La prescrizione dei crediti contributivi alla luce della mutata giurisprudenza

La prescrizione dei crediti contributivi alla luce della mutata giurisprudenza

La disciplina della prescrizione dei contributi previdenziali è stata profondamente innovata dall’art. 3, commi 9 e 10, l. 335/1995, con cui il legislatore ha unificato i termini di prescrizione di tutte le contribuzioni previdenziali, riallineandoli al quinquennio (ciò che ha segnato una netta inversione di tendenza rispetto alla previgente disciplina di cui agli artt. 41, l. 153/1969, e 2, comma 19, l. 638/1983).

L’intervenuta prescrizione della pretesa contributiva dell’I.N.P.S.

Sempre più spesso accade che l’avviso di addebito relativo alla presunta omissione/evasione contributiva dei redditi da lavoro autonomo percepiti in un certo anno venga notificato dall’INPS ben oltre il termine quinquennale di prescrizione.

Sul punto, norma di riferimento è l’art. 3, comma 9, legge n. 335/1995, dalla cui lettura emerge chiaramente quando la pretesa creditoria vantata dall’INPS debba ritenersi assolutamente prescritta. Detta norma, infatti, va letta in combinato disposto con l’art. 2935 c.c., ai sensi del quale “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

La norma richiamata va letta in combinato disposto con il citato art. 3 del Decreto del 24 novembre 1995, con cui il Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale, in attuazione dell’art. 2, comma 30, legge n. 335/1995, ha stabilito che “i titolari di redditi da lavoro autonomo di cui all’art. 49, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi … sono tenuti a versare alla Gestione Separata di cui al comma 26 dell’art.2, L. 335/95, un contributo … dei redditi stessi dichiarati ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Tale versamento è effettuato nei termini previsti per il pagamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche”. Ne consegue che il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione quinquennale, per richiedere il preteso contributo previdenziale relativo ad un determinato anno, va individuato nella scadenza prevista per il versamento e coincidente con il termine per il saldo delle relative imposte, ossia il 16 giugno, secondo quanto disposto dall’art. 17 del D.P.R. 7.12.2001 n. 435, modificato dal D.L. n. 223/2006, convertito con legge n. 248/2006.

Quanto detto è peraltro confortato dalla giurisprudenza  di legittimità secondo cui “in tema di contributi c.d. “a percentuale”, il fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva è costituito dall’avvenuta produzione, da parte del lavoratore autonomo, di un determinato reddito ex art. 1, comma 4, della l. n. 233/1990, quand’anche l’efficacia del predetto fatto sia collegata ad un atto amministrativo di ricognizione del suo avveramento: ne consegue che il momento di decorrenza della prescrizione dei contributi in questione, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 335 del 1995, deve identificarsi con la scadenza del termine per il loro pagamento e non con l’atto, eventualmente successivo – ed avente solo efficacia integrativa della prescrizione anche a beneficio dell’Inps – con cui l’Agenzia delle Entrate abbia accertato, ex art. 1 del d.lgs. n. 462 del 1997, un maggior reddito” (ex plurimis, Cass. civ. n. 13463/2017).

Tale orientamento è stato di recente confermato da una serie di sentenze nelle quali la Corte di Cassazione, richiamandosi alla propria precedente pronuncia del 31/10/2018, n. 27950, ribadisce a chiare lettere il principio per cui “la prescrizione dei contributi previdenziali dovuti alla gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento  dei predetti contributi e non dalla successiva data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa, in quanto la dichiarazione in questione, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo. Il sopraindicato arresto segna il superamento del principio enunciato da questa Corte con ordinanza del 20.04.2016 n. 7836, ove si era invece ritenuto che nel caso di mancata iscrizione del contribuente alla gestione separata il decorso della prescrizione fosse segnato, ai sensi dell’art. 2935 c.c., dal momento della presentazione della dichiarazione dei redditi”. In particolare, nella citata pronuncia, richiamata in tutte le sentenze successive, i giudici hanno chiarito che il dies a quo della prescrizione si individua nel momento in cui scadono i termini di pagamento della contribuzione che, ai sensi dell’art. 18, comma 4, d.lgs. 241/1997, coincidono con i termini previsti  per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi, senza che dalla mancata iscrizione del professionista alla Gestione separata possa derivare alcun impedimento giuridico all’esercizio del diritto dell’ente previdenziale (ex plurimis, Cass. civ. 20420/2019; 20421/2019).

Peraltro, nella sentenza n. 23040/Corte di Cassazione ha del tutto opportunamente chiarito un altro aspetto di decisiva importanza ai fini della corretta individuazione del termine previsto per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi, termine a partire dal quale, come detto, inizia a decorrere la prescrizione.

Sul punto, i giudici di legittimità hanno preso posizione rispetto all’incomprensibile pretesa dell’INPS di spostare in avanti il suddetto termine, considerando, al fine di notificare gli avvisi ai contribuenti oltre la data del 16 giugno, la seconda scadenza per il versamento eventualmente prevista dal legislatore  precisando quanto segue: “la sezione lavoro di questa Corte, con ordinanza del 14 maggio 2019, n. 12779, di cui questa  sezione sesta ha preso atto nella riconvocazione, ha altresì aggiunto che fra le due scadenze successive ed alternative previste per il versamento del saldo dei contributi, a scelta del contribuente, occorre avere riguardo ai fini del decorso della prescrizione al primo termine di versamento. Si è ivi osservato che la seconda data offerta dal legislatore per l’adempimento, ai sensi del D.P.R. n. 435 del 2001, art. 17, comma 2, – trentesimo giorno successivo alla scadenza del termine di versamento del saldo – non costituisce un termine alternativo di adempimento dell’obbligazione contributiva, tant’è che all’obbligazione si aggiunge l’obbligazione accessoria del pagamento degli interessi corrispettivi, in misura predeterminata per legge; trattasi di una facilitazione onerosa di pagamento di un debito già maturo e scaduto”. In conseguenza di ciò, nella pronuncia in esame, hanno cassato la decisione del giudice di appello che, in violazione del principio e delle norme richiamate, aveva individuato il dies a quo della prescrizione nelle date del 30 giugno 2008 per i contributi del 2007 e del 6 luglio per i contributi del 2008 invece che del 16 giugno 2008 e 2009.

Da quanto detto deriva che del tutto errata è l’eventuale l’indicazione, spesso contenuta nell’avviso bonario notificato al contribuente dall’INPS, di un giorno di luglio quale termine di scadenza per il versamento, con conseguente sicura prescrizione della pretesa contributiva per contributi relativi all’anno di riferimento, rispetto ai quali il termine ultimo di scadenza del relativo versamento è da individuarsi, come detto, nella data del 16 giugno.

L’illegittimità delle sanzioni applicate per insussistenza dei presupposti dell’evasione contributiva.

Resta da chiarire quando l’INPS possa legittimamente applicare le sanzioni massime previste dall’art. 116, comma 8, della legge n. 388/2000 per le ipotesi di evasione contributiva.

In disparte il fatto che, come detto, l’unanime giurisprudenza àncora il termine prescrizionale iniziale di decorrenza della prescrizione al termine di scadenza per il pagamento, l’evasione contributiva è una fattispecie tassativamente ricondotta dalla legge alle sole ipotesi di occultamento dei rapporti di lavoro in essere ovvero delle retribuzioni, comportamento in presenza del quale soltanto il legislatore presume l’intenzione di non versare i contributi.

Sul punto, norma di riferimento è l’art. 116, comma 8, l. 388/2000, il quale, in maniera cristallina ed inequivocabile e salvo strumentali ed antiletterali interpretazioni, afferma quanto segue: “I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti: a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge; b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento; la sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge”.

Chiara ed inequivoca, dunque, la definizione di evasione contributiva, la quale si configura nei casi in cui vengano occultati rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate.

Invero, la giurisprudenza di legittimità in più occasioni ha affermato che “è configurabile omissione e non evasione, ai sensi del comma 8 dell’art. 116 l. n. 388/2000, quando il credito dell’Inps per contributi sia rilevabile e quindi risulti dalla denunce o dalle scritture effettuate o tenute dal datore di lavoro, poiché il credito dell’Istituto, seppure non segnalato in piena conformità alle complesse regole prescritte, è comunque evincibile attraverso documentazione di provenienza del soggetto obbligato. Se tale documentazione esiste, non vi è alcun onere probatorio a carico del datore, perché vi è un oggettivo comportamento che esclude l’evasione contributiva” (Cass. civ. sez. lav., 20 gennaio 2011, n. 1230).

Quanto al lavoratore autonomo, dunque, non può ritenersi configurata la fattispecie dell’evasione contributiva qualora egli abbia regolarmente dichiarato i redditi ricavati dall’esercizio della propria attività professionale mediante il “Modello Unico”, circostanza in presenza della quale non può che concludersi nel senso di ritenere che egli non intendesse sottrarre all’amministrazione pubblica i redditi da assoggettare a contribuzione previdenziale oltre che a prelievo fiscale.

Alla luce della norma richiamata, sono da criticare fermamente talune pronunce nelle quali i giudici di legittimità, in contrasto con il significato letterale dell’art. 116, co. 8, l. 388/2000, hanno ravvisato nell’omessa compilazione del quadro RR, presente nella dichiarazione dei redditi, un’ipotesi di evasione contributiva.

Tale conclusione, del tutto errata in quanto, come detto, in contrasto con la lettera della legge, viene sistematicamente smentita in numerose pronunce di merito nelle quali, del tutto opportunamente, i giudici continuano ad affermare che la mera mancata compilazione del quadro RR configura la fattispecie dell’omissione e non quella dell’evasione contributiva (ex plurimis, Corte appello Catania, sez. lavoro, n. 39 del 17/01/2020: “In tema di obbligo contributivo del lavoratore autonomo, facendo analogica applicazione dei principi affermati in materia di obbligo contributivo del datore di lavoro, va osservato che la mera mancata compilazione del quadro RR (relativo agli importi dovuti a titolo di contributi previdenziali sul reddito da lavoro autonomo) configura la fattispecie della omissione – e non già della evasione – contributiva, ricadente nella previsione della lettera a) dell’art. 116, comma 8, della legge n. 388/2000, essendo il credito dell’istituto previdenziale comunque evincibile dalla documentazione di provenienza dal soggetto obbligato (nella specie, dalla compilazione del quadro CM) – inviata a ente (Agenzia delle Entrate) competente in materia di accertamento e liquidazione dei contributi previdenziali – e dovendo dunque escludersi l’occultamento dell’attività lavorativa e del reddito percepito”).

In tal caso, nessun occultamento doloso è imputabile al soggetto il quale abbia regolarmente dichiarato i redditi percepiti consentendo all’Amministrazione competente di evincere in qualsiasi momento il proprio credito, come di fatto avvenuto.

Sul punto, occorre vi è più considerare che, nella materia in esame, il legislatore (D.P.R. n. 600/73) ha inteso rafforzare gli strumenti di accertamento e di riscossione coattiva dei contributi previdenziali, già previsti dal D.P.R. n. 600/1973, privilegiando un sempre maggiore coordinamento tra previdenza e fisco, prevedendo che l’Agenzia delle Entrate potenzi la propria struttura al fine specifico di eseguire controlli su soggetti che risultano avere percepito e non dichiarato redditi da lavoro.

Nel tempo, il legislatore è intervenuto in molteplici occasioni, sempre con l’obiettivo dell’efficientamento dell’apparato di vigilanza e controllo allo scopo di contrastare il lavoro “irregolare” anche ai fini di contrastare le ipotesi di evasione contributiva.

Sul punto, secondo Cass. civ. n. 17769/2015, “In tema di iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali in forza dell’art. 1 del d.lgs. n. 462 del 1997, l’Agenzia delle Entrate svolge, a norma dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (a partire dalle dichiarazioni del 1999, ossia per i redditi del 1998), un’attività di controllo sui dati denunciati dal contribuente, richiedendo anche il pagamento dei contributi e premi omessi o evasi, con successiva trasmissione all’INPS, sicchè ove il maggior contributo previdenziale dovuto sia accertato dall’Agenzia delle Entrate prima dello spirare del termine di prescrizione, la notifica dell’avviso di accertamento incide sia sul rapporto tributario che su quello contributivo previdenziale, determinando l’interruzione della prescrizione anche in favore dell’INPS”.

Ciò che conferma come con la comunicazione dei propri dati reddituali all’Agenzia delle Entrate il contribuente ponga l’amministrazione pubblica latamente intesa nelle condizioni di conoscere l’ammontare delle somme dovute, anche a titolo previdenziale, consentendo così allo stesso ente previdenziale (dati i rapporti intercomunicativi esistenti tra i suddetti enti) di richiederne il pagamento, il tutto in una doverosa prospettiva costituzionalmente orientata al principio di buon andamento amministrativo (art. 97 Cost.) che non consentirebbe invero conclusioni diverse, come conferma esemplificativamente l’art. 2, comma 7, l. n. 241/90 in base al quale l’amministrazione non può sospendere i termini di un procedimento amministrativo per acquisire dati che potrebbe acquisire presso altra amministrazione.

Ovviamente la norma citata da ultimo non è altro che un esempio puramente applicativo del contenuto dell’art. 97 Cost., una cui altra specifica applicazione, ancora più vicina alla nostra fattispecie, è l’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 462/1997, che mira a fondere le attività di dichiarazione fiscale e previdenziale dei lavoratori autonomi consentendo un necessario controllo sinergico all’Agenzia delle Entrate ed all’INPS da cui deve strettamente derivare come prima conclusione che il contribuente non evade alcun contributo laddove dichiari i dati per la determinazione del contributo in sede fiscale e, quale seconda conclusione, che l’intervenuta dichiarazione fiscale dei dati utili alla liquidazione della pretesa contributiva equivale a dichiarazione ai fini previdenziali sicchè non potrebbe mai giustificarsi il tentativo recuperatorio di contributi omessi fondato su apodittiche pretese di mancata comunicazione al solo ente previdenziale dei dati reddituali per ritenere sospeso il corso della (ineludibile ed irrinunciabile in materia previdenziale) prescrizione.


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Roberta Aleo

Nasce a Palermo nel 1991. Dopo la maturità classica si laurea nel 2017 in Giurisprudenza presentando una tesi sperimentale dal titolo "Le strutture investigative di contrasto alla criminalità organizzata". Nel 2019 consegue il diploma di specializzazione presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni legali presentando una tesi dal titolo "Rapporti tra carcere duro ed esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti". Tirocinante presso il Tribunale e la Procura della Repubblica ed abilitata all'esercizio della professione forense, collabora alla stesura di testi ed articoli giuridici con riviste scientifiche e studi legali.

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