia.it/p/2014/2014-13.htm.

[13] G.M. Flick, Il finanziamento ai partiti: il caso del “caro estinto”, in «Federalismi.it», n. 12/2012.

[14] Art. consultato in: http://www.lexitalia.it/p/2014/2014-13.htm.

[15] Art. consultato in: http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=23893&dpath=document&dfile=30122013115642.pdf&content=D.L.+n.+149/2013,Abolizione+del+finanziamento+pubblico+diretto,disposizioni+per+la+trasparenza+e+la+democraticità+dei+partiti+e+disciplina+della+contribuzione+volontaria+e+della+contribuzione+indiretta+in+loro+favore+-+stato+-+documentazione+-+.

[16] Per tale motivo può parlarsi unicamente di una parziale attuazione dell’ art. 49 Cost.

[17] Sul punto, v. M.R. Allegri, Prime note sulle nuove norme in materia di democraticità, trasparenza e finanziamento dei partiti politici, «AIC», marzo 2014.

[18] Art. consultato in: http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=23893&dpath=document&dfile=30122013115642.pdf&content=D.L.+n.+149/2013,Abolizione+del+finanziamento+pubblico+diretto,disposizioni+per+la+trasparenza+e+la+democraticità+dei+partiti+e+disciplina+della+contribuzione+volontaria+e+della+contribuzione+indiretta+in+loro+favore+-+stato+-+documentazione+-+.

La procedura di registrazione prevede quattro fasi: 1) trasmissione di copia autentica del proprio statuto, sottoscritta dal legale rappresentante, al Presidente del Senato, della Repubblica e al Presidente della Camera dei Deputati; 2) inoltro dello statuto alla Commissione di cui all’art. 9, comma 3, della legge n. 96/2012, che prende il nome di Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici; 3) verifica da parte della Commissione della conformità dello statuto alle disposizioni di cui all’art. 3, e iscrizione del partito nel Registro nazionale dei partiti politici riconosciuti, tenuto dalla Commissione stessa; 4) pubblicazione in G.U. dello statuto del partito politico entro un mese dall’iscrizione nel registro.

[19] Art. consultato in: http://www.lexitalia.it/p/2014/2014-13.htm.

[20] Art. consultato in: http://www.lexitalia.it/p/2014/2014-13.htm.

[21] Art. consultato in: http://www.lexitalia.it/p/2014/2014-13.htm.

[22] Art. consultato in: http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=23893&dpath=document&dfile=30122013115642.pdf&content=D.L.+n.+149/2013,Abolizione+del+finanziamento+pubblico+diretto,disposizioni+per+la+trasparenza+e+la+democraticità+dei+partiti+e+disciplina+della+contribuzione+volontaria+e+della+contribuzione+indiretta+in+loro+favore+-+stato+-+documentazione+-+.

[23] Art. consultato in: http://www.lexitalia.it/p/2014/2014-13.htm

[24] E’ rimessa alla discrezionalità del contribuente decidere di destinare parte dell’imposta.

[25] Sul punto, v. M.R. Allegri, Prime note sulle nuove norme in materia di democraticità, trasparenza e finanziamento dei partiti politici, «AIC», marzo 2014.

[26] Sul punto, vd. M.R. Allegri, Prime note sulle nuove norme in materia di democraticità, trasparenza e finanziamento dei partiti politici, «AIC», marzo 2014.


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Pietro Maccavino

Nato a Caltagirone, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza con una tesi in diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza di Catania, relatore il Prof. Avv. Felice Giuffrè. Attualmente è praticante avvocato.

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