Il luogo dell’adempimento alla luce delle recenti SS.UU n. 17989/2016

Il luogo dell’adempimento alla luce delle recenti SS.UU n. 17989/2016

L’obbligazione è un rapporto che lega una parte passiva, il debitore, a una parte attiva, il creditore. Il primo è obbligato a soddisfare un interesse del secondo, attraverso l’adempimento di una prestazione, che può caratterizzarsi in un dare, un fare o un non fare.

Quanto esposto in apertura è utile per individuare quelli che sono gli elementi dell’obbligazione.

Il primo sarà certamente quello dei soggetti: il creditore e il debitore. Entrambi sono ruoli che devono essere ricoperti necessariamente da individui diversi.

Se, infatti, la figura del creditore si concentra in capo a chi già ricopre il ruolo di debitore, l’obbligazione si estinguerà per confusione, come espresso dall’art 1253 cc.

Da ciò si comprende come l’obbligazione sia ontologicamente dualistica; requisito, questo, che non è da considerare, però, come assoluto.

Infatti, non è impossibile individuare obbligazioni mono-soggettive come, per esempio, il contratto stipulato con se stesso ex art 1395, oppure la società uni-personale.

Il dualismo percepito nell’obbligazione, però, non impedisce a terzi di adempiere l’obbligazione, come previsto dall’art 1180 cc, titolato proprio “adempimento del terzo”.

In questo caso l’obbligazione è compiuta da un altro soggetto, che non è qualificabile come debitore, ma che ha tutto l’interesse di compiere la prestazione dell’obbligazione.

Diversi possono essere i motivi per cui un terzo decida di adempiere un’obbligazione di cui non è debitore.

Il caso più frequente è quello in cui il terzo è debitore, in un’altra obbligazione a monte, del debitore dell’obbligazione a valle in cui interviene e quindi, per soddisfare il suo debito, pagherà quello del suo creditore.

La parte attiva che riceve il pagamento del terzo, non lo potrà rifiutare, salvo il caso in cui il debitore dichiari di non volerne approfittare.

Il principio del dualismo è derogato anche nel caso in cui sia lo stesso creditore a individuare un altro soggetto, estraneo al rapporto obbligatorio, come legittimato a ricevere la prestazione, come previsto dall’art 1188 cc.

Un altro caso in cui l’obbligazione è adempiuta da terzi estranei al rapporto obbligatorio è quello dell’indebito soggettivo, previsto dall’art 2036 cc. In questa situazione il terzo agisce pensando erroneamente di pagare un debito proprio.

Parte della dottrina riconduce il pagamento di colui che si crede debitore ex art 2036 cc, alla fattispecie dell’adempimento del terzo, ex art 1180 cc, con la peculiarità secondo cui il terzo agisce con vizi della volontà.

Qualora questa tesi fosse accolta, però, il terzo che agisce condizionato da vizi della volontà, per riparare all’erroneo pagamento, può agire esercitando solamente un’azione di annullamento.

Il codice civile, invece, attribuisce a chi si crede debitore la possibilità di ripetere ciò che ha pagato, soluzione prevista per chi agisce senza una causa che giustifichi il suo operato.

Il pagamento di chi si crede debitore ex art 2036 cc, quindi, è una fattispecie caratterizzata non dalla presenza di vizi della volontà di chi paga, ma dall’assenza di una causa che giustifichi l’operazione.

Altro elemento tipico dell’obbligazione è caratterizzato dalla prestazione, che il debitore dovrà adempiere per soddisfare l’interesse del debitore.

Come previsto dall’art 1174 cc, la prestazione è l’oggetto dell’obbligazione e deve essere suscettibile di valutazione economica.

Essa, però, è relazionata a ulteriori prestazioni complementari alla principale, oggetto dell’obbligazione.

Tali prestazioni complementari fanno tutte riferimento a un obbligo previsto dall’art 1175 cc, secondo cui le due parti devono comportarsi secondo correttezza.

Dall’obbligo generale di correttezza scaturiscono, dunque, una serie di obblighi che entrambe le parti sono tenute a rispettare.

Gli obblighi in questione sono definiti obblighi di prestazione, a causa del legame intrinseco che hanno con la prestazione principale.

Dalla stessa clausola generale di correttezza derivano, inoltre, ulteriori obblighi, i quali, però, sono sciolti dalla prestazione principale.

Questi obblighi sono allo stesso modo imposti alle parti, a tutela delle rispettive sfere personali: quando, infatti, due soggetti si relazionano ponendo in essere un’obbligazione, inevitabilmente le sfere giuridiche dei due soggetti tendono a collidere.

Affinché gli interessi di creditore e debitore non siano lesi attraverso eventuali effetti collaterali degli interventi riconducibili all’obbligazione, dottrina e giurisprudenza hanno trovato nell’art 1175 cc fonte di vari obblighi, non sempre immediatamente definiti, ma che aiutano a tutelare le parti da lesioni che altrimenti diventerebbero inevitabili.

Gli obblighi in analisi sono definiti di protezione, i quali, a differenza di quelli di prestazione, non godono di una relazione diretta alla prestazione principale, oggetto dell’obbligazione, a causa della diversa finalità che viene loro attribuita: gli obblighi di prestazione sono finalizzati a rendere possibile e anche a facilitare la realizzazione della prestazione ex art 1174 cc; quelli di protezione, invece, hanno come scopo quello di proteggere le sfere individuali dei soggetti protagonisti dell’obbligazione.

L’obbligazione, dunque, si fonda sulla prestazione principale ex art 1174 cc, intorno alla quale si articolano e si relazionano, in maniera diretta o indiretta, tutta una serie di obblighi di prestazione e di protezione.

Nel compiere la prestazione richiesta, il debitore riesce a soddisfare l’interesse del creditore, che trova come riferimento normativo l’art 1174 cc, secondo cui la prestazione corrisponde all’interesse della parte attiva.

A differenza della prestazione, l’interesse del creditore non è suscettibile di valutazione economica, ma è altrettanto importante perché è un elemento, questo, che riesce a giustificare causalmente l’obbligazione stessa.

Realizzando la prestazione obbligatoria, il debitore riesce a soddisfare anche un proprio interesse, corrispondente alla volontà di vedersi liberato dal rapporto che lo lega al creditore.

L’interesse del debitore è importante al pari di quello del creditore; esso è tutelato dalla presenza degli obblighi di prestazione, in precedenza esposti, che impongono al creditore, in via generale, l’assunzione di un comportamento che non ostacoli o ponga in maggiore difficoltà il debitore nella realizzazione della prestazione.

Il debitore è garantito anche da un altro requisito dell’obbligazione: la temporaneità del rapporto obbligatorio.

L’ordinamento, infatti, respinge la possibilità di realizzare delle obbligazioni, che legano il debitore a un creditore a tempo indeterminato.

La tutela del debitore è resa possibile anche da un generale principio del favor debitoris, che regola l’intera materia delle obbligazioni.

Il principio in questione, anche se non previsto in maniera esplicita nell’ordinamento, riesce comunque a influenzare precise norme che regolano il rapporto obbligatorio.

L’art 1184 cc, per esempio, stabilisce che, qualora è fissato un termine, questo, nel caso in cui non sia espressamente previsto a favore del creditore, si presume a favore del debitore.

Oltre al tempo in cui l’obbligazione deve essere adempiuta, è previsto anche un luogo preciso in cui il debitore debba pagare il suo debito.

Il luogo dell’adempimento è scelto convenzionalmente dalle parti del rapporto obbligatorio; in mancanza, il luogo è individuato attraverso l’analisi di criteri precisi come gli usi o la natura degli affari.

Qualora però, nessuno di questi elementi sia utile a individuare il luogo in cui si deve adempiere, il primo comma dell’art 1182 cc impone di seguire le regole previste dai commi successivi della stessa norma.

Il secondo comma dell’art 1182, infatti, stabilisce che quando un’obbligazione ha come oggetto la consegna di una cosa determinata e certa, è adempiuta nel luogo dove il bene si trovava nel momento in cui sorge il rapporto obbligatorio.

Il terzo comma, invece, stabilisce che, quando l’oggetto dell’obbligazione impone il pagamento di una somma di denaro, il luogo dell’adempimento è individuato in quello dove sorge il domicilio del creditore al momento della scadenza del debito.

La seconda parte del terzo comma, però, stabilisce anche che, qualora il domicilio del creditore sia nel frattempo cambiato, il luogo dell’adempimento sarà quello del domicilio del debitore.

In chiusura, l’art 1182 cc, al quarto comma, indica la regola secondo cui in tutti gli altri casi, il luogo dell’adempimento è fissato al domicilio del debitore individuato al tempo della scadenza.

Dalla lettura dell’art 1182 cc si comprende come il requisito del luogo dell’adempimento possa mutare a seconda della natura dell’oggetto dell’obbligazione.

In particolare, il terzo comma fa riferimento al luogo in cui è adempiuto un preciso tipo di obbligazione: le obbligazioni pecuniarie.

Le obbligazioni pecuniarie si distinguono da tutte le altre grazie alla peculiarità del proprio oggetto: il denaro.

Questo bene particolare, infatti, può seguire diverse funzioni: può essere usato come mezzo di adempimento dell’obbligazione, oppure come unità di misura di un valore.

Nel primo caso, l’adempimento dell’obbligazione è garantita attraverso la diretta consegna della somma indicata ab origine nel titolo obbligatorio; nel secondo caso, invece, il bene denaro è utilizzato per quantificare un generico valore.

In entrambi i casi si parla di obbligazione pecuniaria, perché entrambe hanno come oggetto il bene denaro. La differenza, però, è individuabile nel momento della genesi dell’obbligazione: nel primo esempio, la somma di denaro è individuata come oggetto dell’obbligazione già al momento in cui sorge il legame; nel secondo, invece, l’oggetto, al momento della nascita dell’obbligazione, è individuato in un valore generico, che solo in un secondo momento sarà quantificato in una somma di denaro, che diventerà, quindi, vero oggetto dell’obbligazione pecuniaria.

Questa differenza, anche se non espressamente indicata nel codice, è stata avvertita dalla giurisprudenza già da molto tempo e ufficializzata grazie a una sentenza delle Sezioni Unite degli anni Ottanta del secolo scorso.

In questa importante pronuncia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione propongono la distinzione di due tipologie di obbligazioni pecuniarie: quella di valuta e quella di valore.

Quella di valuta è un tipo di obbligazione pecuniaria che ha come oggetto una somma di denaro ab origine; l’obbligazione pecuniaria di valore, invece, nasce come obbligazione che ha come oggetto un valore, il quale solo in un secondo momento si quantifica in una precisa somma di denaro.

La distinzione tra debiti di valuta e debiti di valore va di pari passo con quella che sussiste tra obbligazioni pecuniarie liquide e illiquide.

La liquidazione di un debito, infatti, comporta la trasformazione di un debito di valore in debito di valuta.

Individuare quando un debito pecuniario sia liquido, oltre che esigibile, è certamente importante ai fini dell’applicazione dell’art 1182, comma 3 cc, in materia di luogo di adempimento.

Secondo la norma in analisi, infatti, il debitore può pagare il debito nel luogo del domicilio del creditore, individuato al momento della scadenza dell’obbligazione stessa.

Poiché il debitore, per adempiere l’obbligazione, deve portare la somma di denaro presso il creditore, l’obbligazione pecuniaria è chiamata portabile.

La giurisprudenza, però, ha sempre considerato portabile una obbligazione pecuniaria che sia non solamente scaduta, ma anche liquida, cioè determinata nella somma da pagare, oppure facilmente determinabile attraverso un’operazione aritmetica, che lascia ben poco spazio a valutazioni discrezionali del giudice.

Il debitore, quindi, potrà adempiere il debito portando la somma di denaro presso il domicilio del debitore, quando l’obbligazione sia scaduta e la somma sia determinata convenzionalmente sul titolo dell’obbligazione stessa, oppure siano indicati criteri oggettivi, che permettono una facile determinazione della somma attraverso una precisa operazione aritmetica.

Quando, invece, la somma di denaro non è già liquida, oppure facilmente individuabile attraverso criteri oggettivi indicati sul titolo obbligatorio, il debitore non è tenuto recarsi presso il creditore, ma ha la possibilità di chiedere allo stesso di presentarsi presso di lui, per ricevere il pagamento, che è realizzato nel domicilio del debitore.

In questo caso, quindi, si applica l’ultimo comma dell’art 1182 cc e l’obbligazione è definita chiedibile.

In materia di luogo di adempimento delle obbligazioni pecuniarie, recentemente si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione per dirimere un contrasto giurisprudenziale, che ha visto confrontarsi due tesi: una tradizionale già esposta, secondo cui un debito può definirsi portabile solo quando la somma da pagare sia già determinata ab origine nel titolo dell’obbligazione, oppure attraverso una semplice operazione aritmetica; l’altra tesi, invece, individua nella categoria delle obbligazioni portabili anche quelle la cui somma di denaro sia determinata unilateralmente dal creditore, che la indica nella richiesta di adempimento depositata in giudizio.

La questione è posta principalmente alla luce di motivi processuali: nel caso in concreto, infatti, il creditore attore presenta richiesta di adempimento presso il tribunale sito nel luogo dove è individuato il proprio domicilio, ciò in considerazione della combinata applicazione del comma 3, art 1182 cc, con l’art 20 cpc, in materia di competenza territoriale del giudice.

La competenza territoriale del giudice è definita da due norme, gli artt 18 e 19 cpc, secondo i quali è competente il tribunale sito nel luogo dove è individuato il domicilio o la residenza, nel caso si tratti di persona fisica, oppure la sede, qualora si tratti di persona giuridica, del convenuto.

Queste norme generali sono affiancate anche da norme speciali, gli artt 21 e 22 cpc, che, in presenza di alcuni requisiti oggettivi, definiscono in maniera esclusiva la competenza territoriale del giudice.

Nel caso in concreto, invece, è richiamato l’art 20 cpc, norma, anch’essa, di natura speciale, ma non esclusiva come gli artt 21 e 22 cpc: si tratta, infatti, di una norma speciale alternativa, che permette alle parti di un rapporto obbligatorio di poter individuare i criteri per individuare il forum destinatae soluzionis.

Il creditore attore, dunque, richiamando il terzo comma dell’art 1182 cc, individua il luogo di adempimento dell’obbligazione presso il proprio domicilio e, di conseguenza, il tribunale competente per territorio.

Il debitore convenuto resiste in giudizio e oppone l’incompetenza territoriale del giudice adito, ribadendo quanto sostenuto dalla tesi tradizionale, secondo cui: il terzo comma dell’art 1182 cc non può trovare seguito, qualora la liquidazione della somma di denaro, oggetto dell’obbligazione pecuniaria, avvenga attraverso una semplice indicazione unilaterale del creditore nella domanda giudiziale, come è avvenuto nel caso in concreto.

In seguito, il convenuto dichiara che il tribunale competente sia quello sito presso il luogo dove si trova la propria sede, ex art 19 cpc, dove, tra l’altro, è stato convenzionalmente deciso di adempiere l’obbligazione.

Tale decisione richiama anche l’applicazione dell’art 20 cpc, secondo cui, in materia di obbligazioni, la competenza territoriale è assegnata anche attraverso l’individuazione del luogo dove sorge l’obbligazione o quello fissato per l’adempimento, come nel caso in concreto: creditore e debitore, infatti, fissano nel titolo dell’obbligazione anche il luogo dove debba avere seguito l’adempimento.

Il creditore, per avvalorare la propria tesi, sostiene che, in realtà, la competenza del giudice è definita anche attraverso l’applicazione dell’art 10 cpc, secondo cui, in materia di determinazione del valore della causa, il giudice deve tener conto anche delle dichiarazioni che la parte attrice presenta nella domanda giudiziale.

La questione giunge all’attenzione delle Sezioni Unite, che si pronunciano nel 2016 appoggiando la tesi tradizionale.

Prima di raggiungere tali conclusioni, le Sezioni Unite riconoscono che il giudice deve prendere in considerazione quanto contenuto nella domanda giudiziale per determinare il valore della causa, così come sostenuto dall’art 10 cpc.

È, dunque, chiaramente importante l’indicazione della somma richiesta dal creditore. E da questo indicata sulla domanda giudiziale; tuttavia, le Sezioni Unite riconoscono anche che tale elemento non può essere tanto influente, da poter distogliere il convenuto dal giudice naturale precostituito per legge.

Far rientrare tra le obbligazioni portabili anche quelle la cui liquidazione è caratterizzata da una semplice dichiarazione unilaterale del creditore attore sulla domanda giudiziale, comporta, infatti, importanti conseguenze anche sul piano processuale, come l’individuazione del giudice competente per territorio.

Questa procedura, dunque, secondo le Sezioni Unite, è in evidente contrasto con il primo comma dell’art 25 Cost, secondo cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale, indicato dalla legge.

Le Sezioni Unite, inoltre, riconoscono anche che la tesi in analisi comporta problematiche anche dal punto di vista del diritto sostanziale.

L’art 1219 cc, stabilisce che la messa in mora del debitore avviene attraverso una richiesta fatta per iscritto o un’intimazione, che il creditore muove verso il debitore.

Lo stesso articolo, al comma 2, riconosce casi specifici in cui la messa in mora è prevista in maniera automatica, senza, cioè, che il creditore presenti intimazioni o richieste scritte. Uno di questi casi è quello indicato dal comma 2, numero 3, art 1219 cc, secondo cui la messa in mora è ex re qualora, alla scadenza dell’obbligazione, la prestazione è dovuta al domicilio del creditore. È evidente il legame della norma in analisi con l’art 1182, comma 3.

In tutti i casi in cui l’obbligazione è portabile, dunque, la messa in mora ai danni del debitore è automatica e gli interessi moratori cominciano a maturare dal momento della scadenza dell’obbligazione.

Nel caso in cui, invece, l’obbligazione è chiedibile, si applicherà, in materia di messa in mora, la regola generale secondo cui il debitore è costituito in mora attraverso un’intimidazione o una richiesta scritta presentata dal creditore.

Considerare, dunque, portabile un’obbligazione la cui somma di denaro è liquidata unilateralmente dal creditore, significa applicare anche in questo caso il numero 3, comma 2, art 1219 cc.

Il debitore, quindi, è costituito in mora in maniera automatica allo scadere dell’obbligazione, anche se, al momento in cui diventa esigibile, la somma di denaro oggetto del debito non è determinata in maniera precisa, in quanto la liquidazione avviene, in questo caso, solo attraverso la successiva citazione in giudizio del creditore.

Gli interessi moratori, dunque, iniziano a maturare automaticamente alla scadenza dell’obbligazione, pur non essendo ancora liquidato il capitale.

Affinché quanto ricostruito non si manifesti, creando evidenti disagi al debitore, sembrerebbe più opportuno considerare non portabili quelle obbligazioni che diventano liquide attraverso la dichiarazione del creditore della somma da pagare riportata sulla richiesta giudiziale di adempimento.

In questo modo, il debitore non rischia di cadere in mora in maniera automatica nel momento in cui l’obbligazione scada, pur non essendo specificatamente liquida.

Le Sezioni Unite, proponendo tutte queste osservazioni critiche di stampo processuale e sostanziale, nel 2016 risolve la questione giurisprudenziale sorta, pronunciandosi a favore della tesi tradizionale.

In conclusione, una obbligazione si definisce portabile quando sia esigibile e liquida.

In particolare un’obbligazione è considerata liquida quando la somma di denaro oggetto del debito è determinata in maniera puntuale sul titolo dell’obbligazione, oppure quando sul titolo siano indicati precisi criteri oggettivi, che permettono l’esecuzione di una semplice operazione aritmetica, attraverso cui sia quasi immediata la determinazione della somma stessa.


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