Avviso di accertamento e difetto di motivazione

Avviso di accertamento e difetto di motivazione

L’avviso di accertamento, quale atto conclusivo del procedimento di accertamento tributario, costituisce tipicamente espressione di un potere vincolato e non discrezionale: l’amministrazione finanziaria non è chiamata ad effettuare alcuna ponderazione di interessi né valutazioni nell’esercizio del potere impositivo, bensì, determinato il dovuto, emette il relativo provvedimento alla stregua di una puntuale regolazione del modus agendi operata dalla legge “con la conseguente privazione della P.A. di qualsivoglia autodeterminazione nella individuazione della scelta più opportuna[1].

Tale considerazione assume inevitabilmente rilievo sotto diversi profili, dalle regole di partecipazione al procedimento all’esclusione degli effetti caducanti dei vizi formali, ma pure, per quanto di interesse in questa sede, sull’intensità dell’obbligo di motivazione.

In particolare, il D.P.R. n. 600/1973 (“Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”) all’art. 42 (“Avviso di accertamento”), commi 2-3, prevede che “L’avviso di accertamento (..) deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato (..). Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del secondo comma”.

Si tratta di una formulazione che pianamente richiama l’art. 3, comma 1 della L. 241/1990 (c.d. ‘legge sul procedimento amministrativo’), laddove, nel sancire l’obbligo di motivazione per “ogni provvedimento amministrativo”, salvo gli atti normativi e agli atti amministrativi generali perché rispettivamente di carattere ‘politico’ e caratterizzati da ampia discrezionalità, si precisa come “La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”, come peraltro confermato dallo Statuto del contribuente, L. 212/2000, all’art. 7, comma 1: “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”.

Dunque, deve ritenersi che il contenuto essenziale di tale obbligo, riferito al provvedimento, consista da un lato nell’indicazione dei suoi presupposti fattuali, “ossia gli elementi ed i dati di fatto che sono stati acquisiti in sede istruttoria e hanno costituito oggetto di valutazione ai fini dell’adozione dell’atto terminale. La formula legislativa si riferisce ad una nozione di presupposti in senso lato, comprensiva non solo delle circostanze necessarie per l’esercizio del potere ma anche dei motivi del provvedimento e dei dati di fatto valutati dall’Amministrazione[2]; dall’altro, nell’esternazione delle ragioni giuridiche ad esso sottese: “(..) le argomentazioni sul piano del diritto poste alla base del provvedimento, ossia le norme ed i principi ritenuti applicabili al caso di specie[3].

Come evidenziato in premessa, peraltro, il contenuto di tale obbligo è destinato ad atteggiarsi diversamente in relazione a diversi fattori, tra i quali la circostanza ch’esso costituisca espressione di un potere non discrezionale riveste rilievo dirimente.

In particolare, seppure sia stato formalmente superato l’orientamento giurisprudenziale che predicava la superfluità della motivazione con riferimento a provvedimenti vincolati, giacché la prevista possibilità per l’Amministrazione di adottare provvedimento “in forma semplificata” ex L. 241/1990, art. 2, comma 1, laddove ravvisi la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, “la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”, induce “(..) a ritenere che anche a fronte di provvedimenti a carattere rigidamente vincolato, una motivazione, sia pure nella riferita forma sintetica, si imponga[4], occorre vagliare alcuni atteggiamenti interpretativi con specifico riguardo all’avviso di accertamento.

Sul punto, non può non darsi conto della teorica c.d. provocatio ad opponendum, giacché sulla base di tale nozione la giurisprudenza, pur non escludendo tout court la necessità della motivazione, riteneva e talora ancora ritiene adempiuto il relativo obbligo allorquando l’avviso ponga “il contribuente in grado di conoscere  la  pretesa  tributaria nei suoi  elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’an e il quantum debeatur[5], spingendosi ad ammettere una causa petendi integrabile con elementi di fatto ed elementi probatori della fattispecie concreta in sede di eventuale, successiva, impugnazione giudiziale.

Tuttavia, come evidenziato dalla Suprema corte con sentenza n. 30039/2018, la motivazione del provvedimento dovrebbe compiutamente indicare anche la causa petendi, e non potrebbe esaurirsi nella pura e semplice enunciazione di una imposizione fiscale (petitum), soggetta ad una eventuale verifica processuale ex post, dovendo piuttosto “dare conto degli elementi di fatto ed istruttori procedimentali e del fondamento di legalità che rendono da un lato trasparente il buon andamento (art. 97 Cost.) e, dall’altro, contribuiscono in modo potente alla deflazione del contenzioso in materia tributaria, rendendo subito pienamente controllabile l’operato della Pubblica Amministrazione”.

In tal senso, l’orientamento interpretativo che svilisce l’aspetto sostanzialistico della motivazione pare “sempre più diretto a svalutare la fase del controllo e dell’accertamento a favore del contraddittorio processuale[6], alla stregua di un fenomeno definito di “depotenziamento della motivazione[7].

Invero, atteso il ruolo fondamentale rivestito dalla motivazione che certamente agevola l’interpretazione dell’atto, consente il sindacato giurisdizionale, crea i “presupposti affinché l’attività amministrativa divenga oggetto di controllo consapevole e informato da parte dei cittadini, agevolando anche l’individuazione di responsabilità in capo ai pubblici poteri[8], la svalutazione di tale elemento si spiega soltanto alla luce di “un’istanza efficientista che condiziona norme di legge e principi di diritto[9] che “segna un passo indietro in termini di garanzia, come se il tempo fosse tornato agli inizi del secolo scorso, in cui Cammeo riteneva che l’obbligo di motivazione ‘importerebbe difficoltà, impacci, lentezze insormontabili, le quali sarebbero ben più disastrose per il pubblico, per l’inconveniente di qualche provvedimento non motivato’[10]. Svalutazione che si riscontra precipuamente con riguardo a due profili critici ricorrenti nell’esame della casistica giurisprudenziale.

Anzitutto, la giurisprudenza ha sempre ammesso la pratica della motivazione per relationem con una certa larghezza, affermando che “l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale”, sia pure precisando che “l’avviso di accertamento privo, in violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 7 della 1. n. 212 del 2000, di una congrua motivazione è illegittimo, senza che la stessa possa, essere “integrata” in giudizio dall’Amministrazione finanziaria, in ragione della natura impugnatoria del processo tributario (Cass., sez. 6-5, 21/05/2018, n. 12400, Rv. 648519 -01)[11].

Infatti, la Cassazione, con l’ordinanza n. 8177/2020, è giunta ad avallare la legittimità di pratiche quali la c.d. ‘doppia motivazione per relationem’, asserendo che l’avviso di accertamento “deve ritenersi (..) correttamente motivato – anche nel regime di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 – ove esso faccia riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria non è tenuta affatto ad includere nell’avviso di accertamento notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti, né a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto (Cass. 6232/03; 7360/11; altresì cfr. Cass. V, 26472/14; ed ancora Cass. VI – 5 n. 9008/17)”.

In sostanza, si è ritenuto sufficiente ai fini della validità e sufficienza della motivazione, che i documenti richiamati fossero riconoscibili e conosciuti dal contribuente, consentendogli di comprendere le ragioni dell’amministrazione e di esercitare il suo diritto di difesa ancorché non propriamente allegati o citati.

In secondo luogo, il fenomeno di depotenziamento motivazionale si rende perspicuamente visibile nella dibattuta questione relativa alla qualificazione della motivazione stessa quale requisito ‘formale’, essendo in quest’ottica ipotizzabile la possibilità di ricorrere al disposto di cui all’art. 21 octies, comma 2 della L. 241/1990, a norma del quale “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Sul punto, dottrina autorevole ritiene che non sia possibile “(..) individuare una soluzione aprioristica per tutte le ipotesi di difetto di motivazione, dovendosi invece valutare di volta in volta l’incidenza della mancanza di motivazione sul contenuto sostanziale dell’atto e l’effettiva comprensione degli strumenti di tutela azionabili dal privato per conseguire il bene della vita inciso dal provvedimento[12], dando però risalto alla circostanza che il diritto comunitario inquadri il vizio di motivazione quale vizio formale e non sostanziale, risultando invece minoritaria la tesi opposta[13].

Peraltro, per questa via, si finisce per consentire la c.d. integrazione postuma della motivazione del provvedimento, sulla falsariga dell’orientamento che interpreta il giudizio non come impugnatorio (sulla legittimità dell’atto), ma come giudizio “sul rapporto” (sulla spettanza del “bene della vita”), applicandosi eventualmente una sanatoria all’atto non motivato per “raggiungimento dello scopo”, definitivamente traducendo il difetto di motivazione in una mera irregolarità, come se la mancata esplicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto sottesi ad un provvedimento incisivo dei diritti del singolo potesse essere sanato alla stregua di un vizio di notifica.

In conclusione, allo stato dell’arte, deve rilevarsi come il perimetro dell’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento non sia così ben definito, alla luce di interpretazioni talora più restrittive e talora più condizionate dalle già menzionate istanze efficientistiche della P.A., ritenendosi però di poter concludere che non possa difettare l’esplicazione del petitum e della causa petendi, che la motivazione per relationem debba comunque fare riferimento a documenti conosciuti dal contribuente e che la sanatoria del vizio motivazionale potrebbe essere al più ipotizzabile soltanto qualora esso non involga il contenuto sostanziale dell’atto.

 

 

 

 


[1] F. Caringella, Manuale di Diritto Amministrativo, ed. 2012, Roma, p. 1051.
[2] F. Caringella, op.cit., p. 1377.
[3] F. Caringella, op.cit., ibidem.
[4] R. Garofoli, Compendio di diritto amministrativo, 2019, Molfetta, p. 523; cfr. Cons. St., Ad. Plen., n. 9/2017 che con riguardo all’ordine di demolizione (provvedimento vincolato) ritiene sufficiente una motivazione limitata al carattere abusivo dell’opera in questione.
[5] Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 1209/2000; cfr., in materia di I.V.A., Cass. Civ., Sez. trib., n. 27800/2019.
[6] F. Gallo, La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nel sistema della giustizia tributaria: bilancio e prospettive ad un anno dalla sua istituzione. Motivazione e prova nell’accertamento tributario: l’evoluzione del pensiero della Corte di Franco Gallo in Rassegna Tributaria, n. 4 del 2001, p. 1088 e ss., che continua: “Basti pensare al riguardo ad alcune sentenze che fanno da corollario all’orientamento giurisprudenziale appena richiamato e in particolare: – alle sentenze che qualificano l’atto di accertamento alla stregua di una vera e propria provocatio ad opponendum, sottraendolo per questa via alla puntuale applicazione delle regole generali sulla motivazione e prova dei provvedimenti amministrativi. Probabilmente, come si vedrà meglio più avanti, non si tratta proprio di una consapevole riesumazione delle tesi che costruiscono il procedimento di accertamento come un continuum tra la fase istruttoria e amministrativa e quella processuale. Ma, certo, non può negarsi che queste posizioni minano non poco quelle tesi dottrinarie che attribuiscono all’atto di accertamento, se emesso, sicura natura di atto autoritativo da motivare anche in relazione alle risultanze istruttorie. E minano anche quelle tesi che, nella prospettiva dichiarativista, ragionando sul presupposto ‘dell’immanenza dell’obbligo di motivazione a qualsiasi atto di carattere individuale’, affermano che l’atto di accertamento deve essere motivato; – alla sentenza che, sul presupposto sempre della natura di provocatio ad opponendum dell’atto di accertamento, ha ritenuto soddisfatto l’obbligo di motivazione per il solo fatto che l’ufficio ha portato a conoscenza del contribuente ‘la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali’. E ciò anche se in sede contenziosa l’Amministrazione finanziaria non ha addotto la prova costituita nella specie dal verbale della Guardia di finanza, ancora coperto dal segreto istruttorio penale. Ribaltando sostanzialmente l’onere della prova sul contribuente, la Suprema Corte ha ritenuto addirittura non necessaria la dimostrazione in sede contenziosa degli elementi probatori ogni qual volta il contribuente abbia mostrato, attraverso difese esaurienti e dettagliate, di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche su cui si fonda la pretesa stessa; – alle sentenze, infine, che non considerano necessario il contraddittorio anticipato previsto dagli artt. 32, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973 e 51, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972 con riferimento al caso di utilizzazione dei dati risultanti dai conti correnti bancari e postali e ritengono sufficiente ‘la possibilità che il contribuente eserciti la facoltà di prova…in sede contenziosa’. E ciò ancorché la necessità del previo contraddittorio amministrativo appaia chiaramente sia dalla lettera che dalla ratio dei richiamati articoli”.
[7] M. Ramajoli, Il declino della decisione motivata in Diritto Processuale Amministrativo, fasc. 3, 1° settembre 2017, pag. 894 e ss.
[8] M. Ramajoli, op.cit., ibidem; A. Romano Tassone, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Milano, 1987, 52 ss.
[9] M. Ramajoli, op.cit., ibidem.
[10] M. Ramajoli, op.cit., ibidem; cfr. F. Cammeo, Gli atti amministrativi e l’obbligo di motivazione, in Giur. it., 1908, III, 253 ss.
[11] Cass. Civ., ordinanza n. 4176/2019.
[12] F. Caringella, op.cit., p. 1383.
[13] Secondo la tesi maggioritaria il vizio di motivazione sarebbe un vizio di validità comportante la annullabilità e non già il difetto di un elemento essenziale del provvedimento ex art. 21-septies, L. 241/1990.

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Francesco Ceroni

Nato a Biella (BI) il 13/9/1993, consegue la maturità scientifica con 100/100 e la laurea in Giurisprudenza nell'aprile 2019, con tesi in diritto amministrativo "Le fattispecie di nullità civilistiche applicate al provvedimento amministrativo", con 110 lode e dignità di stampa. Svolge la pratica forense a Torino presso lo studio GMS & associati tra aprile 2019 e novembre 2020. Da ottobre 2020 frequenta il Master Tributario full time della 24Ore Business School.

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