Autorità Amministrative Indipendenti: genesi, fondamento, natura giuridica alla luce della sentenza n. 13/2019 della Consulta

Autorità Amministrative Indipendenti: genesi, fondamento, natura giuridica alla luce della sentenza n. 13/2019 della Consulta

Punto di approdo del presente contributo vuole essere l’analisi della pronuncia della Corte Costituzionale (n. 13/2019) chiamata a dichiararsi circa la natura giuridica – giurisdizionale o meno – dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Imprescindibile, al fine di meglio rispondere ad esigenze di inquadramento sistematico, è l’analisi in merito al fenomeno delle cc.dd. Autorità Amministrative Indipendenti ed, all’uopo, indagare la loro genesi, il loro fondamento sistematico nonché le difficoltà di inquadramento che il nostro Ordinamento ha riscontrato stante l’assenza di una normativa di riferimento nonché di adeguata copertura costituzionale.

Procedendo con ordine nella seguente disamina appare certamente adeguata la classificazione delle predette Autorità così come fornita da autorevole Dottrina: sono Pubblici Poteri slegati – quindi operanti in regime di indipendenza – rispetto al potere politico, dotati di poteri “neutrali” esercitati in settori sensibili dell’ordinamento in virtù di specifiche competenze tecniche loro riconosciute.

Appare evidente l’alto fine che anima il funzionamento delle stesse, tuttavia, non è frutto di una chiara scelta legislativa quanto più risposta ad un fenomeno di razionalizzazione economica.

Ciò detto va individuata sul finire dell’Ottocento, negli Stati Uniti d’America, l’emersione di detti Istituti, affermatisi per esigenze di contenimento ad un irrompere della industrializzazione ed urbanizzazione cui l’America non era pronta.

Sono sorte, dunque, per regolamentare quei settori delicati la cui sensibilità era direttamente proporzionale all’inatteso sviluppo degli stessi.

Successivamente anche l’Europa conobbe il sorgere di dette Autorità sebbene per esigenze trasversalmente opposte.

Invero, a differenza di quanto accadde negli U.S.A., i Paesi Europei ricorsero a detti Istituti per colmare il vuoto determinato dalla regressione degli Stati in economia.

Quella europea, invero, era una storia caratterizzata da una maggiore invadenza e pervicacia dello Stato in Economia, ove non si limitava ad essere arbitro ma partecipe; il sorgere della Comunità Economica Europea, poi Unione Europea, ha determinato l’affermazione di maggiore autonomia, talché gli Stati hanno dovuto retrocedere in favore dei privati da “lasciare liberi” di operare sul mercato.

Di questa recessione vi sono diverse tracce nella nostra esperienza ordinamentale, si pensi al fenomeno delle privatizzazioni – formale e poi sostanziale – che ha costituito il preludio di una uscita di scena dello Stato dall’economia mutuando la propria natura da soggetto attivo  a mero partecipe.

Proprio detto fenomeno ha reso indispensabile la creazione di soggetti differenti rispetto alla Stato che fossero chiamati a supervisionare i mercati ed operare in settori sensibili: è in detto segmento che si iscrive la genesi delle Autorità Indipendenti nel nostro Ordinamento.

Prima Autorità apparsa sul panorama italiano è stata la CONSOB istituita con Legge 216/1974 chiamata ad occuparsi della regolarità dei trasferimenti mobiliari, della trasparenza delle informazioni nonché della tutela dei consumatori quali acquirenti di crediti, meritevoli per ciò solo di adeguata salvaguardia.

Gli anni ’90 hanno registrato un fenomeno di crescita notevole e di conseguente diffusione di dette Autorità, si segnala L’ANTITRUST, l’ANAC, tutte operanti con poteri di controllo, supervisione, gestione dei mercati e dei traffici in essi realizzati.

Indiscutibile, dunque, il radicamento di detta realtà circa la quale, tuttavia, sono sorti non pochi dubbi.

Dubbi animati e supportati da una inesistente disciplina di settore che ne regolamentasse l’operato, nonché di una lacunosa copertura costituzionale.

Il Legislatore Italiano, invero, aveva dato atto di conoscere del fenomeno in commento de relato, non anche direttamente; un riferimento ai poteri delle autorità si registrava nella Legge del 1997 in cui – espressamente – taluni poteri si ritenevano sottratti alla competenza di Stato ed Autonomie locali perché già esercitati dalle Autorità Indipendenti; ulteriore indice normativo è l’art. 23 bis (oggi abrogato e mutuato nell’art. 119 c.p.a) introdotto dalla Legge 205/2000 nella Legge TAR che disponeva il rito accelerato per le controversie aventi ad oggetto provvedimenti emanati da dette Autorità.

Ad onta delle svariate proposte avanzate per la introduzione di un testo legislativo organico e compatto in cui far confluire le discipline in atto circa il funzionamento degli Istituti di cui trattasi nulla si è concretizzato con l’ovvia conseguenza del permanere di uno stato di incertezza e di smarrimento normativo.

Inquadrata la genesi delle Autorità Indipendenti appare di interesse dare atto delle ritrosie che la Dottrina ha avanzato circa un loro pieno riconoscimento.

Prima problematica: ricondurre detti poteri in una delle tre funzioni su cui si erge il nostro sistema.

Invero, l’eredità di Montesquieu ha consentito l’affermarsi di una tripartizione tra potere legislativo (per cui è il Parlamento a creare le norme), esecutivo (esercitato da Governo ed Amministrazione e giudiziario (è la Magistratura chiamata a verificare l’adeguata e corretta applicazione del dato normativo), di tutta evidenza che non sia agevole ricondurre il potere proprio di dette Autorità a nessuno dei tre sopra esposti.

Del resto l’indipendenza di cui esse si fregiano determina una netta secessione rispetto al Governo con la conseguenza di non poter loro applicare l’art. 95 Cost. che statuisce la responsabilità del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri per l’attività politica da essi esercitata nell’espletamento delle loro funzioni.

L’assenza di copertura costituzionale veniva – e con qualche riserva anche tutt’oggi viene – decantata per negare il fondamento ed il riconoscimento alle predette Autorità, ritenendo inammissibile la pallida giustificazione di ammissibilità delle stesse sol perché fortemente radicate nell’operato politico – economico.

Parte della Dottrina, valorizzando un’interpretazione ampia dell’art. 95 Cost., ha ritenuto di poter rinvenire in detta esegesi una copertura costituzionale idonea a giustificarne il mantenimento nella misura in cui si riconosce che dette Autorità operino non con funzione meramente amministrativa ma collaborativa con il Governo, di ausilio ai poteri politici sebbene ne rimangano indipendenti e scevri da qualsivoglia condizionamento.

Inquadrate le problematiche di settore e dato atto di come tali Istituti siano radicati con funzioni specifico – tecniche nella nostra realtà, è possibile individuarne le caratteristiche da rinvenire nella neutralità ed indipendenza nonché nella imparzialità.

Dunque, sono soggetti neutrali, ossia indifferenti agli interessi coinvolti e sottratti a qualsivoglia logica clientelare; imparziali, è ciò in ossequio a quanto statuito dall’art. 97 Cost. che richiama l’imparzialità quale modus operandi  della Pubblica Amministrazione unitamente a qualsiasi soggetto ve ne faccia parte, per cui debbono operare secondo criteri meritocratici astenendosi da qualsiasi valutazione discrezionale o non adeguatamente “separata” rispetto all’interesse coinvolto; da ultimo si rivendica il carattere della indipendenza – etimologicamente diverso dalla autonomia che presuppone un rapporto sotteso tra poteri – postula l’assoluta libertà da legami tanto dai poteri pubblici che privati.

Diversi gli indici di autonomia che campeggiano nelle Leggi istitutive delle Autorità: si rinviene nella sfera economica, nella capacità gestionale; altresì è vessillo di autonomia la durata, le limitazioni alla rimozione della nomina nonché la possibilità di rinnovo del mandato, il ché al fine di evitare che il soggetto – preposto ad una posizione verticistica – possa essere oggetto di influenze o di rimostranze che possano indurlo ad operare con timore o, diversamente, ad avallare eventuali corteggiamenti ispirati a regimi di illiceità.

Proprio la lettura del requisito di indipendenza è la chiave di volta che consente di entrare nel merito della questione oggetto della Pronuncia Costituzionale alla cui analisi occorre premettere qualche breve considerazione in punto di natura giuridica delle Autorità Amministrative.

In mancanza di una solida base costituzionale parte della Dottrina aveva avanzato che il requisito di indipendenza dovesse giustificarsi con la funzione da esse svolta: verosimilmente si sarebbe potuto trattare di poteri giurisdizionali o para giurisdizionali.

Ipotesi immediatamente smentita da Autorevole formante dottrinario che valorizzò il veto di cui all’art. 102 Cost di costituire giudici straordinari o speciali.

Doveva, piuttosto, riconoscersi pregio giuridico alle garanzie procedimentali che le Autorità erano chiamate ad ossequiare dando modo di ritenere applicabile i principi di cui alla L. n. 241/1990, ne discendeva l’assunto per cui detti soggetti avessero, certamente, carattere amministrativo.

Sul punto si inserisce la Sentenza n. 13/2019 della Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi su questione di legittimità costituzionale incidentale sollevata dall’AGCM circa l’art. 93 ter c. 1 bis L. n. 89/1913 introdotto dalla L. n. 205/2017 che aveva sottratto il potere disciplinare del Consiglio Notarile dal controllo sanzionatorio dell’Antitrust.

Di fatto la sopravvenienza normativa determinava il sorgere di una zona di favore per detti Consigli che avrebbero potuto operare in odor di illegittimità dando seguito – come nel caso di specie – a provvedimenti disciplinari contro Notai particolarmente produttivi, di fatto determinando quella che – a parere dell’AGCM – aveva il carattere di intesa restrittiva della concorrenza.

La questione di legittimità costituzionale presentata dall’Antitrust permeava sul potere sanzionatorio dallo stesso vantato, peculiarità della sua istituzione, non comune ad altre Autorità, ma, soprattutto – a parere del remittente – espressione di quella funzione giurisdizionale che di certo ad essa andava riconosciuta in specie valorizzando i caratteri di terzietà ed imparzialità di cui si fregiava.

La conclusione cui giunse la Corte, invero, fu differente.

Primo acto la Consulta ritenne di non poter applicare la qualifica di Giudice a quo all’AGCM.

Invero, pur aderendo ad una interpretazione più ampia ed elastica della nozione di Giudice a quo per cui sia tale quel soggetto non soltanto incardinato nell’apparato organico giudiziario ma qualsiasi soggetto dotato dei requisiti di terzietà ed imparzialità, l’Antitrust non può essere ricondotto a detta qualifica proprio perché mancante di tali presupposti.

Ha proseguito la Corte che a nulla vale la puntualizzazione resa dall’Autorità per cui la terzietà sarebbe agevolmente reperibile nei procedimenti da essa compiuti caratterizzati dalla separazione tra fase istruttoria e decisoria.

Se è pur vero – come è vero – che la fase istruttoria sia condotta dagli Uffici Amministrativi alle dipendenze del Segretario Generale e quella Decisoria richieda il Collegio presieduto dal Presidente dell’Autorità, la separazione – preavviso di terzietà – è meramente formale e non anche sostanziale atteso che non può discutersi di una distinzione ontologica tra Segretario Generale e Presidente dell’Autorità atteso che tra essi, piuttosto, esiste un legame di intima connessione e sinergia talché la politica istruttoria adottata dal primo di certo troverà sede nel rendiconto da garantire al secondo.

Inesistente, dunque, il presupposto della terzietà vantato dall’AGCM.

Ad ulteriore riprova la Consulta evidenzia che nelle controversie aventi ad oggetto la impugnazione dei provvedimenti da essa emanati, la stessa è controparte del ricorrente, assumendo la veste di parte processuale ed in quanto tale incompatibile con quella di Giudice.

Nessuna preoccupazione del resto può validamente aversi circa il paventato timore avanzato dall’AGCM per cui non accogliere la questione di legittimità costituzionale avrebbe significato determinare l’affermazione di zone franche – ossia sottratte al controllo di costituzionalità – o zone d’ombra – in cui detto controllo sarebbe apparso sfumato -; invero nonostante l’impossibilità di procedere con poteri sanzionatori verso il Consiglio Notarile per pratiche anticoncorrenziali, comunque il Notaio presuntivamente leso avrebbe potuto agire personalmente impugnando il provvedimento e dispiegando l’esercizio del potere giurisdizionale competente.

Nessun vuoto di tutela, dunque, si sarebbe determinato.

La Pronuncia della Consulta nel negare la natura giurisdizionale dell’AGCM si inscrive in un terreno particolarmente fertile in cui viva è la querelle circa l’incidenza del sindacato esercitabile sugli atti propri dell’Autorità in specie alla luce della Giurisprudenza Sovranazionale.

All’uopo occorre riconoscere che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ammette l’uso di provvedimenti promananti da soggetti non tipicamente giurisdizionali che abbiano carattere formalmente amministrativo ma sostanzialmente sanzionatorio (stante la natura afflittiva della pena comminata) purché il destinatario dell’atto possa impugnare lo stesso innanzi ad Autorità Giudiziaria che vi eserciti un sindacato di c.d. Full Jurisdiction.

La premessa considerazione è preliminare ai limiti propri del sindacato giurisdizionale esercitabile sui provvedimenti amministrativi.

Invero il Giudice chiamato a pronunciarsi sullo stesso può compiere una valutazione di attendibilità in astratto, pertanto può pronunciarsi sulla adeguatezza della soluzione adottata, non anche una valutazione di attendibilità in concreto, nel senso che l’Autorità giudiziaria competente deve astenersi da qualsivoglia scrutinio di merito non dovendo individuare la scelta migliore tra quelle possibili quanto più la adeguatezza di quella perseguita.

Non v’è dubbio che così inteso non possa ritenersi adeguatamente soddisfatto il requisito di piena giurisdizione ponendo un cono d’ombra su quegli atti con i quali l’AGCM esercita il proprio potere di garante del mercato.

Per completezza va dato atto di come la querelle sull’incidenza del sindacato di giurisdizione sia di forte interesse per la nostra Dottrina stante l’evoluzione Giurisprudenziale che ha determinato il trapasso da una concezione di quasi non sindacabilità, comunque molto limitata, ad un recente approdo  in cui si parla di sindacato forte in linea al potere di “contestualizzazione” proprio delle Autorità.

Invero un primo filone sorto in seno alla giurisprudenza del Consiglio di Stato riteneva illimitato il potere di sindacare la legittimità degli atti delle Autorità ma di astenersi da qualsivoglia giudizio afferente il merito.

Arresti successivi hanno portato lo stesso CdS a valorizzare le fasi di atipicità attraverso le quali si snoda il procedimento in seno alle Autorità Indipendenti. In specie si è prestata attenzione alla fase in cui l’Autorità contestualizza i concetti di mercato in cui opera e, successivamente, si esprime circa l’aderenza del fatto contestato a quanto prima postulato.

Dette due fasi non possono essere sottratte al sindacato giurisdizionale in quanto, ove ciò si ammettesse significherebbe svuotare di qualsivoglia contenuto il contenzioso impugnatorio proposto da privato contro un provvedimento della cui presunta lesività si duole.


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Avv. Maria Erica Gangi

Laureata presso l'Università degli Studi di Palermo il 26.10.2012 con votazione 110/110; ha conseguito l'abilitazione forense in data 29.10.2015; iscritta all'albo Avvocati del Tribunale di Agrigento in data 10.12.2015. Tutt'oggi impegnata nell'esercizio della professione forense e nello studio e conseguente preparazione del concorso in Magistratura.

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