L’imputabilità del reo: ubriachezza e assunzione di sostanze stupefacenti

L’imputabilità del reo: ubriachezza e assunzione di sostanze stupefacenti

“Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere.” 

Così recita l’art. 85 del Codice Penale, il quale stabilisce i criteri affinché un soggetto possa definirsi responsabile della commissione di un reato. Il presupposto di questo è la capacità di intendere e di volere del reo venendo meno l’imputabilità anche se manca soltanto una delle due capacità. 

Tale concetto è richiamato anche dall’art. 27 della Costituzione, il quale quando enuncia il concetto di responsabilità penale fa riferimento ai casi in cui la persona che compie il fatto illecito, sia effettivamente cosciente del valore antisociale e soprattutto antigiuridico, potendo così autodeterminarsi. 

Ma come cambia l’imputabilità del reo in base all’assunzione di alcool o  sostanze stupefacenti? 

Il nostro codice dopo aver enunciato all’art. 90 che “ gli stati emotivi e passionali non escludono ne diminuiscono l’imputabilità” si accinge a disciplinare negli articoli successivi i fenomeni derivanti dall’uso dell’alcool e di sostanze stupefacenti, i quali svolgono un ruolo determinante all’interno della fattispecie di reato. 

La prima fondamentale distinzione che il codice opera è se l’ubriachezza sia derivata da caso fortuito o da forza maggiore, oppure volontaria o colposa, ovvero preordinata. 

Per cominciare, con il termine ubriachezza si fa riferimento a quello stato per il quale un soggetto subisce una momentanea alterazione mentale, causata dall’abuso dell’alcool, e capace di provocare un abbassamento della coscienza. 

Dunque, l’ubriachezza, derivata da fattori esterni all’uomo, da lui non prevedibili,  oppure contro i quali il soggetto non è in grado di resistere, necessita una distinzione; nel caso in cui essa comporti una perdita di capacità solamente parziale si determina una riduzione di pena, mentre se è tale da procurare una perdita piena di capacità l’imputabilità viene esclusa. Fuori da questi casi, ossia in circostanze in cui l’ubriachezza sia volontaria o colposa, l’imputabilità non è né esclusa né diminuita.

Ben diverso è il caso in cui l’ubriachezza sia stata preordinata al fine di commettere un reato, nel quale non solo l’imputabilità non viene a scemare, ma la responsabilità è aumentata; questo è attribuibile al fatto che l’incapacità in questione viene ritenuta come parte di un vero e proprio piano criminoso che il soggetto agente intende realizzare.

Tutte le circostanze fin qui descritte sono equiparate ai casi in cui il fatto è commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti. (art. 93 c.p.)

Ma cosa accade se il soggetto che commette il fatto antigiuridico fa ordinariamente uso in maniera spropositata di bevande alcoliche o di sostanza stupefacente?

Qui il filo sottile che passa tra la cosiddetta ubriachezza abituale e la cronica intossicazione da alcool e stupefacenti. 

Le due fattispecie sono estremamente simili e confondibili, ma vi è una notevole differenza in merito all’imputabilità del reo; infatti nel primo caso la pena è aumentata , al contrario del secondo in cui si applicano le disposizioni degli artt. 88 e 89 c.p. che disciplinano rispettivamente il vizio totale e il vizio parziale di mente, i quali escludono e diminuiscono l’imputabilità.

La differenza sostanziale risiede nel fatto che mentre l’ubriachezza o l’assunzione di sostanza stupefacente abituale punisce la pericolosità del soggetto di chi è dedito a questo sregolato stile di vita, la cronica intossicazione può costituire una vera e propria infermità di mente che comporta uno squilibrio psicologico acuto destinato a durare nel tempo anche in caso di cessata assunzione di alcool e sostanze stupefacenti. 

Il filo sottile che separa queste due fattispecie in esame è dunque che la prima è un grave stato di intossicazione al pari della seconda, ma che però può venir meno con la cessazione dell’assunzione. 

Esplicativa è una sentenza del 18.01.1995 n. 3633 della Prima sezione della Corte di Cassazione che così recita: “L’intossicazione cronica da sostanze stupefacenti consiste in una alterazione dell’equilibrio biochimico del soggetto che provoca una permanente alterazione dei processi intellettivi e volitivi configurabile come una vera e propria malattia mentale. A tale fine va operata una distinzione tra l’alterazione della volontà, ed eventualmente della capacità intellettiva, che si manifesta in un soggetto tossicodipendente in crisi di astinenza e che viene superata al termine della crisi stessa, e la permanente compromissione delle facoltà psichiche in conseguenza della intossicazione da sostanze stupefacenti considerata dall’art. 95 c.p.”

In conclusione tale distinzione è frutto, in maniera evidente, della necessità per il Legislatore di non condannare a priori la commissione di reati da parte di soggetti tossicodipendenti o alcolisti,  ma di permettere una valutazione della loro capacità di intendere e di volere qualora l’abuso delle sostanze stupefacenti  e dell’alcool sia di tale importanza, rilievo e  durata tali da pregiudicare permanentemente  la sfera psicofisica dell’assuntore.


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Gian Maria Nicotera dopo aver conseguito il diploma di Liceo Classico presso il “Giulio Cesare” di Roma, si laurea presso “ La Sapienza” in Giurisprudenza, con una tesi in Diritto Penale, sulla difesa legittima e le prospettive di riforma di questa e dell’art. 55 del c.p. Adesso è iscritto come Praticante Abilitato presso il foro di Roma.

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