La sanatoria dell’atto amministrativo invalido e l’art. 21 octies, comma 2, della L. 241/1990

La sanatoria dell’atto amministrativo invalido e l’art. 21 octies, comma 2, della L. 241/1990

Con il termine atto amministrativo si fa riferimento a tutti quegli atti con cui la p.a. svolge la propria attività perseguendo i fini determinati dalla legge. Tale attività amministrativa è retta da criteri di economicità , di imparzialità , di pubblicità e di trasparenza ed è svolta secondo le modalità previste dalla legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti , nonché dai principi dell’ordinamento comunitario. Questi atti si dividono in atti normativi , generali , individuali e provvedimenti.

Nonostante possano , di regola , manifestarsi casi in cui già il singolo atto generale , come ad esempio il bando di gara immediatamente lesivo , sia impugnabile perché affetto da vizio di legittimità , la figura della invalidità dell’atto si salda particolarmente bene , da un punto di vista concettuale , al provvedimento amministrativo( da ora in poi definito anche semplicemente “atto “ ).

L’invalidità del provvedimento assume tre forme diverse a seconda della tipologia dei vizi patogeni , ossia inesistenza , nullità ed annullabilità. La prima si verifica nei casi in cui l’atto è talmente carente nei suoi tratti costitutivi ed essenziali da essere inadatto ad attivare  lo schema di produzione dell’effetto giuridico contemplato dalla legge , nella seconda invece pur non innescandosi tale schema vengono prodotte comunque delle conseguenze , di fatto ( il fastidio dell’esistenza di un atto nullo per il destinatario ) e giuridiche ( possibilità per la p.a. di procedere al ritiro dell’atto ovvero alla sanatoria conservativa ). In ultimo la terza forma di invalidità pone il provvedimento in uno stato di rischio tale da rompere la produzione degli effetti giuridici con efficacia irretroattiva(di regola ) , dato che per il principio della fattispecie equivalente , l’atto illegittimo è comunque idoneo , al pari di quello legittimo, a perseguire l’interesse pubblico sotteso , di tal che , fin quanto non è dichiarato annullato con sentenza costitutiva , questo , agisce nel sistema come se fosse un atto pienamente legittimo.

Ciò posto va ribadito che il lasso temporale in cui viene collocata l’emanazione del provvedimento è indispensabile al fine di cogliere il discrimine tra funzione di amministrazione attiva ( di primo grado ) e passiva ( di secondo grado ).

La prima fotografa la pubblica amministrazione che , utilizzando il diritto potestativo attribuitegli dalla legge , emette un atto volto ad incidere sulla realtà. La seconda invece colora quella attività della pubblica amministrazione , volta ad eliminare , modificare , confermare (integrando , doppiando o sostituendo ) un atto già emanato nello svolgimento della funzione di primo grado .

All’interno di tale funzione di secondo grado( comunemente nominata “ di riesame “ ) tutta l’attività volta a non eliminare il provvedimento ma a  produrre effetti manutentivi o puramente confermativi è denominata attività di sanatoria in autotutela .

La sanatoria è dunque una attività puramente discrezionale della pubblica amministrazione che prende forma nello schema norma – potere – effetto[1]. Gli atti rientranti in questo genere sono la convalida , la ratifica , la conferma , la sanatoria in senso stretto , la consolidazione , l’acquiescenza e la conversione .

La pubblica amministrazione non è tenuta dunque a procedere , in tal senso , in presenza di un vizio del provvedimento , potendo valutare senza imposizioni la possibilità di agire o meno in sanatoria sulla base di una ponderata scelta costruita sulla valutazione dell’interesse generale ( quale sintesi dell’interesse privato e dell’interesse pubblico , visione consolidata dagli albori della teoria Attizia[2] ) , dello scopo perseguito e del corretto scorrimento della funzione amministrativa .

La legge contempla , espressamente , anche altre due figure idonee ad incidere su un atto già emanato dall’organo pubblico ed al contempo viziato , segnatamente la prima e la seconda parte dell’art. 21 octies co. 2 . Le due figure si distinguono dalla funzione sanatoria in quanto sono  frutto di un mero automatismo  legale ( schema norma fatto effetto),  che produce l’effetto sanante senza la necessaria riapertura di un procedimento ma per mezzo di un mero giudizio controfattuale inverso alla stregua del quale possa affermarsi , oltre ogni ragionevole dubbio , che il vizio non abbia inciso sullo scopo funzionale perseguito dall’atto. Ulteriore differenza tra le due entità si rinviene in relazione all’oggetto della sanatoria che , nel caso dell’art. 21 octies co. 2 può riguardare soltanto specifiche ipotesi di vizi di legittimità mentre l’attività di secondo grado può incidere sia su provvedimenti annullabili sia su provvedimenti nulli .

Questione più annosa sembra essere invece quella relativa ai riverberi processuali dell’art. 21 octies co. 2 che , a fronte della impossibilità per la pubblica amministrazione di esercitare potere di riesame con fini conservativi , potrebbe , sotto il profilo pratico  e nelle specifiche ipotesi contemplate dalla norma , provocare una elisione del divieto.

Anche a voler eludere il problema facendo riferimento all’ormai superamento di tale  divieto da parte della giurisprudenza di legittimità , questo permane  per quanto riguarda il fenomeno del “ doppio ritiro “ che è , tutt’oggi , una pacifica ipotesi di esercizio di funzione sostanzialmente conservativa , pertanto vietata nelle more del processo.

Delineato il piano va  ora inquadrata con maggiore precisione la tassonomia degli atti amministrativi.

Come anticipato questi si dividono in quattro macro gruppi .

L’atto normativo ( regolamenti , ordinanza di necessità , statuti ) ha la capacità di innovare l’ordinamento per mezzo di previsioni generali ed astratte indirizzate a destinatari che rimangono indeterminati sia a-priori sia a-posteriori . D’altronde l’atto normativo è l’unico atto quasi completamente adiacente alla norma giuridica che si sviluppa su uno schema logico incondizionato sulla base del quale una situazione di fatto ( protasi ) viene legata ad un secondo stato di fatto ( apodosi ) da un operatore logico di comando [3]( causalità normativa ) tal da avere il carattere della generalità , astrattezza e ripetitività.

L’atto generale invece ( bandi di gara , linee guida dell’Anac , etc. ) pur non avendo la forza di innovare l’ordinamento , si presentano generali ed astratte ma i destinatari sono indeterminabili solo a priori ( ed il motivo è evidente se si pensa al bando di gara che deve essere in grado , a posteriori , di individuare quei soggetti i cui requisiti di partecipazione rientrino nelle clausole delineative dei presupposti di partecipazione ).

L’art. 3 co. 2 e l’art. 13 della l. 241/90 sono il logico corollario delle caratteristiche appena evidenziate in quanto il primo sancisce che “ La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e quelli a contenuto generale “ mentre il secondo che “ Le disposizioni contenute nel presente capo ( per intenderci quelle relative alla partecipazione al procedimento ) non si applicano nei confronti della attività della p.a. diretta alla emanazione di atti normativi , amministrativi generali …”.

Negli atti individuali ( delibere , richieste , accordi preliminari , designazioni , atti ricognitivi , atti di valutazione , intimazione , pareri ) invece i destinatari sono determinati o determinabili già al momento della sua adozione .

Appare opportuno , a questo punto  , riportare la prima parte dell’art. 7 del codice del processo amministrativo ( d.lgs. 104/2010) al fine di inquadrare le ulteriori figure di atto amministrativo . La previsione dispone che “ sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e , nelle particolari materie indicate dalla legge , di diritto soggettivi , concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo riguardanti provvedimenti , atti , accordi , comportamenti …”.

I comportamenti si differiscono dagli atti in quanto sono espressione di un agire materiale e non formale della pubblica amministrazione . Tale attività  non rileva ai fini della trattazione perché qui l’atto è carente essendo , questa , espressione di attività senza provvedimento ( vedi il silenzio ).

Gli accordi invece sono gli atti per eccellenza del diritto dei privati , rientranti nella attività di diritto privato della p.a. svolta ai sensi dell’art. 1 co. 1 bis . Tale figura altresì non rileva in quanto i vizi dell’atto rientrano nell’alveo del diritto privato ( ed il discorso non cambia in caso di accordo sostitutivo del provvedimento ex art. 11 della L- 241/1990 ).

Rimane dunque da analizzare il provvedimento , l’atto amministrativo per eccellenza ( provvedimento di autorizzazione , sanzionatorio , di concessione , di esproprio ) su cui è costruito l’intero addentellato normativa della legge sul procedimento.

Il provvedimento è espressione dello schema norma – potere – effetto per mezzo del quale agisce la struttura pubblica  , i cui tratti fondamentali sono autoritatività ( che non è lo specchio riflesso della unilateralità in quanto quest’ultima può essere anche espressione di un mero potere negoziale cosi come quella può essere espressa anche nella forma consensuale dell’accordo sostitutivo o integrativo), l’emersione da un procedimento , la motivazione , l’irretroattività , l’efficacia , l’esecutività e l’esecutorietà.

Il provvedimento è l’atto ultimo del procedimento di formazione della volontà della pubblica amministrazione e tale inciso emerge plasticamente dalla analisi degli artt. 2 e 10 bis . In particolare il secondo sancisce che “ Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente prima della formale adozione di un provvedimento negativo , comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda “ .

Ancora il provvedimento ai sensi dell’art. 3 deve essere motivato in quanto “ ogni provvedimento amministrativo … deve essere motivato salvo nelle ipotesi previste dal comma 2 “ ( è il comma dedicato all’atto generale o normativo a cui si è fatto prima riferimento ) .

L’irretroattività invece è espressione del principio della certezza degli effetti giuridici ed infatti , di norma , il provvedimento non può incidere su situazioni già toccate da altri atti , a meno che , non si tratti del potere di  annullamento in autotutela , nel qual caso gli effetti dell’attività retroagiscono ex tunc stante la sanatoria di un vizio genetico .

L’efficacia , ai sensi dell’art. 21 bis viene acquisita “ nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile “

L’esecutività è invece chiaramente indicata dall’art. 21 quater che recita “ i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente , salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo “ ,

Diverso dalla esecutività è l’esecutorietà che esprime autorevolezza delle pubbliche amministrazioni le quali “ nei casi e nei modi stabiliti dalla legge … possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti . “ Vale sottolineare che se esiste a monte “ un provvedimento costitutivo di obblighi “ che “ indica i termini e le modalità di esecuzione “ e se “ qualora l’interessato non ottemperi , le pubbliche amministrazioni previa diffida possono provvedere alla esecuzione coattiva “ è evidente che  tale esecuzione debba essere considerata una funzione di secondo grado che sanziona ( dunque funzione di secondo grado in senso statico ) l’inottemperanza di un comportamento imposto da un precedente atto di amministrazione attiva.

Delineati i tratti fondamentali del provvedimento devono essere anche indicati gli elementi essenziali , ossia quegli elementi necessari per il suo perfezionamento ( perfezionamento che invece nulla ha a che vedere con l’efficacia . l’esecutività o l’esecutorietà.).

Le dispute in dottrina e giurisprudenza sono state innumerevoli ma ne vanno qui riportate solo le risultanze che inquadrano cinque elementi essenziali , specificatamente , autorità emanante , volontà , oggetto , contenuto e forma.

Chiarito il concetto di atto amministrativo va isolato il perimetro del provvedimento perché è su questo che l’istituto dell’invalidità dispiega bene il suo significato .

( ovviamente ciò non significa che , ad esempio , il bando di gara non possa essere viziato già prima dell’emanazione dell’atto applicativo e per tanto impugnato per palese irragionevolezza delle clausole generali di esclusione in esso inserite , di tal che il rapporto tra invalidità e provvedimento non è esclusivo ma prevalente ).

Invalidità tautologicamente significa non – validità. Se l’atto non è valido non è idoneo potenzialmente o concretamente a produrre i suoi effetti nel mondo giuridico e quindi ad incidere su sfere giuridiche esterne .

Nella forma di una successione non immune a suggestioni algoritmiche in termini di rilevanza le invalidità vanno gradate in inesistenza , nullità e annullabilità.

I provvedimenti inesistenti non posso produrre né un effetto giuridico né conseguenze comunque qualificate in vario modo dall’ordinamento perché , appunto , non esistono . A voler procedere ad una tassonomia vanno indicati gli atti in cui è carente il procedimento , abnormi , ioci causae e docenti causae , emanati a seguito di violenza fisica ( dove non nasce la minima rappresentazione cognitiva dell’evento seppur questa sia sempre da considerare spersonalizzata ) , e quelli “ commessi “ ai sensi dell’art. 347 c.p.

In sostanza ,a  voler procedere ad un parallelismo con il diritto civile , qualora si stesse parlando di un contratto ,  allora potrebbe affermarsi che l’inesistenza corre sulla prima alinea dello schema di produzione dell’effetto ( quella dell’autorizzazione generale a contrarre per intenderci ) ossia lungo lo schema norma . potere . effetto ex art. 1321 c.c.

Va da subito chiusa una questione ( che non verrà ritrattata in prosieguo) : l’atto nullo non può essere giammai oggetto di sanatoria , né ai sensi dell’art. 21 octies co. 2 né ai sensi della funzione di riesame con fini conservativi.

Il discorso è diverso invece per quanto riguarda la nullità e l’annullabilità entrambi forieri di possibile sanatoria , la prima solo ed esclusivamente per mezzo della funzione di secondo grado , la seconda sia per mezzo si quest’ultima che , mutatis mutantis , ai sensi dell’art. 21 octies co. 2 .

Se rebus sic stantibus allora non rimane che cogliere i tratti differenziali tra nullità ed annullabilità

La nullità è espressamente disciplinata dall’art . 21 septies che sancisce “ E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali , che è viziato da difetto assoluto di attribuzione , che è stato adottato in violazione od elusione del giudicato “.

Vero è che , al pari della inesistenza anche l’atto nullo non è idoneo a innescare lo schema di produzione degli effetti giuridici , ma è altrettanto vero che in questo caso il provvedimento è palesemente esistente in quanto comunque attiva delle conseguenze quali , prima di tutto , la possibilità di essere oggetto di sanatoria(conservazione ) e ritiro ( eliminazione ) e poi di produrre inevitabilmente dei fastidi concreti nei confronti del destinatario . Sono proprio tali fastidi infatti che espungono la nullità dall’orbita della inesistenza che non potrebbe ontologicamente provocare tali conseguenze. Ne è conferma il fatto che sia ormai superato il vetusto orientamento giurisprudenziale che pretendeva non inserire nell’impianto amministrativo un’azione di nullità ( evidentemente prima dell’avvento delle novelle processuali ed ancor prima sostanziali ) per il sol fatto ( talaltro infondato per le ragioni dette ) che il destinatario di un provvedimento nullo non avesse alcun interesse a ricorrere in quanto non intaccato nella sua sfera giuridica.( le differenze entrano in crisi in maniera più consistente nel caso di inesistenza bensì giuridica ma non materiale )

Il quadro non cambia nemmeno se si poggia lo sguardo sul sistema civile , a cui non sono estranei gli istituti della conversione , del mancato travolgimento degli effetti dell’usucapione , della esecuzione volontaria della disposizione testamentaria nulla , della sanatoria delle delibere assembleari nulle ( dove lo schema di invalidità è invertito ) , della transazione del titolo nullo.

La previsione dell’art. 21 septies è il frutto della vittoria dogmatica dei sostenitori della teoria intermedia e del negozio[4] e la relativa protasi ne è la prova ( difetto assoluto di attribuzione , nullità strutturale , nullità testuali ).

In realtà il difetto assoluto di attribuzione è un termine infelice e , senza pregiudizio per le buoni ragioni degli uni , meglio sarebbe stato utilizzare il collaudato termine della carenza di potere in astratto . Ad ogni modo il difetto di attribuzione insiste su due fronti , ossia sulla carenza di potere in astratto e sull’incompetenza assoluta .

La carenza di potere rappresenta un puro vizio di legalità formale in quanto , in tali ipotesi , a mancare è la legge attributiva del poter o il fatto in presenza del quale la legge attribuisce potere ed entrambi questi elementi sono il presupposto indefettibile per l’esercizio della potestà pubblica che mutandosi in funzione amministrativa porta alla produzione dell’atto .

Se manca il fatto o manca la legge allora non c’è attribuzione e l’atto è nullo.

( diverso è il caso di carenza di potere in concreto che , oltre ad avere il difetto di aver rotto la simmetria tra carenza di potere in astratto/nullità e cattivo uso del potere / annullamento è altresì primo di qualsiasi fondamento normativo , di tal che produttivo al più di un vizio di eccesso di potere ).

Ai sensi dell’art. 133 del d.lgs. 104/2010 “ sono devolute alla giurisprudenza esclusiva del giudice amministrativo salvo ulteriori previsioni di legge …5) la nullità del provvedimento amministrativo per violazione o elusione del giudicato “. In tal caso la nullità del provvedimento è conseguenza proprio della carenza di potere in astratto in quanto , in presenza di un giudicato  , sussiste un obbligo non solo conformativo ma preclusivo in capo alla pubblica amministrazione.

In tal caso , va ricordato , che l’azione di nullità non tocca , e pertanto non intacca , l’eventuale giudizio di ottemperanza ( che è giudizio di merito ).

Alle nullità testuali corrisponde un vasto addentellato normativo in quanto si fa riferimento a quelle specifiche previsioni , tendenzialmente settoriali , in cui il legislatore ha scelto di inserire la comminatoria di nullità al verificarsi di determinati condizioni , si pensi , a titolo esemplificativo , all’art. 83 co. 8 parte finale : “ i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle “

Rimangono da delineare le nullità strutturali. In aderenza all’art. 1418 c.c. queste vengono genericamente previste dall’art. 21 septies con il tenore letterale “ nullità strutturali “ ( l’art. 1418 fa invece riferimento agli “ elementi essenziali “ ) . La differenza è sì superflua ma non irrilevante se si guarda alla ragione sottesa a tale terminologia . Nel codice civile infatti esiste un articolo , come noto , espressamente rubricato “ elementi essenziali “ ( 1325 c.c. ) mentre analogo addentellato è carente nel codice del procedimento ; occorre pertanto procedere in via analogica ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c. . Si vuole però precisare che l’analogia non viene operata tra l’art. 21 septies e l’art. 1418 c.c. perché ragionando in tali termini dovrebbero travasarsi tout cour gli elementi essenziali del contratto nel provvedimento , il che è logicamente scorretto data la divergenza delle aree giuridiche di appartenenza. L’operazione algoritmica di creazione normativa va invece utilizzata per mettere in correlazione contratto e provvedimento e cogliere gli elementi strutturali dell’uno che , mutatis mutandis , possono essere trapiantati nell’altro per poi , e soltanto poi , applicare le risultanze dell’operazione all’art. 21 septies.

Gli elementi essenziali emergenti da tale operazione sono l’autore , la volontà , l’oggetto , il contenuto ,la forma.

Ogni patologia di tale elemento presenta però  una problematica in relazione all’accavallarsi di altri vizi , ora di nullità ora di legittimità ; una sorta dunque di aspetto patologico della patologia che potrebbe anche portare a ripensamenti giuridici in ordine a tale categoria di nullità.

La carenza di autorità infatti altro non è se non un difetto assoluto di attribuzione , vizio già contemplato nella prima parte dell’articolo 21 septies.

La volontà rilevante come carenza di elemento essenziale ( ricordiamo che la violenza fisica è causa di inesistenza ) rimane confinata nell’alterazione della fase decisoria , perimetro che il consiglio di Stato ha ridotto ulteriormente[5] fino a farla transitare in un mero vizio di legittimità ( e la scelta sembra già sotto una prima analisi immune da vizi logici in quanto la volontà impersonale altro non sarebbe se non una alterazione della volontà procedimentale , habitat per eccellenza dei vizi di legittimità )

All’oggetto del provvedimento ( trasposizione materiale su cui incide la funzione amministrativa ) non può applicarsi quella parte dell’art. 1418 c.c. che , in relazione agli elementi essenziali dell’oggetto , fa riferimento alla “ liceità “ dell’oggetto in quanto l’accezione si traduce, nel mondo amministrativo , in illegittimità , i.e. in annullabilità.

Il contenuto si ramifica in una parte espositiva ( motivazione , introduzione , preambolo , data luogo ) che , qualora carente , provoca annullabilità e una parte precettiva ( espropriazione , sanzione , ablazione , concessione ) che invece porta alla nullità dell’atto .

La nullità per carenza di elementi essenziali sembra allora ridursi a quest’ultimo caso congiuntamente all’assenza di forma richiesta dalla legge ( che comunque tende a confondersi con il contenuto )

Infine la causa è esterna a tale plesso in quanto elemento naturale non essenziale del contratto . Se cosi fosse infatti andrebbe inesorabilmente a confondersi con la funzione pubblica che è aprioristica e determinata dalla legge e non lasciata alla disponibilità della p.a.. Ne deriva che la carenza di causa è carenza di potere in astratto , sub specie difetto di attribuzione.

L’annullabilità invece è una patologia molto più antica e lineare ( per certi versi ) della nullità.

Questa infatti rispetta pienamente il principio del ruolo servente del diritto processuale nei confronti del diritto sostanziale tant’è che solo l’atto sostanzialmente annullabile può essere annullato . A tale simmetria , in tempi più risalenti , non rispondeva la nullità che , prima dell’avvento della tipizzazione di tale azione veniva innescata per mezzo dell’azione di annullamento sulla falsariga della riduzione dell’azione costitutiva al superiore concetto di azione di accertamento – dichiarativa).

L’art. 21 octies co.1 è il referente normativo che qui viene riportato “ E’ annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o incompetenza “

L’annullabilità del provvedimento si ramifica su tre tipi di violazioni: 1) incompetenza relativa; 2) violazione di legge; 3) eccesso di potere.

Riguardo alla prima va subito chiarito che , nel silenzio della legge , l’articolo fa riferimento all’incompetenza relativa cioè derivante dalla emanazione dell’atto da parte di un organo diverso da quello indicato dalla legge ,seppur della stessa amministrazione.

Tale incompetenza si distingue in incompetenza per materia , per valore e per territorio  e si innerva anche su prescrizioni in materia imposte da regolamenti , ossia da fonti secondarie ( a seguito della riforma Bassanini[6] che allarga notevolmente il senso in cui deve intendersi il termine “ legge “ ).

La violazione di legge invece è una componente residuale , un concetto superiore, più ampio sia rispetto alla incompetenza sia rispetto all’eccesso di potere che pone i due plessi concettuali in rapporto di specialità . E’  legata  al principio di legalità formale e si manifesta nella forma della mancata o della erronea applicazione.

Quest’ultimo( eccesso di potere) invece deve essere considerato come la disfunzione dell’azione amministrativa ed infatti incide sulla  “causa “ ( che sebbene  dia luogo a nullità per difetto di attribuzione comunque non è elemento essenziale del provvedimento quindi può essere presa in considerazione come vizio di legittimità per eccesso di potere ) in quanto l’azione è alterata e manomessa nel fine preindicato dalla legge.

Presupposti dell’eccesso di potere sono l’esercizio di un potere discrezionale e lo sviamento di potere. Quest’ultimo può essere dimostrato anche attraverso l’allegazione di una prova indiretta o per indizi aventi valenza di presunzione legale , tra cui vanno indicati , il vizio di motivazione (che trasmuta nella categoria generale di violazione di legge nei casi di cattivo uso di un potere vincolato per quanto si deduce dalla lettura ,a contrario, dell’art 21 octies comma 2 ,che in relazione alla neutralizzazione dei vizi formali fa esclusivo riferimento ai poteri vincolati . Ne deriva che solo in tal caso l’eccesso di potere può transitare nella generica violazione di legge.), il difetto di istruttoria da intendere come assente o insufficiente ( la dove invece in caso di norma puntuale che scolpisca la motivazione il vizio è di mera legittimità ) ,l’ errore o il travisamento dei fatti , nel senso che si considera inesistente un fatto esistente e viceversa ( anche in questo caso , in presenza di una norma puntuale al riguardo la patologia ricade nel vizio di legittimità ) , la disparità di trattamento (criticato ragionevolmente da chi sostiene che tale vincolo operi solo per il legislatore e non per l p.a. che deve rispettare la legge anche qualora crei disequilibri , basti pensare allo stesso interesse legittimo per definizione sacrificabile ), illogicità ed ingiustizia manifesta ( il primo può confondersi con il vizio di motivazione che appunto attiene a ragionevolezza, razionalità e logicità , il secondo invece tende a confondersi con la disparità di trattamento , ed infine la violazione di norme interne dove la questione annosa risulterebbe essere quella relativa al caso in cui l’atto applicativo di una fonte interna sia in contrasto con questa ma non con la legge , la dove , per converso anche la fonte interna non contrasti con legge . ( il caso in cui l’atto applicativo contrasti con una norma interna che a sua volta contrasti con la legge non desta problemi in quanto, in tal caso , applicando il criterio gerarchico l’atto andrebbe ad essere considerato perfettamente lecito.)

L’ultimo punto si intreccia con il tema dell’atto anticomunitario , In questo caso qualora il provvedimento contrasti con la norma nazionale rispettosa del diritto comunitario allora le alternative sono due , e delle due l’una : o per il criterio gerarchico l’atto va considerato nullo o , partendo dall’assunto che il diritto comunitario è parametro di legittimità dell’atto , questo va considerato annullabile. Nel caso in cui invece la norma nazionale contrasti con il diritto comunitario e l’atto sia confacente a tale norma , allora non potrebbe che predicarsi la nullità dell’atto per il generale dovere di disapplicazione , da parte del giudice nazionale , della legge nostrana in contrasto con il diritto comunitario.

Tirando le fila di questa prima parte della trattazione va evidenziata l’evanescenza di alcune patologie invalidanti dell’atto che si sovrappongono l’un l’altra , ora all’interno della stessa categoria patologica ( vedi ad esempio autorità emanante e incompetenza assoluta ) ora transitando da una categoria all’altra ( vedi la volontà come vizio di legittimità delle regole del procedimento amministrativo ).

E’ altrettanto vero però che la sovrapposizione in se non crea problemi di minimizzazione della tutala per gli interessati ( diretti o indiretti che siano )ma anzi la blinda, rafforzandola.

Terminata l’analisi della prima parte della trattazione l’attenzione va calata sulla sanatoria dell’atto amministrativo con particolare riferimento all’art. 21 octies co. 2 .

Per spiegare la sanatoria occorre partire da alcune premesse gnoseologiche.

I privati cittadini , in quanto consociati , non hanno il potere di far valere i propri diritti da soli , incappando altrimenti nel reato di “ esercizio arbitrario delle proprie ragioni “ .

Diversamente la p.a. . invece può farsi giustizia da sola. L’inciso va chiarito nel senso che comunque la pubblica amministrazione soggiace al potere giurisdizionale , diviso funzionalmente (ma non organicamente) tra giudice amministrativo e giudice ordinario.

Nonostante questo però, è concessa alla pubblica amministrazione di agire ed autogiudicare la propria attività svolta , prima ed addirittura contemporaneamente allo svolgimento di un  processo giudiziario in cui è coinvolta.

La ragione di tale potere è confermato dal fatto che la p.a. è il primo interprete del diritto , Ne sono prova il tenore letterale dell’art. 3 del codice del procedimento che fa riferimento alla ragioni “ di fatto “ e “ di diritto “ a cui deve addivenire l’entità pubblica nell’emanazione del provvedimento amministrativo . L’articolo infatti ha fortissime assonanze con l’art. 163 del c.p.c. che fa , proprio in riferimento al provvedimento giudiziale della sentenza , riferimento alle ragioni di fatto ( petitum) e di diritto ( causa poetendi ) . Altra simmetria  tra ruolo di interprete e funzione amministrativa va rintracciata in campo squisitamente processuale . Nel plesso processuale amministrativo infatti , a differenza di quello penale e civile gli organi giudicanti sono , ordinariamente , due ( tar e consiglio di stato ) a fronte dei tre gradi della giurisdizione ordinaria (giudice di primo grado ,  corte d’Appello , Suprema corte di Cassazione ).

Le esigenze sottese a tale potere sono evidentemente anche pratiche , in quanto solo per tal via , può permettersi alla p.a. ( ritornando sui proprio passi ) , di conseguire appieno quell’interesse generale da perseguire con costanza e dedizione , per le quali esigenze non può vincolarsi la p.a. ad aprioristici limiti temporali.

Ed è proprio in questo quadro che deve essere  inserita la cosiddetta funzione di secondo grado che si distacca da quella di primo grado per esser quest’ultima una funzione amministrativa attiva che va inquadrata cronologicamente in un plesso temporale in cui la p.a. agisce emanando un provvedimento foriero di effetti giuridici da dispiegare nella realtà. Al contrario la prima è funzione passiva in quanto , sotto il profilo temporale , va collocata in un momento necessariamente successivo ossia quando ,a provvedimento già emanato , la p.a. insiste su un atto già compito .

In quest’ultima categoria rientrano i cosiddetti atti di riesame ( non si ignora che vi rientrino anche atti di controllo ma , questi , non rilevano ai fini della trattazione ).

Tratti essenziali di questi è da rintracciare nel fatto che qui  sia la stessa pubblica amministrazione che ha emanato l’atto , nella veste di funzione attiva , ad agire in passivo (la differenza rievoca, seppur con notevoli differenzi, l’aporia tra incompetenza assoluta e relativa).

Le relative attività si dividono in tre grandi macro aree , eliminazione , modificazione e conferma .

Tra queste vanno selezionati quelli che interessano per delineare la sanatoria ,ossia la conversione ( modificazione ) e la conservazione ( conferma ).

In realtà , come poi si vedrà interessano velatamente anche i procedimenti di eliminazione nella forma del doppio ritiro ma l’argomento verrà trattato funditus nella parte finale.

La sanatoria è dunque un potere manutentivo riconosciuto dalla legge a tenor del quale si va a salvare un provvedimento viziato.

Da un punto di vista assiomatico potrebbe pensarsi che l’unico provvedimento suscettibile di tale funzione sia solo l’annullamento in quanto unico atto idoneo a poter produrre effetti nell’ordinamento in quanto , in caso di nullità , ci troveremmo di fronte ad un taglio netto dello schema di produzione degli effetti giuridici. Tale modo di argomentare però svelerebbe una fallacia di petizione di principio in quanto ,come già annunciato , ci sono molti casi in cui è possibile procedere in diritto civile al recupero del contratto nullo come , ad esempio , nel caso di conversione o negli eccezionali casi residuali di convalida.

Ora un argomento a fortiori : se l’atto nullo può essere oggetto di salvezza in un sistema dove è ben visibile la differenza tra violazione di un interesse generale (nullità) e violazione di un interesse individuale (annullamento ) , a maggior ragione dovrebbe esserlo in un sistema imperniato tutto sull’interesse generale perseguito dall’entità pubblica ( il ragionamento entra lievemente in crisi nella ormai consolidata dicotomia interesse pubblico / interesse generale ).

Orbene occorre ora scolpire gli appositi provvedimenti con efficacia sanante.

Convalida. ratifica , conferma e sanatoria in senso stretto rientrano nel catalogo dei provvedimenti di conversione mentre consolidazione , acquiescenza e conversione in quelli di conservazione.

Va avvertito il lettore che nel trattare tali istituti verranno eminentemente considerate le tipologie di vizio aggredite da ognuna delle rispettive figure.

La conferma è un provvedimento di autocorrezione che può essere utilizzato solo ed esclusivamente per gli atti annullabili quindi affetti da vizi di legittimità latu sensu.

In questo peculiare caso ( cioè quando il vizio esiste essendo potenzialmente attuabile la conferma anche in assenza di quest’ultimo ) la volontà della pubblica amministrazione è innovativa e rispecchia tale animus.

Nel caso ad esempio di rinnovazione di istruttoria(che è un tipico caso di eccesso di potere )  l’atto ha una efficacia costitutiva ed è espressione di una autonoma e nuova manifestazione di volontà seppur l’atto sia , di fatto , identico a quello emanato nelle more della funzione attiva.

Il provvedimento in questo caso riemerge allora doppiato in quanto , per l’appunto, si manifesta proprio il fenomeno della duplicazione ( indi per cui i due atti vanno impugnati congiuntamente).

In caso di convalida invece possiamo riscontrare la presenza di un chiaro addentellato normativo , segnatamente da rinvenire nell’art. 21 nonies il quale sancisce che “ il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21 octies , esclusi i casi di cui all’art 21 octies co. 2 può essere annullato d’ufficio…è fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole “.

La presenza di una disposizione precisa in materia suggerisce di procedere ad una analisi puramente normativa.

Il primo comma fa esplicito riferimento all’art. 21 octies il che significa che è esclusa la nullità dai vizi suscettibili di convalida. Vero è che il primo comma fa riferimento ad una attività di eliminazione ma è non di meno vero che non ci sono ragioni ne appigli letterali per ritenere ragionevolmente che il secondo comma non si costruisca sui parametri del primo . Ed ancora in relazione al prima comma , la norma – si anticipa – dimostra una potenziale sovrapposizione tra la sanatoria “ impropria “ di cui all’art. 21 octies co. 2  e la sanatoria “ ordinaria “ di cui all’art. 21 nonies che , per analogia , va estesa a tutte le attività di tal tipo.

Altri elementi nevralgici sono le ragioni di interesse pubblico ed un termine ragionevole. L’esempio di scuola è quello della motivazione insufficiente ( che è un vizio di eccesso di potere ) o della eliminazione delle clausole invalidanti ( che è un vizio di legittimità ) . La figura inoltre sembra porsi come corollario logico dell’inutilizzo del potere di autotutela demolitorio dell’annullamento d’ufficio.

La ratifica invece va utilizzata solo in caso di incompetenza relativa ( che è sempre un vizio foriero di annullamento )

In ultimo la sanatoria in senso stretto è altresì un rimedio manutentivo utilizzabile solo per gli atti annullabili , giammai nulli ed ha natura strumentale al provvedimento carente di un requisito di legittimità che viene ripristinato ex post.

Dalla analisi trasversale della prima categoria emerge che minimo comune denominatore di convalida , ratifica , conferma  e sanatoria in senso stretto, sia l’inidoneità di questi a ripristinare un vizio patologico grave come la nullità.

Il discorso cambia radicalmente in relazione alla categoria dei provvedimenti di conservazione perché questi , tendenzialmente , sono idonei ad incidere su qualsiasi tipo di patologia , eccezion fatta per la inesistenza evidentemente.

Il primo istituto da analizzare è la consolidazione . La funzione è palese già da un punto di vista etimologico in quanto la consolidazione è l’effetto del trascorrere del tempo che , per definizione deteriora ogni cosa , finanche l’invalidità di un provvedimento. Infatti in tal caso l’atto rimane invalido ma non più tangibile.

Occorre procedere ad un argomento deduttivo : se la premessa maggiore è che trascorso il termine per impugnare ,il provvedimento rimane invalido ma efficacie e se , altresì si inserisce nella premessa minore il comma 4 dell’art 31 del c.p.a. a tenor del quale “ la domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di 180 giorni “ , ne deriva necessariamente che , la consolidazione, sia un istituto pienamente valido ed applicabile anche al provvedimento affetto da nullità

Le conclusioni non cambiano per quanto riguarda l’acquiescenza cioè l’atteggiamento nichilista del soggetto interessato e titolato ad impugnare lasciando che l’invalidità si cronicizzi.

In ultimo va analizzata la conversione. Questa per definizione è utilizzabile in presenza sia di un provvedimento nullo che annullabile . Il provvedimento in questo caso si converte facendo della propria patologia la condizione necessaria per degradare ad atto valido ( provvedimento di espropriazione convertito in occupazione temporanea ),

Ovviamente è necessario che il provvedimento viziato abbia le caratteristiche sufficienti per la validità del nuovo provvedimento ( esattamente come la conversione del negozio nullo ) e che i due atti abbiano funzioni affini. .( da qualsiasi tipo di vizio sia affetto l’atto – da carenza di potere in astratto , da incompetenza assolta ,da vizio relativo ad autorità emanante , alla volontà,all’oggetto , al contenuto , alla forma , alla nullità espressamente previste ,da vizio di legittimità , di eccesso di potere , di incompetenza relativa – il rimedio manutentivo può operare).

Va inoltre ricordato che la conversione può essere anche solo interpretativa.

In conclusione convalida , ratifica , conferma sanatoria in senso stretto , consolidazione , acquiescenza e conversione hanno tutti un minimo comune denominatore , ovverosia l’esser atti di sanatoria ed essere tutti idonei ad incidere su provvedimenti annullabili ed hanno , altresì, dei tratti differenziali consistenti nel fatto che solo consolidazione , conversione e acquiescenza sono potenzialmente idonei a sanare sia un atto nullo sia un atto annullabile.

Incamminandoci dunque nella parte finale della trattazione va, da ultimo ,  data attenzione alla particolare figura di sanatoria di cui all’art. 21 octies co. 2 ma per non incorrere in fallacie metodologiche appare utile partire dalla analisi normativa dell’istituto.

La disposizione si divide in due parti. La prima sancisce che “ non è annullabile il provvedimento adottato in violazione delle norma sul procedimento o sulla forma degli atti qualora per la natura vincolata del provvedimento sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

La norma si sviluppa palesemente sullo schema norma fatto effetto.

Ricostruito infatti da un punto di vista inferenziale la norma va riscritta nella maniera che segue “ Se il provvedimento è adottato in violazione delle norma sul procedimento o sulla forma degli atti e qualora per la natura vincolata del provvedimento sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto esser diverso da quello in concreto adottato , allora ( tale provvedimento ) non è annullabile .”

Vanno dunque isolati gli elementi della protasi che sono segnatamente l’esistenza di una norma sul procedimento , ( che è un vizio di eccesso di potere ) ovvero di una norma sulla forma ( da intendersi quale norma sul profilo estrinseco dell’atto che dà luogo all’annullabilità e non sul profilo precettivo che , come già visto in precedenza , dà luogo alla nullità ) , la natura vincolata del provvedimento ( anche se è ormai consolidato l’orientamento ampliativo di tale termine che considera vincolati anche gli atti discrezionali in relazione all’an[7] e puramente vincolati solo in relazione al contenuto ), la possibilità di operare un giudizio controfattuale , l’evidenza del giudizio controfattuale .

La norma evidentemente abbatte un dogma ossia quello della inderogabilità degli effetti che , in verità , già era stato ben scalfito dalla giurisprudenza del consiglio di stato che , già da tempi risalenti , ha posto l’accento sul concetto di “ irregolarità per minimalità “ e sul tramontare dell’idea della giurisdizione amministrativa come giudizio sull’atto oramai assestata su un giudizio sul rapporto , il  che ha dato evidentemente il là alla redazione della novella.

Si blinda anche ,con la previsione, l’ascesa della superiorità del principio di legalità sostanziale e del buon andamento sul principio di legalità formale , già messo in crisi da una sempre crescente attenzione alle necessità di dare il giusto peso alle esigenze concrete della pubblica amministrazione , di cui d’altronde gli stessi atti di autotutela in sanatoria ne sono espressione.

Il giudizio controfattuale inverso , improntato sui crisi della causalità materiale ( ma non scientifica in senso stretto , in questo caso ) viene operato sulla base di una eliminazione mentale. Eliminando dalla premessa minore la violazione per vizio del procedimento o della forma deve verificarsi l’immanenza o meno del contenuto dispositivo. Se il dispositivo non muta il vizio non è stato dirimente , in caso contrario , deve giungersi ad opposta conclusione e non si innescherà l’effetto dell’operatore logico di comando[8] ,ossia la non annullabilità.

Ultimo tratto distintivo è l’evidenza ed è da interpretarsi nel senso che il giudizio controfattuale inverso ( in senso contrario alla mutazione del dispositivo ) deve essere lampante , facilmente visibile e certo.

Ovviamente è proprio tale caratteristica a delineare lo schema di produzione dell’effetto sulla struttura “ norma-fatto –effetto “ perché è alla chiara visibilità del giudizio controfattuale che si salda la non necessità che sia esercitato un potere da parte della p.a. ai fini della operatività della apodosi.

Il concetto di evidenza potrebbe provocare perplessità se insistente su un predicato quale il giudizio controfattuale ma ogni perplessità viene superato applicando il principio “ beyond any reasonable doubt “ . Infatti superare il ragionevole dubbio ( da molti addirittura denominato certezza giuridica seppur erroneamente ) è comunque un concetto assolutamente compatibile e non refutabile da quello di “ palese “ .

Occorre quindi domandarsi , prima di tutto , se possa effettivamente denominarsi autotutela un effetto giuridico che non prevede alcun tipo di potere o di scelta discrezionale da parte della p.a..

D’altronde , come sopra già evidenziato , la funzione di secondo grado si innerva proprio su un potere discrezionale , altrimenti opinando perderebbe quota la stessa idea di “ autotutela in sanatoria “ che si ridurrebbe a mera “ causalità normativa sanante “ .

Ed infatti in un primo momento la previsione venne inquadrata nel novero della irregolarità . Il postulato è facilmente criticabile in quanto non può pretendersi da un punto di vista logico assonanza tra un giudizio che opera ex ante ( irregolarità ) ed uno che opera ex post ( il non annullamento b.a.r.d.).

Altrettanta poca fortuna ha avuto la concezione dell’art. 21 octies co. 2 ,come sanatoria di tipo processuale ,secondo i dettami dell’art. 157 del c.p.c. a tenor del quale “ non può pronunciarsi la nullità senza istanza di parte , se la legge non dispone che sia pronunciata d’ufficio”.

In definitiva si è optato per la scelta del concetto di “ sanatoria sostanziale “ in quanto , in questo caso , ben emerge dalla definizione il tenore di un interesse legittimo che non è solamente interesse a perseguire l’azione processuale ed inoltre potrebbe calarsi l’articolo de quo in un classico caso di efficacia invalidate risolutivamente condizionata ( cessazione degli effetti ) .

Ma anche con tale ultima definizione i problemi sopra delineati non vengono risolti in quanto l’unico elemento comune tra funzione sanante ed art. 21 octies co. 2 prima parte rimane la funzione pratica della salvezza dell’atto annullabile.

Deve quindi necessariamente concludersi che la prima parte del secondo comma , sebben  ricondotto alla sanatoria , non ne rispetti le caratteristiche in quanto atto non discrezionale . Il termine “ sanatoria “ non deve essere inteso allora come funzione amministrativa di conservazione che , proprio per essere espressione di attività discrezionale si manifesta per il tramite di un provvedimento . Nel caso di specie invece l’effetto sanante si verifica ipso iure in presenza dei presupposti previsti dalla legge nell’explanandum.

Più affine ad una forma di autotutela è la seconda parte dell’art. 21 octies co. 2 .

La disposizione prevede che “ il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.”

Ricostruito da un punto di vista inferenziale l’articolo va riletto nel seguente modo “ se si verifica mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato , allora il provvedimento non è comunque annullabile”.

Nella premessa vanno collocate dunque le seguenti condizioni : mancata comunicazione di avvio , dimostrazione in giudizio , giudizio controfattuale inverso ed infine l’avverbio “ comunque “ .

Il termine “ comunque “ ( va calato nella protasi seppur per comodità linguistica è stato riportato nella apodosi ) è dirimente e svela un pacifico collegamento normativo con la prima parte dell’articolo nel senso che , anche in carenza dei presupposti della prima parte del secondo comma , qualora si verifichino le condizioni della seconda , allora l’atto rimarrebbe comunque impermeabile all’annullamento.

La seconda parte inoltre  fa riferimento esplicito alla mancata comunicazione che è una ipotesi speciale di vizio sul procedimento ma ,per converso , non fa distinzione in relazione alla natura vincolata o meno dell’attività esercitata dalla p.a..

Ne deriva che ,in relazione alla tipologia di vizio, si presenta come speciale rispetto alla prima parte ma in relazione al tipo di attività assume i crismi della generalità . Logica conseguenza di tali premesse è che tra prima e seconda parte esiste un rapporto di specialità reciproca. Quindi se la mancata comunicazione di avvio del procedimento ( ex art. 7 ) è imposta da una norma di natura vincolata , allora si applicherà la prima parte del secondo comma e non la seconda , con la conseguenza che dovrà necessariamente sussistere il requisito della evidenza del giudizio controfattuale inverso.

Tale previsione , come anticipato , si avvicina maggiormente alla funzione sanatoria ma ,ad ogni modo non ne rispecchia comunque l’essenza .

A differenza della precedente infatti tale previsione non sembra costruita sullo schema norma-fatto effetto e , da questo , dovrebbe dedursene che non ci sia alcun automatismo in quanto la disposizione esige che l’amministrazione si attivi in giudizio , scegliendo di “ dimostrare “ che il  dispositivo non sarebbe stato comunque diverso. Nonostante sia però vero che ,in questo caso, non si verifichi un diretto automatismo è altrettanto vero che la p.a. non attua un giudizio puramente discrezionale in quanto non agisce secondo lo schema norma – potere – effetto ( perché solo son tale schema può spiegarsi una operazione autonoma senza interferenza alcuna dell’autorità giudiziaria ) ma secondo lo schema norma – fatto – potere sull’an – accertamento giudiziale – effetto.

Quindi più che potere pubblico espressione di una attività di secondo grado , la sanatoria in questione sembra meglio atteggiarsi come diritto potestativo , laddove in presenza di determinati condizioni ( il giudizio controfattuale inverso, un vizio di comunicazione  ) la p.a. possa innescare il proprio diritto ( di non vedere annullato un proprio atto ) ma dovendo non di meno provarlo in giudizio in quanto ogni diritto potestativo presuppone comunque un accertamento giudiziario che , nel caso in esame , va specificatamente provato.

Ed allora sembrano finalmente prendere forma le differenze esistenti tra sanatoria su un provvedimento invalido come esercizio del potere di autotutela ( funzione di secondo grado coinvolgente, a seconda del tipo di provvedimento emanato, sia un atto nullo sia un atto annullabile ) e sanatoria sostanziale ex art. 21 octies co. 2 ( che è un automatismo ex legge frutto dell’operare di una causalità normativa , non ammissibile per gli atti nulli , ed operante senza l’emanazione di un provvedimento ). A sua volta l’art. 21 octies co. 2 si divide in altrettanti due plessi concettuali , il primo ( che produce un automatismo diretto tra presupposti e sanatoria ) ed il secondo ( che invece , sul necessario verificarsi delle condizioni ineluttabili a che l’istituto operi , necessita di un quid pluris rispetto alla prima parte dell’art. 21 octies comma 2 , segnatamente l’attivazione della p,.a. nel processo , ed un quid minus rispetto alla sanatoria in autotutela).

Va da ultimo , avvicinandoci alla conclusione dell’elaborato , sottolineato un ultimo profilo , squisitamente processuale relativo alla possibilità di una sovrapposizione pratica dei due tipi di sanatoria.

Dall’analisi sopra delineata deriva che l’art 21 octies co. 2 faccia riferimento a tre precisi profili patologici , ossia la violazione delle norme sul procedimento , sulla forma o sulla comunicazione. Sono  tre classiche forme di violazione di legge , in senso lato potenzialmente sanabili anche con i provvedimenti di conservazione .

Utilizzando come ipotesi di lavoro quindi la convalida e ricordando che questa può avere ad oggetto provvedimenti annullabili  , deve inferirsi di necessità che nelle more di un processo ,ben potrebbe la p.a. procedere a convalida di un atto affetto da violazione di norme sul procedimento , sulla forma ossia sulla comunicazione del provvedimento.

Contemporaneamente però , almeno in relazione ai primi due casi ( violazione norme sulla forma e sul procedimento ) -ed a voler ammettere comunque una inerzia processuale della p.a in relazione ad un vizio di comunicazione – si verificherebbe un fenomeno di concorso di norme.

Se poi si considera altresì che per anni la dogmatica è stata  concorde nel precisare che la pubblica amministrazione non  avrebbe potuto giammai esercitare poteri autoritativi ( come quelli di convalida ) nelle more del processo[9], se incidenti sul rapporto dedotto in giudizio ed oggetto del caso sub iudice , dovrebbe concludersi che per la specifica tipologia di vizi previsti dall’art. 21 octies comma 2 , la sanatoria sostanziale provocherebbe un indebito aggiramento del divieto in quanto , non essendo questa un esplicito caso di esercizio di potere autoritativo , allora non potrebbe vietarsene l’operatività , a fortiori se si considera che l’effetto sanante si verifica per un automatismo normativo.

La questione risulta priva di rilevanza oggi in quanto l’art. 34 c.p.a. permette , a ben vedere , alla p.a di emanare provvedimenti anche su fattispecie oggetto di giudizio sul presupposto che “ in nessun caso il giudice amministrativo può pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati “ , ma rimane di notevole importanza in relazione al cosiddetti atti di “ doppio ritiro[10] “ . Si tratta dei classici casi in cui vengono ritirati precedenti provvedimenti di auto-annullamento , provocando in questo modo un effetto sostanzialmente conservativo , i.e. sanate.

Posto che  il divieto per tali tipi di atti rimane un dogma  , il problema relativo a una eventuale sovrapposizione con l’art. 21 octies co. 2 , resta irrisolto.


[1] F.Bellomo, Nuovo sistema del diritto amministrativo, edizione 2018
[2] F.Bellomo, Nuovo sistema del diritto amministrativo, edizione 2018
[3] F.Bellomo, Nuovo sistema del diritto amministrativo, edizione 2018
[4] F.Bellomo , Nuovo sistema del diritto amministrativo , edizione 2018
[5] Consiglio di Stato, sentenza n. 13, 5 maggio 2014
[6] Attuata con D.lgs. n. 112  del 1998
[7] Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n.6758, 20 dicembre 2011
[8] F.Bellomo, Nuovo sistema del diritto amministrativo, edizione 2018
[9] Consiglio di stato,Sez. III, sentenza n.4119,  18 giugno 2019
[10] F. Bellomo, Nuovo sistema del diritto amministrativo , edizione 2018

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