Obbligazioni ambulatorie e spese condominiali: guida teorico-pratica alla riscossione

Obbligazioni ambulatorie e spese condominiali: guida teorico-pratica alla riscossione

Le obbligazioni ambulatorie (dette anche reali o propter rem) costituiscono il prodotto di una classificazione teorica elaborata dalla dottrina e recepita dalla prevalente giurisprudenza, non avulsa dal quadro normativo del codice civile ma nemmeno destinataria di una disciplina puntuale[1].

La categoria dogmatica in parola raggruppa, in particolare, i vincoli giuridici allo svolgimento di prestazioni strumentali alla conservazione di un certo bene (come, ad esempio, manutenzione, esecuzione di opere, pagamento di spese e altri oneri)[2].

In forza di tale intrinseco legame, dette obbligazioni letteralmente “seguono” sia la res cui si riferiscono sia -di conseguenza- chi, di volta in volta, è titolare del relativo diritto di proprietà ovvero degli altri diritti reali minori da cui simili doveri giuridici promanano.

Detto altrimenti, mentre di regola il creditore e il debitore di un rapporto giuridico obbligatorio sono determinati o determinabili in base al titolo (di regola, un contratto), i soggetti delle obbligazioni ambulatorie vengono individuati per relationem, in ragione della spettanza del diritto reale tipico.

Logica conseguenza di tale assunto è che simili vincoli non possono essere creati, modificati o esclusi convenzionalmente dalle parti (salvo che non sia il titulus di legge a prevedere tale facoltà); è, infatti, preclusa all’autonomia privata la modulazione di obblighi capaci di valicare i confini del rapporto giuridico contrattuale, le cui regole trovano applicazione solo tra i paciscenti, in conformità al generale principio di relatività (artt. 1321, 1372 c.c.)[3].

Tanto premesso in termini generali, si passa ad analizzare l’art. 1123 c.c., dedicato alla ripartizione delle spese condominiali, l’obbligo al pagamento delle quali è pacificamente ricondotto alla categoria giuridica in commento.

In punto di disciplina, la citata disposizione non genera alcun dubbio interpretativo, limitandosi a fissare i parametri per la distribuzione delle «spese necessarie per il godimento e la conservazione delle parti comuni» dell’edificio in condominio.

Ai sensi del primo comma, il pagamento si effettua in proporzione ai cc.dd. millesimi di proprietà di ciascuna unità immobiliare, calcolati in base all’estensione superficiaria totale dello stabile (cfr. artt. 68, 69 disp. att. c.c.), alla stregua del c.d. criterio normale.

Laddove, poi, le parti comuni servano tutti i condomini ma in misura diversa, deve aversi riguardo «all’uso che ciascuno può farne», ferme restando le specifiche previsioni stabilite per la manutenzione (lato sensu intesa) di scale, ascensori, soffitti, volte e solai (artt. 1124, 1125, 1126 c.c.). 

Infine, ai sensi del terzo comma, se delle parti comuni godono solo alcuni fra i condomini, il criterio normale e quello dell’uso trovano applicazione solo con riguardo alle unità immobiliari che le parti comuni sono oggettivamente destinate a servire.

Ulteriori, importanti implicazioni possono, nondimeno, trarsi da una più attenta disamina della disposizione in oggetto.

In primo luogo, l’individuazione della posizione debitoria sembra dipendere dalla circostanza che il solvens rivesta o meno la posizione di condomino nel momento in cui le spese sono «deliberate dalla maggioranza» della relativa assemblea.

Ciò confermerebbe l’appartenenza dell’obbligo giuridico in parola al genus delle obbligazioni ambulatorie.

Secondariamente, la ripartizione dei costi è all’evidenza improntata a criteri di razionalità economica, alla stregua cioè dell’utilità economica -effettiva, ove dimostrata, oppure presunta ex lege– che ciascuno dei condomini può trarre dalle parti comuni (secondo il noto principio cuius commoda eius et incommoda).

Alla luce delle superiori coordinate ermeneutiche, è possibile ricostruire la disciplina di cui all’art. 63 disp. att. c.c., da considerarsi norma complementare (e, per certi versi, speculare) al citato art. 1123 c.c.

In breve, la disposizione attribuisce all’amministratore, in qualità di rappresentante del condominio, la legittimazione processuale a chiedere e ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti dei condomini morosi per la riscossione dei contributi «in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea».

Particolarmente interessante è il dettato del quarto comma, che prevede una apparentemente inspiegabile forma di responsabilità solidale ex lege in capo all’acquirente dell’unità immobiliare cui i debiti condominiali «relativi all’anno in corso e a quello precedente» si riferiscono.

In disparte l’evidente funzione di garanzia per i terzi contraenti -ovverosia per coloro che, relazionandosi con l’amministratore, forniscono beni e servizi al condominio (e, quindi, in ultima analisi, ai condomini stessi)[4]– tale forma di responsabilità solidale si appalesa anomala, in quanto sembra poter prescindere dalla titolarità del debito.

Infatti, giusta la previsione dell’art. 63, co. 4, disp. att. c.c. l’acquirente potrebbe trovarsi costretto a sostenere il pagamento di spese deliberate prima del perfezionamento del negozio di alienazione[5].

Un’opzione interpretativa validamente argomentabile è di ritenere che la norma in questione codifichi un’ipotesi di responsabilità senza debito[6], categoria dogmatica all’interno della quale andrebbero ricondotte tutte le ipotesi in cui la pretesa creditoria è azionabile anche nei confronti di soggetti diversi dai destinatari del dovere giuridico di adempiere nascente dal rapporto obbligatorio.

Tale sarebbe la responsabilità, tra gli altri, del delegato, dell’espromittente e dell’accollante (esterno), oltreché del fideiussore.

Va, nondimeno, osservato che la distinzione tra il dovere giuridico di adempiere (rechtliches Sollen) e l’esposizione al potere di aggressione da parte del creditore (Haftung) risulta parzialmente artificiosa, potendosi diversamente affermare che nelle ipotesi sopramenzionate insistano più responsabilità sul medesimo debito, promananti da titoli diversi (il contratto o la legge).

Orbene, una convincente soluzione esegetica, in coerenza con le superiori premesse, potrebbe allora essere quella di qualificare l’ipotesi in esame alla stregua di una obligatio propter rem, presentandone l’art. 63, co. 4, c.c. tutte le caratteristiche.

Invero, da un lato, il solvens può essere chiamato a rispondere anche a prescindere da qualsivoglia imputabilità (recte, imputazione) soggettiva del debito; dall’altro lato, trattasi di spese pacificamente correlate al bene cui si riferiscono (id est, indirettamente, all’unità immobiliare al cui godimento le cose comuni sono asservite) e come tali capaci di circolare con esso, in forza di un titulus legislativo.

A tale ultimo proposito, va, inoltre, rilevata l’inequivoca formulazione imperativa della disposizione in oggetto («chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato»), dalla quale consegue l’impossibilità per l’autonomia privata di derogare a tale obbligo o, meglio, di opporre a terzi eventuali disposizioni pattizie volte a suddividere diversamente le spese nei rapporti interni tra le parti.

La superiore ricostruzione non è scevra da conseguenze processuali, anche assai rilevanti, per l’amministratore di condominio che intenda agire per il recupero delle spese riferite all’unità immobiliare del condomino moroso.

Anzitutto, egli può esperire un’azione di responsabilità disgiuntamente diretta nei confronti del nuovo proprietario (avente causa) oppure del vecchio proprietario (dante causa) ai sensi dell’art. 63, co. 4, c.c., instaurando un giudizio di cognizione ordinario non litisconsortile.

Invero, anche nelle ipotesi di chiamata in causa del coobbligato, l’attore non estenderebbe (recte, non potrebbe estendere) la domanda originariarmente rivolta al convenuto anche al terzo chiamato, il quale verrà eventualmente condannato in solido con il convenuto medesimo in forza di esplicita domanda di manleva avanzata da quest’ultimo.

Si precisa, peraltro, che tale domanda -che costituisce la ragione della stessa della chiamata in causa del terzo- è volta non tanto ad ottenere una condanna in solido (che ne costituisce l’effetto secondario), bensì a stabilire l’effettiva titolarità del debito in capo al convenuto oppure al terzo chiamato.

Diversamente, l’amministratore potrebbe convenire in giudizio congiuntamente sia l’avente causa sia il dante causa nel medesimo processo, instaurando così un giudizio di cognizione ordinario litisconsortile dal lato passivo.

Giuridicamente più insidioso è, invece, lo strumento del ricorso monitorio contemplato dall’art. 63, co. 1, disp. att. c.c., dal momento che la disposizione manca di individuare il soggetto nei cui confronti l’azione può essere esercitata (id est il legittimato passivo).

A prima vista, tale actio sembrerebbe esperibile nei confronti tanto del nuovo quanto del vecchio proprietario.

Siffatta esegesi contrasterebbe, però, con la natura ambulatoria dell’obbligazione in esame, in forza della quale la possibilità di promuovere detto mezzo di tutela dichiarativa sommaria andrebbe limitato nei confronti sol di chi è proprietario al momento della domanda (e cioè l’avente causa), impregiudicato il diritto di quest’ultimo di essere manlevato dal precedente titolare del bene, se ricorrono le condizioni di cui all’art. 63, co. 4, c.c.

Pertanto, coerentemente, la giurisprudenza, adottando una soluzione restrittiva, ha stabilito che l’amministratore può chiedere ed ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art. 63, co. 1, disp. att. solo nei confronti di chi è proprietario al momento del ricorso, atteso che l’obbligo di pagamento di quest’ultimo sorge dal rapporto di natura reale che lega l’obbligato alla proprietà dell’immobile (cfr. Cass. civ., Sez. II, sent. 9.11.2009, n. 23686, e Cass. civ., Sez. II, sent. 9.9.2008, n. 23345).

Successivamente chiamata a pronunciarsi su questioni analoghe, la giurisprudenza di legittimità ha, nondimeno, precisato che ove le spese in questione siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione del contratto di vendita, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che le opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l’acquirente ha diritto di rivalersi, nei confronti del medesimo, di quanto pagato al condominio per tali spese, in forza del principio di solidarietà passiva di cui all’art. 63 disp. att. c.c. (cfr. Cass. civ., Sez. II, sent. 2.5.2013, n. 10235, e Cass. civ., Sez. II, sent. 3.12. 2010).

In definitiva, l’amministratore può chiedere ed ottenere il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art. 63, co. 1, disp. att. c.c., legittimamente agendo nei confronti:

  1. del dante causa, quando è ancora proprietario, per il pagamento delle spese ordinarie relative al periodo antecedente al trasferimento ovvero per quelle straordinarie deliberate nel medesimo periodo;

  2. dell’avente causa, dopo che quest’ultimo è divenuto proprietario, per il pagamento delle spese ordinarie relative al periodo posteriore al trasferimento ovvero per quelle straordinarie deliberate nel medesimo periodo;

  3. dell’avente causa, dopo che quest’ultimo è divenuto proprietario, per spese ordinarie relative al periodo anteriore al trasferimento ovvero per quelle straordinarie deliberate nel medesimo periodo, salvo il diritto del convenuto di rivalersi per tale importo sul vecchio proprietario.

Al contrario, l’amministratore non può chiedere ed ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art. 63, co. 1, disp. att. c.c. nei confronti di chi non è più proprietario per le spese relative al periodo antecedente al trasferimento ovvero per quelle straordinarie deliberate nel medesimo periodo.

Non v’è, però, ragione di precludere a tale soggetto di agire in via monitoria secondo la disciplina generale dettata ex art. 633, 634, 642 c.p.c., conseguendo la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo richiesto alla stregua delle regole ivi fissate[7].

Analoghe limitazioni valgono per l’ipotesi in cui l’amministratore agisca nei confronti del dante causa, quando quest’ultimo non è più proprietario, per il pagamento di spese ordinarie relative al periodo posteriore al trasferimento (nel limite dell’anno in corso) o straordinarie deliberate nel medesimo periodo.

Negli ultimi due casi testé citati, il decreto ingiuntivo eventualmente emesso in violazione dell’art. 63 disp. att. c.c. sarebbe, all’evidenza, nullo, e le relative spese resterebbero a carico di parte ricorrente.

Va, comunque, rilevato che l’opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c. dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione, teso ad accertare anche -e soprattutto- il fondamento della pretesa fatta valere (e non solo se l’ingiunzione sia stata legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge).

Pertanto, la nullità del decreto ingiuntivo erroneamente adottato ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c. nei confronti di un soggetto che non è più proprietario non preclude al giudice dell’opposizione di pronunciarsi in merito alla sussistenza del rapporto obbligatorio di credito già oggetto del ricorso monitorio, specialmente se si considera che la sentenza pronunciata nella fase di opposizione è destinata a sostituirsi al decreto ingiuntivo opposto (che, infatti, viene revocato all’esito del giudizio).

In questo senso, allora, il convenuto in senso sostanziale (e cioè il precedente proprietario dell’immobile), pur privo della legitimatio ad processum in sede monitoria, acquista la legittimazione a contraddire circa la sussistenza, la titolarità e l’entità delle spese condominiali nel giudizio di opposizione e proprio per mezzo dell’opposizione stessa (che introduce un giudizio a cognizione piena sul credito litigioso).

In conclusione, pare potersi affermare che il primo comma e il quarto comma del citato articolo 63 dettino regole concernenti soggetti diversi, l’uno individuando il destinatario del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, l’altro estendendo la responsabilità delle spese a persone diverse dal debitore principale (id est da colui che era titolare del bene al momento della delibera di approvazione delle stesse).

Per tal guisa, il necessario rispetto della natura reale dell’obbligazione solidale al pagamento delle spese condominiale non va a scapito del principio di effettività della tutela, consentendosi -come visto- al condominio numerosi strumenti processuali a tutela di tali crediti.


[1] Si citano, a titolo di mero esempio, gli artt. 1010, 1069, co. 2, 1091, 1104, co. 1, c.c., oltre all’art. 1123 c.c., il quale ultimo costituirà oggetto di approfondimento nel prosieguo del presente lavoro.

[2] Cfr. nt. precedente. Si rammenta, per completezza, che le obbligazioni ambulatorie relative alle servitù prediali non vanno confuse con i cc.dd. adminicula servitutis, trattandosi di posizioni giuridiche soggettive differenti per almeno due aspetti. Segnatamente, le obbligazioni ambulatorie vincolano il titolare del fondo servente ad un facere (e.g. gli obblighi di compiere le opere necessarie per mantenere la servitù prediale ex artt. 1069, 1091 c.c.) e sono giuridicamente distinte dal diritto reale di servitù sul fondo cui si riferiscono. Gli adminicula servitutis consistono, invece, nell’insieme delle facoltà accessorie al diritto di servitù indispensabili ai fini del suo esercizio (e.g. l’apposizione di una sbarra e per impedire il passaggio, salvo che ciò si traduca in un concreto aggravio per il proprietario del fondo servente) e si acquistano automaticamente insieme al diritto medesimo, di cui costituiscono parte integrante. Sul punto, cfr. anche Cass. civ., Sez. II, sent. 6.2.2014, n. 2723.

[3] Trattasi, peraltro, di norme generalmente imperative e, come tali, inderogabili. Per ulteriori, puntuali considerazioni sul punto, cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2015, p. 272. Degna di attenzione è, in particolare, la riflessione -effettuata dall’Autore- circa l’ontologica distinzione intercorrente tra il carattere della realità, che attiene alla natura sostanziale del diritto, e quello dell’opponibilità, tale intendendosi l’attitudine di un obbligo titolato a prevalere sugli altri. Ragionando da tale angolo prospettico, ben si coglie la differenza rispetto agli altri vincoli al diritto di proprietà nascenti da contratto, i quali ultimi -anche se trascritti-  godono dell’unica tutela rappresentata dal risarcimento del danno conseguente alla loro violazione; al contrario, le obbligazioni propter rem, in quanto reali, gravano direttamente sul bene e sono conformemente tutelate dalla legge, di talché si acquistano anche contro la volontà dell’avente causa, il quale può liberarsene soltanto tramite esatto adempimento ovvero cedendo il correlato ius in rem propriam vel alienam (arg. ex art. 1070 c.c.).

[4] Discussa è, come noto, la natura giuridica del condominio. Secondo taluno si tratterebbe di un ente di gestione sfornito di personalità giuridica, sebbene tale posizione sia stata apertamente contrastata da Cass. civ., Sezioni Unite, sent. 8.4.2008, n. 9148, la quale ha, invece, affermato che il condominio sarebbe «una organizzazione pluralistica» della quale «l’amministratore rappresenta immediatamente i singoli partecipanti, nei limiti del mandato conferito secondo le quote di ciascuno». A ben vedere, nessuna delle citate teorie ha torto, posto che certamente il condominio non ha personalità giuridica e senz’altro le relative disposizioni del codice civile assolvono la funzione di regolare il godimento della comunione strumentale delle parti comuni dei fabbricati; parimenti corretta appare la qualificazione del rapporto tra i condomini e l’amministratore come mandato.

[5] Nonostante la formulazione non cristallina della disposizione in commento, dottrina e giurisprudenza maggioritarie ritengono che anche il dante causa sia assoggettato al medesimo regime di responsabilità, potendo -pertanto- essere chiamato a rispondere anche delle spese sorte successivamente all’atto di alienazione, purché entro l’anno in corso.

[6] Ad essa si contrapporrebbero i debiti senza responsabilità, secondo la classificazione -accolta anche dalla dottrina italiana- elaborata a partire dal pandettista Otto von Gierke.

[7] In quest’ottica, potrebbe essere sufficiente produrre la delibera assembleare di approvazione di tali spese. Si ricordi, inoltre, che ai sensi dell’art. 648 c.p.c. il giudice può concedere la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, qualora l’opposizione non sia fondata su idonea prova scritta.


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Marco Vitale

Laureato in giurisprudenza all'Università Commerciale L. Bocconi con pieni voti assoluti e con lode. Già tirocinante presso gli uffici giudiziari civili e penali (G.I.P.) di Monza, percorso formativo svolto con esito favorevole e positivamente valutato da entrambi i magistrati formatori.

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