Proposta conciliativa e terzietà del Giudice

Proposta conciliativa e terzietà del Giudice

L’art. 185 bis cpc, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, di conversione del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, così dispone: ‘il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice’.

Il superamento della formulazione precedente, che sembrava configurare la proposta conciliativa quale dovere inderogabile del Giudice, non consente tuttavia di superare –o, quantomeno, di superare del tutto- le perplessità in ordine alla compatibilità tra detta disposizione ed il pieno rispetto dei principi di terzietà ed imparzialità del Giudice, in ossequio ai quali il Magistrato, finché non si giunga alla decisione della causa, non dovrebbe poter anticipare il suo convincimento.

Lo stesso legislatore, peraltro, evidentemente nella consapevolezza di tale elemento di criticità, ha previsto che la proposta conciliativa possa essere formulata dal Giudice ‘sino a quando è esaurita l’istruzione’. La lettera della norma, dunque, sembra escludere la possibilità di formulare una proposta conciliativa ad istruttoria conclusa, ossia a ridosso della precisazione delle conclusioni, poiché ciò non potrebbe non rappresentare, in tutta evidenza, un’anticipazione della decisione.

Tale profilo di criticità, tuttavia, non è del tutto escluso nemmeno nell’ipotesi in cui la proposta avvenga prima della fine dell’istruttoria in quanto anche in tal caso la proposta stessa non potrebbe che fondarsi sulla valutazione delle risultanze fino a quel momento acquisite, trovandoci dunque anche in questo caso al cospetto di un’anticipazione del convincimento del Giudice, per quanto limitatamente alla rilevanza ed ammissibilità di tali risultanze.

La proposta conciliativa formulata ad istruttoria in corso, infatti, non può che fondarsi sulla valutazione delle risultanze processuali acquisite sino a quel momento; valutazione sulla quale, nell’ipotesi di mancato accoglimento della proposta conciliativa, si fonderà -per quanto parzialmente- la decisione della causa.

Si pensi, ad esempio, ad una proposta conciliativa formulata dopo che siano stati escussi quattro testimoni dei cinque ammessi. Un tale proposta si fonderebbe dunque su un’istruttoria quasi conclusa e attraverso la stessa il Giudice manifesterebbe pertanto un convincimento dal quale è verosimile credere che la decisione della causa non possa considerevolmente discostarsi. E ancora: se dopo il mancato accoglimento della proposta, vi fosse una rinuncia all’ultimo teste da escutere o venisse comunque meno la possibilità di ascoltarlo, il contenuto della proposta stessa non sarebbe automaticamente trasfuso nella sentenza? Come potrebbe il Giudice decidere in termini diversi quando non vi sia stato, dopo la formulazione della proposta, alcun ulteriore atto istruttorio?

Del resto, non è un caso che quando il Giudice sia chiamato ad assumere delle decisioni durante lo svolgimento del giudizio, che non ne comportino al definizione, le stesse non richiedono delle valutazioni relative alla rilevanza delle risultanze processuali.

Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alla concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto ai sensi dell’art. 648 cpc, secondo cui la stessa può avvenire quando ‘l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione’. Nel chiedere al Giudice di verificare se ci si trovi al cospetto di una prova scritta o di pronta soluzione, non viene demandata al medesimo alcuna valutazione in ordine alla intrinseca e sostanziale rilevanza della prova stessa.

Per converso, invece, quando al Giudice viene concesso di assumere, prima della definizione del giudizio, delle decisioni che presuppongano una valutazione in ordine alla rilevanza delle prove offerte dalle parti, è previsto che dette decisioni vengano assunte con sentenza. Si pensi alla c.d. condanna generica di cui all’art. 278 cpc: ‘quando è già accertata la sussistenza di un diritto, ma è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, il collegio, su istanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione’.

A ben vedere, in effetti, la proposta conciliativa dovrebbe riguardare di norma proprio il quantum della pretesa, fondandosi dunque sul convincimento raggiunto in ordine alla fondatezza, nell’an, della pretesa stessa. La stessa ipotesi che legittima, su richiesta di parte, l’emissione di una sentenza di condanna generica ai sensi della disposizione anzidetta. Ad ulteriore conferma della difficile compatibilità tra la facoltà di formulare una proposta conciliativa ex art. 185 bis cpc ed il divieto di anticipare la decisione, corollario dei tradizionali principi di terzietà ed imparzialità del Giudice, alla stregua dei quali il Giudice non dovrebbe manifestare il proprio convincimento finché non sia giunto il momento di decidere, in tutto o in parte, la causa ad egli demandata.


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