Ferie: il datore di lavoro può impedirne o interromperne il godimento?

Ferie: il datore di lavoro può impedirne o interromperne il godimento?

Sommario: 1. Introduzione – 2. Il diritto alle ferie – 3. La durata delle ferie: il periodo legale minimo – 4. La maturazione delle ferie – 5. Le modalità di godimento delle ferie – 6. Il potere di disporre delle ferie

           

1. Introduzione

Con l’avvicinarsi della bella stagione si iniziano a fare programmi per le vacanze estive.

Ciascun lavoratore, quindi, si riserva un determinato periodo di ferie comunicandolo al datore di lavoro.

Ebbene, il datore di lavoro può impedire il godimento delle ferie nel periodo individuato dal lavoratore? E se concesse, può interromperne il godimento?

2. Il diritto alle ferie

Il diritto del lavoratore di godere delle ferie è finalizzato al recupero delle energie psico-fisiche spese nel corso dell’anno per l’esecuzione della prestazione lavorativa, nonché alla soddisfazione di esigenze psicologiche fondamentali, consentendogli di partecipare più incisivamente alla vita familiare e sociale e di tutelare il suo diritto alla salute, nell’interesse dello stesso datore di lavoro.[1]

Il riconoscimento di tale diritto è previsto a livello costituzionale dall’art. 36, comma 3, Cost., nonché da fonti legislative subordinate, quali l’art. 2109 c.c. e l’art. 10 del D.lgs. n. 66/2003.

L’art. 36 Cost. e l’art. 2109 c.c. prevedono che il lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite, specificando espressamente che tale diritto è irrinunciabile[2] (né, tantomeno, tale diritto non può essere negato dal datore di lavoro).

In linea con l’irrinunciabilità delle ferie sancita a livello costituzionale dal summenzionato art. 36 Cost., l’art. 10, comma 2, del D.lgs. n. 66/2003 vieta la monetizzazione delle ferie stabilendo che il periodo feriale cui ha diritto il lavoratore non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto.

Durante l’assenza dal lavoro per ferie, al lavoratore spetta lo stesso trattamento economico che gli sarebbe spettato se avesse fornito la prestazione lavorativa.

3. La durata delle ferie: il periodo legale minimo

L’art. 2109, comma 2, II cpv., c.c. stabilisce che la durata del periodo feriale è stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità.

Più precisamente, l’art. 10, comma 1, I cpv., del D.lgs. n. 66/2003, dispone che “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2109 del codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane” (c.d. periodo legale minimo).[3]

Restano, comunque, salve eventuali diverse previsioni della contrattazione collettiva o la specifica disciplina riferita a particolari categorie di lavoratori.[4]

Non possono essere considerati come giorni di ferie: il periodo di preavviso (art. 2109, comma 4, c.c.); i periodi di congedo di maternità o paternità e di congedo parentale di cui all’art. 22, comma 6, e all’art. 34, comma 5, del D.lgs. n. 151/2001; il periodo di malattia sopravvenuta durante le ferie (INPS, Circolare n. 109/1999); i periodi di malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero, su richiesta del genitore (art. 47, comma 4, D.lgs. n. 151/2001); i periodi di attività svolta per adempiere funzioni presso i seggi elettorali (art. 119, d.P.R. n. 361/1957).

4. La maturazione delle ferie

Dal momento dell’assunzione, il prestatore di lavoro inizia a maturare le ferie, fino a raggiungere il periodo legale minimo.

Rientrano nel periodo di servizio utile ai fini della maturazione del diritto alle ferie, oltre al periodo di effettivo servizio, anche: il periodo di assunzione in prova (art. 2096 c.c.; Corte Cost. n. 189/1980); i periodi di assenza obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio (art. 2110, comma 1, c.c.; artt. 22, comma 3, e 29 del D.lgs. n. 151/2001); i periodi di assenza dal lavoro per malattia e infortunio sul lavoro, nei limiti del periodo di comporto (art. 2110, comma 3, c.c.); i periodi di assenza dal lavoro per l’adempimento di funzioni presso i seggi elettorali (art. 119, d.P.R. n. 361/1957); i periodi di assenza per congedo matrimoniale; altre causali di assenza individuate dalla contrattazione collettiva.

Non sono invece computabili nel periodo di servizio utile ai fini della maturazione delle ferie: i periodi di congedo parentale (art. 34, comma 5, D.lgs. n. 151/2001); i periodi di assenza durante le malattie del bambino (art. 48, D.lgs. n. 151/2001); i periodi di aspettativa concessi ai lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali (art. 31, Legge n. 300/1970); i periodi di assenza dal lavoro per malattia e infortunio sul lavoro, oltre i limiti del periodo di comporto (art. 2110, comma 3, c.c.); i periodi di sospensione totale dell’attività lavorativa per intervento della CIG (Cass. n. 408/1991); i periodi di aspettativa non retribuiti o i periodi di permesso; altre causali di assenza individuate dalla contrattazione collettiva.

5. Le modalità di godimento delle ferie

L’art. 2109, comma 2, I cpv., c.c. stabilisce che il periodo feriale deve essere goduto possibilmente in modo continuativo.

Più precisamente, l’art. 10, comma 1, II cpv., del D.lgs. n. 66/2003, dispone che il periodo feriale “[…] va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione”.

La contrattazione collettiva, in deroga alla disciplina generale, può ridurre il limite delle due settimane per cui è obbligatorio il godimento infra-annuale, purché tale riduzione non vanifichi la funzione dell’istituto feriale e sia occasionata da eccezionali esigenze di servizio.

Altresì, la contrattazione collettiva, in deroga alla disciplina generale, può prolungare il tetto massimo di 18 mesi per la fruizione delle settimane di ferie per le quali non vi è l’obbligo di godimento infra-annuale, purché ciò non snaturi l’istituto in esame.

6. Il potere di disporre delle ferie

Sebbene nella pratica le ferie vengano concordate tra datore di lavoro e dipendente, il potere decisionale relativamente alla concessione delle ferie spetta esclusivamente al primo.

Il diritto alle ferie può dunque essere definito un diritto ad esercizio condizionato, in quanto il datore di lavoro può autonomamente determinare il periodo feriale del lavoratore, purché ciò avvenga nel rispetto delle modalità di godimento e del periodo minimo previsto dalla normativa e dai contratti collettivi.

Infatti, l’art. 2109, comma 2, I cpv., c.c. stabilisce che il periodo feriale deve essere goduto nel tempo che stabilisce l’imprenditore, il quale, ai sensi del comma 3, “[…] deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie”.

Pertanto, la condotta del datore di lavoro che neghi al lavoratore il godimento delle ferie in un determinato periodo non è rilevante in termini legali e, pertanto, non è sanzionabile. Né tantomeno sanzionabile è la condotta del datore di lavoro che richiami in servizio il lavoratore che si trovi in ferie.[5]

In tali evenienze, può senza dubbio alcuno escludersi che la condotta del datore di lavoro possa rilevare quale ipotesi di “mobbing”.

Nella definizione offerta dalla psicologia del lavoro, cui gran parte della giurisprudenza di merito ha ormai aderito (cfr., ex plurimis, Trib. Forlì n. 28/2005), il “mobbing” configura una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui il lavoratore è fatto oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità (datore di lavoro, colleghi o suoi subordinati), con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità, la quale si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi, accusando nel lungo periodo disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che, nei casi più gravi, possono portare anche a invalidità psicofisica permanente.

Come rilevato dal Giudice di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 24837/2018), ai fini della configurabilità del “mobbing” sono rilevanti quattro elementi: la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio del datore di lavoro.

Altresì, la condotta del datore di lavoro che neghi al lavoratore di godere le ferie in un determinato periodo non può configurarsi come “straining”.

Lo “straining” consiste in una forma attenuata di “mobbing”, in cui difetta la continuità delle azioni vessatorie, potendo configurarsi anche a seguito di una singola azione con effetti duraturi (Trib. Bergamo, 21 aprile 2005; Cass. n. 18164/2018).

In particolare, lo “straining” è definito come “una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante è caratterizzata anche da una durata costante. La vittima è rispetto alla persona che attua lo straining, in persistente inferiorità. Lo straining viene attuato appositamente contro una o più persone ma sempre in maniera discriminante” (dott. psicologo Harald Ege).

A livello giurisprudenziale, lo “straining” è stato accertato perlopiù in relazione alle condizioni lavorative cc.dd. “stressogene” determinate, anche colposamente, dal datore di lavoro (cfr., ex plurimis, Cass. n. 33428/2022).

Sul tema delle ferie, l’unico caso di “straining” che si rileva (per quel che risulta) è quello deciso dal Tribunale di Vibo Valentia (Sentenza n. 197/2019), il quale ha così qualificato la condotta del datore di lavoro che aveva revocato le ferie al dipendente senza un congruo anticipo, rilevando che detta condotta fosse illecita per contrarietà ai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., con conseguente condanna al risarcimento del danno.

Ciò sul presupposto che “[…] l’attribuzione al datore di lavoro del potere di revocare eventuali ferie già concesse (anche a seguito di una mera riconsiderazione delle esigenze aziendali e non solamente al cospetto di circostanze sopravvenute), onera comunque la parte datoriale alla congrua esternazione delle valutazioni appositamente compiute, al fine di scongiurare profili di arbitrarietà della decisione di revoca o modifica. […] qualora non si ritenesse biasimevole detto contegno si consegnerebbe la vita extra-lavorativa del dipendente alla mercè della sua controparte datoriale, così legittimata a stravolgere […] la pianificazione del periodo di riposo, nonostante l’utile perfezionamento del suo iter autorizzativo, attivato e concluso in epoca sufficientemente risalente”.

Tuttavia, è opportuno sottolineare che nel caso sottoposto all’esame del Tribunale vibonese la revoca delle ferie era intervenuta dopo che erano state già assentite dal datore di lavoro e programmate dal lavoratore, il quale aveva prenotato una vacanza.

La condotta del datore del lavoro che invece neghi il diritto del lavoratore di godere del periodo minimo legale di ferie da parte del datore di lavoro, è legalmente rilevante.

Tale condotta, infatti, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 600 euro.

Tuttavia, se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata in almeno due anni, la sanzione amministrativa è da 400 a 1.500 euro.

Invece, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero si è verificata in almeno quattro anni, la sanzione amministrativa è da 800 a 4.500 euro e non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta (art. 18-bis, comma 3, D.lgs. n. 66/2003).

 

 

 

 

 


[1] Corte Cost. n. 616/1987; Corte Cost. n. 543/1990; Corte Cost. n. 158/2001.
[2] L’art. 24 del D.lgs. n. 151/2015 dispone che “Fermi restando i diritti di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, i lavoratori possono cedere a titolo gratuito i riposi e le ferie da loro maturati ai lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro, al fine di consentire a questi ultimi di assistere i figli minori che per le particolari condizioni di salute necessitano di cure costanti, nella misura, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale applicabili al rapporto di lavoro”. Tale cessione a titolo gratuito deve in ogni caso tener conto dei limiti di godimento stabiliti dalla legge in relazione all’irrinunciabilità delle ferie e del periodo minimo di 4 settimane.
[3]I bambini e gli adolescenti hanno diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite che non può essere inferiore a giorni 30 per coloro che non hanno compiuto i 16 anni e a giorni 20 per coloro che hanno superato i 16 anni di età”, art. 23, comma 1, Legge n. 977/1967.
[4] Lavoratori operanti nell’ambito dei servizi di protezione civile, compreso quelli del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, delle strutture giudiziarie, penitenziarie e di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello Stato (art. 2, comma 2, D.lgs. n. 66/2003).
[5] La contrattazione collettiva può prevedere che, in caso di revoca delle ferie già concordate il lavoratore abbia diritto al rimborso delle spese anticipate e documentate per il periodo di ferie non goduto (art. 49, comma 13, II cpv., CCNL relativo al personale del comparto sanità), ovvero, in caso di richiamo in servizio, il diritto al rimborso delle spese sostenute sia per l’anticipato rientro, sia per tornare eventualmente al luogo dal quale il dipendente sia stato richiamato (art. 60, CCNL per le lavoratrici e i lavoratori delle cooperative del settore socio-sanitario, assistenziale-educativo e di inserimento lavorativo; art. 163 CCNL per i dipendenti da aziende del Terziario della Distribuzione e dei Servizi).

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Avv. Andrea Persichetti

Dopo aver conseguito a pieni voti la Laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Camerino con tesi in Diritto Amministrativo ("Il principio di precauzione e la valutazione del rischio: il caso dei vaccini obbligatori"), ha svolto la pratica forense presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino. Svolge la professione di Avvocato occupandosi di diritto civile e di diritto del lavoro, con particolare riguardo alla materia previdenziale, alle questioni di infortunistica sul lavoro e controversie INAIL. È abilitato a presentare istanze e ricorsi all'INPS ed è Intermediario abilitato a svolgere attività in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, ai sensi della Legge n. 12/1979. Collabora con l’Ufficio del Massimario dell’Associazione dei Giovani Avvocati di Torino – AGAT ed è autore di articoli di interesse giuridico. È iscritto all'Ordine degli Avvocati di Torino (Studio legale in Torino, Via Giannone n. 1 - Tel.: 011 51 11 005 - Mail: andreapersichetti91@gmail.com).

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