Il nucleare in Italia

Il nucleare in Italia

Sommario: 1. Introduzione – 2. La normativa e i referendum abrogativi – 3. Le questioni di legittimità costituzionale, tra ricorsi regionali e statali

 

1. Introduzione

È recente il risorgere del dibattito intorno alla reintroduzione in Italia del nucleare come fonte energetica, un tema delicato e molto sentito nell’opinione pubblica.

Da un lato, la transizione ecologica, fortemente invocata, porta con sé degli inevitabili sacrifici economici e sociali (si pensi al necessario ricollocamento di tanta forza lavoro non più qualificata); dall’altro, prevale nella memoria collettiva la tragedia delle bombe atomiche e degli incidenti nucleari rispetto alla presenza in diversi Paesi europei di centrali serenamente funzionanti.

Con il presente scritto, dunque, si ripercorrono le principali tappe, normative e giurisprudenziali, che hanno accompagnato il discorso sul nucleare in Italia (la prospettiva che verrà assunta sarà quindi “solo” nazionale).

Occorre tuttavia, prima di procedere, una precisazione: il tema dell’energia nucleare riguarda il suo utilizzo come fonte di energia elettrica, motivo per cui ad oggi vi sono ancora delle centrali attive a fini di ricerca o di espletamento di attività sanitarie (es. medicina nucleare).

2. La normativa e i referendum abrogativi

I cittadini italiani sono stati chiamati alle urne due volte, nel 1987 e nel 2011. Curiosamente il primo referendum, composto da tre quesiti, pur essendo stato indetto in seguito al disastro di Chernobyl, non era abrogativo del nucleare in senso stretto.

Andando con ordine, tutti i quesiti del primo referendum avevano ad oggetto due provvedimenti normativi: la legge 18 dicembre 1973 n. 856 (articolo unico), istitutiva dell’Enel, e la legge 10 gennaio 1983 n. 8 (anch’essa composta di un unico articolo), contenente “Norme per l’erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi”.

In sintesi, la suddetta normativa prevedeva che:

a) l’Enel (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica) poteva promuovere la costituzione di società con enti esteri, o assumervi partecipazioni, anche laddove i suddetti enti stranieri avessero come oggetto sociale la realizzazione e l’esercizio di impianti elettronucleari (legge n. 856/1973, articolo unico, lettera b);

b) l’Enel era tenuto a corrispondere determinati contributi agli enti locali nel cui territorio sarebbero stati ubicati i propri impianti (inclusi quelli elettronucleari), da investire poi nella promozione di risparmio energetico, uso di energie rinnovabili, tutela ecologico-ambientale. Da tali contributi erano detratti gli oneri assunti dall’Ente nazionale in forza delle convenzioni stipulate con i Comuni o le Regioni proprio per la localizzazione e la costruzione degli impianti (meccanismo degli oneri compensativi; legge n. 8/1983, articolo unico, commi 1-12);

c) in caso di mancato accordo, in capo agli enti locali, sull’individuazione dei siti ospitanti le centrali, vi avrebbe posto rimedio una decisione del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, su proposta del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato), in base alle risultanze emerse nella procedura già esperita (legge n. 8/1983, art. unico, comma 13).

Con la vittoria del “sì”, queste disposizioni sono state abrogate: norme più procedurali, burocratiche, amministrative, ma che non precludevano in toto la possibilità di avvalersi del nucleare come fonte di energia elettrica.

Difatti, dopo questa consultazione popolare, diversi sono stati gli interventi legislativi volti a regolare comunque la materia:

a) il D.L. 25/06/2008 n. 112, all’art. 7, prevedeva la definizione della “Strategia Energetica Nazionale”, comprendendovi anche la “realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare” (lettera d);

b) la legge 23/07/2009 n. 99, all’art. 25, delegava il Governo ad adottare dei decreti legislativi di riassetto della disciplina riguardante lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi ed il deposito degli stessi, nonché le misure compensative per gli enti locali interessati;

c) il pedissequo D.Lgs. 15/02/2010 n. 31, “Disciplina dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché benefici economici a norma dell’art. 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99”;

d) il D.L. 31/03/2011 n. 34 (cosiddetto “Decreto Omnibus”), recante, tra le altre cose (come suggerisce l’epiteto e come da tradizione del legislatore italiano…), la “abrogazione di disposizioni relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari” (la norma di riferimento è l’art. 5). In tale sede è stata disposta una moratoria di dodici mesi sulla realizzazione del programma nucleare attraverso la sospensione, per il suddetto lasso di tempo, del decreto precedente, al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche sui profili relativi alla sicurezza nucleare.

Con il referendum del 2011 si è ottenuta l’abrogazione delle disposizioni dell’ultimo dei decreti elencati: sospendendo la progettazione di centrali elettronucleari per dodici mesi, come anche ricordato dall’Ufficio Centrale per il Referendum della Corte di Cassazione, chiamato a pronunciarsi sull’ammissibilità del quesito referendario (ordinanza del 3/06/2011), non si esclude la possibilità di avvalersi di tale fonte energetica, trattandosi di un mero rinvio. Con la vittoria del “sì”, si è stroncata sul nascere ogni prospettiva di progettazione e realizzazione delle centrali, facendo salvi solo il decommissioning e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi.

3. Le questioni di legittimità costituzionale, tra ricorsi regionali e statali

Infine, in alcune occasioni la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sul tema in punto di riparto di competenze tra Stato e Regioni.

Dapprima il Governo ha presentato ricorso avverso alcune leggi regionali (Puglia, Basilicata e Campania) che unilateralmente avevano precluso l’insediamento nel proprio territorio sia di centrali nucleari sia di depositi dei rifiuti radioattivi; la Consulta (sentenza n. 331/2010) ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale.

In una seconda occasione, diverse regioni hanno lamentato il mancato coinvolgimento nelle procedure di individuazione dei siti ove collocare gli impianti nucleari. La Corte è dunque intervenuta sul D. Lgs. 31/2010 nel senso di prevedere che la Regione interessata esprima il proprio parere in sede di rilascio dell’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti (sentenza n. 33/2011).


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