Espropriazione immobiliare ad opera dell’Agenzia delle Entrate: limiti all’esecuzione

Espropriazione immobiliare ad opera dell’Agenzia delle Entrate: limiti all’esecuzione

Il contribuente può correre il rischio di mettere in serio pericolo la tutela del proprio bene immobile ogni qual volta non provveda ad adempiere spontaneamente alla propria obbligazione tributaria.

Qui sarà infatti bene passare a valutare le azioni che può porre in essere l’Agenzia delle Entrate con l’ausilio dei suoi organi competenti, per dare avvio ad un’attività di riscossione “coattiva” dei tributi dovuti da parte del contribuente insolvente.

Tale attività viene preliminarmente preceduta da una serie di controlli ed accertamenti svolti da parte dell’Amministrazione finanziaria, all’esito dei quali possono risultare somme dovute e dunque non versate.

Di qui poi avrà avvio la procedura di iscrizione a ruolo del debitore, consistente in un elenco stilato da parte dell’ente impositore e contenete i nominativi dei debitori e delle somme da quest’ultimi dovute.

Il ruolo successivamente viene trasmesso all’Agente della riscossione che ha il compito di provvedere a riscuotere gli importi indicati.

Le procedure per il recupero del credito dovuto vengono attivate dall’Agente di riscossione inviando ai contribuenti, come primo atto, una cartella di pagamento.

Con detta cartella si persegue dunque l’obiettivo di intimare al contribuente moroso il versamento delle somme dovute entro il termine indicato di 60 giorni, inoltre in essa viene indicata le descrizione degli addebiti, l’indicazione sulle modalità attraverso cui il contribuente può procedere al pagamento, oltre che la possibilità di poter proporre ricorso.

Qualora il contribuente non provveda nel rispetto del termine indicato ad adempiere al proprio obbligo, sulle somme iscritte a ruolo saranno dovuti interessi di mora per ogni giorno di ritardo.

Una volta trascorso il termine di 60 giorni, l’Agente della riscossione può avviare azioni cautelari e conservative e le procedure per la riscossione coattiva su tutti i beni del debitore.[1]

Al contribuente viene comunque riconosciuta la facoltà, in caso di obiettive difficoltà economiche, di proporre istanza di rateazione all’Agente di riscossione, al fine di provvedere comunque in tal modo ad adempiere al proprio obbligo.

Le somme riscosse vengono poi versate all’ente impositore da parte dell’Agente di riscossione.

Può avvenire ad ogni modo che il contribuente ritenga infondato l’addebito delle somme indicate nella cartella, a tal proposito ha la facoltà di presentare le proprie contestazioni all’ufficio impositore, chiedendone l’annullamento totale o parziale.

L’ufficio, a seguito di valutazione sull’istanza proposta, se riscontra che l’atto è effettivamente illegittimo, è tenuto ad annullarlo in base alle norme sull’autotutela e dunque ad effettuare lo “sgravio” degli importi iscritti a ruolo.[2]

Ciò che importa ai fini dell’analisi effettuata in questa sede, riguarda le azioni espropriative che possono esser poste in essere nel caso in cui perduri l’inadempimento agli obblighi tributari da parte del contribuente.

In questo senso il legislatore tributario, seguendo lo schema del libro III del codice di procedura civile dedicato al processo di esecuzione, ha previsto tra le forme di esecuzione forzata, oltre quella mobiliare e presso terzi, anche quella immobiliare.

Va rilevato inoltre che, rispetto al previgente sistema che prescriveva la propedeuticità dell’esecuzione mobiliare rispetto quella immobiliare, ad oggi viene piuttosto attribuita la possibilità all’Agente di riscossione di intraprendere, a sua scelta, una delle due forme di espropriazione, salvo però il limite economico posto per l’espropriazione immobiliare.

È questo dunque l’aspetto più significativo in materia che va valutato, offrendo in questa sede un ulteriore spunto per poter comprendere la tutela che viene offerta pur sempre al contribuente.

Difatti molte sono le deroghe alla disciplina della espropriazione immobiliare dettate dal codice di procedura civile, e quella circa il limite economico viene posta  proprio dall’art. 76 del d.P.R. n. 602/1973.[3]

La norma summenzionata prevede al comma 1, lett. b), che l’Agente della riscossione “può procedere all’espropriazione immobiliare se l’importo complessivo del credito per cui si procede supera centoventimila euro.

È possibile dunque comprendere a tal proposito che il legislatore, ponendo l’indicazione del limite economico per l’esperibilità dell’esecuzione immobiliare, abbia inteso tutelare le ragioni del contribuente.[4]

Il successivo art. 77 del d.P.R. n. 602/1973, dispone al comma 1, che il ruolo, decorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell’importo complessivo del credito erariale iscritto, specificando, al successivo comma 2, che se l’importo complessivo del credito per cui si procede non supera il cinque per cento del valore dell’immobile da sottoporre ad espropriazione, il concessionario, prima di procedere all’esecuzione, deve iscrivere ipoteca.

Entro sei mesi dall’iscrizione senza che il debito sia stato estinto, lo stesso concessionario procede all’espropriazione forzata immobiliare.[5]

In passato, si era posto il problema della legittimità dell’iscrizione di ipoteca quando la complessiva somma iscritta a ruolo fosse stata pari o inferiore a ottomila euro, così come disponeva il previgente art. 76 del d.P.R. n. 602/1973, prima della modifica operata dal successivo D.L. n. 69/2013.

Questo perché all’epoca iniziò a prefigurarsi una massiccia azione di iscrizioni di ipoteche da parte dei concessionari della riscossione, con il chiaro intento di esercitare una pressione psicologica sui soggetti iscritti nei ruoli al fine di ottenere, in tempi rapidi, il pagamento dei crediti erariali.

A tal proposito, i concessionari tentarono di accreditare la tesi secondo cui nessun limite economico fosse stato posto dal legislatore all’iscrizione di ipoteche e che dunque bastasse il solo scadere del termine previsto per il pagamento delle cartelle per procedere all’iscrizione di ipoteca.

La dottrina[6] e la giurisprudenza correttamente affermarono che l’ipoteca è un diritto di garanzia del credito erariale strumentale all’espropriazione immobiliare, affermando l’esistenza di una stretta correlazione tra le disposizioni di cui agli artt. 76 e 77, nel senso che risultava illegittima un’iscrizione di ipoteca quando il credito erariale complessivo non superava gli ottomila euro precedentemente previsti.

Ad ogni modo dunque, l’Amministrazione finanziaria può richiedere l’iscrizione di ipoteca sull’immobile quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito.[7]

Secondo quanto previsto dall’art. 2808 del codice civile, l’ipoteca si realizza attraverso l’iscrizione nei registri immobiliari ed attribuisce al creditore il diritto di espropriare, anche in confronto del terzo acquirente, i beni ipotecati e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione.

Il debitore sarà tenuto ad essere informato di tale iscrizione attraverso una comunicazione preventiva contenente l’ulteriore indicazione del termine di 30 giorni dalla notifica, per provvedere ad adempiere ai propri obblighi.

Una volta trascorso il termine, l’Agente della riscossione è dunque legittimato a iscrivere la procedura cautelare.

La cancellazione della stessa seguirà in caso di debito saldato integralmente.

Ma qualora dopo l’iscrizione di ipoteca il debito rimanesse insoluto, ovvero non rateizzato o ancora, non è oggetto di provvedimento di sgravio o sospensione, l’Agente potrà dunque procedere al pignoramento e alla vendita dell’immobile.[8]

Ha inizio così, dopo un esito infruttuoso delle procedure cautelari, la procedura esecutiva vera e propria.

Il pignoramento dunque rappresenta l’atto con il quale si apre l’espropriazione immobiliare.

Quindi, laddove persista il mancato pagamento e soltanto in presenza delle condizioni stabilite dalla legge[9], si dà corso alle procedure esecutive e alla vendita dei beni del debitore.

Orbene, il pignoramento immobiliare non può essere effettuato se l’immobile presenti le seguenti caratteristiche, ossia: risulta essere l’unico immobile di proprietà del debitore adibito ad uso abitativo e presso il quale vi risiede anagraficamente e che non presenti le caratteristiche di lusso.

Contrariamente alla condizioni stabilite dalla legge, il pignoramento può essere invece effettuato soltanto se l’importo complessivo del debito risulti essere effettivamente superiore a centoventimila euro,il valore degli immobili del debitore è superiore a centoventimila euro e qualora siano trascorsi almeno sei mesi dall’iscrizione di ipoteca e il debitore non ha pagato, ovvero rateizzato il debito o in mancanza di provvedimenti di sgravio.[10]

Va chiarito ad ogni modo che il limite al pignoramento di cui si tratta in questa sede, viene posto al Fisco non per la cosiddetta “prima casa”, bensì per “l’unico immobile di proprietà del debitore”.

Anche in questo caso, va detto, si assiste ad un utilizzo improprio del concetto di “prima casa” in riferimento alla sua impignorabilità.

Basta leggere il testo dell’art. 76 del d.P.R. n. 602/1973 per sciogliere ogni dubbio.

Esso prevede infatti che: “l’Agente della riscossione non può procedere all’espropriazione dell’unico immobile di proprietà del debitore.

Così, ad essere impignorabile da parte dell’Agente è l’unica casa e non la “prima”.

Grazie al D.L. n. 69/2013, meglio noto come “ Decreto del fare”,  attraverso la modifica  che ha operato rispetto all’art. 76 del d.P.R. n. 602/1973, si è voluto porre un chiaro divieto al pignoramento da parte dell’Agenzia delle Entrate, con l’obiettivo di arginare i pignoramenti immobiliari promossi per crediti fiscali.

Tale strumento di protezione del contribuente è già noto ad altri ordinamenti.

Lo scopo è proprio quello di preservare l’abitazione principale del debitore da azioni esecutive intentate in suo danno.

Anche la Corte di Giustizia Europea è intervenuta sul tema ribadendo, in una sentenza del 2013,[11]l’intangibilità del diritto all’abitazione.

La sentenza in commento della Corte è intervenuta però ponendo un freno piuttosto a banche e finanziarie in tal senso.

La stessa ha infatti affermato che: “Il giudice può bloccare provvisoriamente la banca o la finanziaria che mette all’asta la casa se nel contratto sono presenti delle clausole abusive”.

Difatti la Corte ricorda che va rispettata la direttiva 93/13/CEE relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.[12]

Il diritto all’abitazione non può che prevalere dunque nel caso di clausole vietate dall’UE.

La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo considera la perdita dell’abitazione una grave violazione del rispetto di domicilio, per questo qualsiasi soggetto che rischia di esserne vittima deve poter chiedere l’esame della proporzionalità della misura esecutiva.

 

 

 

 

 


[1] Difatti l’art. 2740 del codice civile prevede che: “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.”
[2] Attraverso il sito dell’Agenzia delle Entrate, in www.agenziaentrate.gov.it
[3]  Tale disposizione è stata oggetto di modifica operata dal D.L. n. 69/2013, limitatamente alla parte riguardante l’imposto complessivo del credito  per cui il concessionario possa procedere all’espropriazione immobiliare. Originariamente, al comma 3 dell’art. 76 del d.P.R. n. 602/1973, si prescriveva infatti un importo pari ad ottomila euro, ad oggi invece tale importo è stato elevato a centoventimila euro.
[4] F. AMATUCCI, Principi e nozioni di diritto tributario,Giappichelli editore, Torino, 2013
[5]  DEL FEDERICO, Ipoteca e fermo nella riscossione: Tra salvaguardia dell’interesse fiscale e tutela del contribuente, in Giust. Trib., n. 3/2007
[6]  CANTILLO, Ipoteca iscritta dagli agenti della riscossione e tutela giudiziaria del contribuente, in Rassegna tributaria, n. 1/2007 ; ZOLEA, Le linee guida del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 in materia di riscossione mediante ruolo, in Tributi, n. 2/1999
[7]  S.M. MESSINA, Prime considerazioni sulla nuova disciplina dell’ipoteca e del sequestro conservativo fiscali,  in Rivista di diritto tributario, 1999.
[8] Attraverso il sito dell’Agenzia delle Entrate, in   www.agenziaentrateriscossione.gov.it
[9] Con riferimento all’art. 76 del d.P.R. n. 602/1973.
[10] Attraverso il sito dell’Agenzia delle Entrate, in www.agenziaentrateriscossione.gov.it
[11]  Sentenza C. Giust, UE, n. C- 34/13
[12] G. P. D’AMATO,Secondo la Corte di Giustizia Europea va bloccato il pignoramento eseguito sulla prima casa del consumatore, se il contratto di mutuo contiene clausole vietate dalla Direttiva UE/93/2013, Diritto 24, in Il Sole 24 Ore

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Dott.ssa Marianna Barra

Dottoressa abilitata all'esercizio della professione forense. Laureata alla facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, con tesi di laurea in diritto finanziario dal titolo "L'imposizione immobiliare: i vantaggi riconosciuti dalla legge e le possibili insidie" con votazione di 105/110. Vincitrice della borsa di studio "Sergio Marchionne student achievement awards" indetta dalla FCA e certificata dalla Commissione Italia.

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